Le canzoni FqMars 155,23 (IX), 155,27 (X) e 155,8 (XI) sono legate da vincoli di contiguità temporale e dal comune riferimento alla vicenda dell’emperairitz Eudossia, che ebbe come sfondo la corte di Guglielmo VIII di Montpellier negli anni ’70-’80 del XII secolo. Mentre il collegamento del terzo componimento con i primi due è un’ipotesi moderna, quello fra la canzone qui in esame e FqMars 155,27 (X) dipende dal comune riferimento a Eudossia ed ha un riflesso nelle rispettive razos: questo il primo testo (1):
(1) Folquet de Marceilla si amava la moiller d’En Barral, son senhor, ma dona N’Alazais de Rocamartina; e cantava d’ela e fazia sas chansos; e gardava se molt c’om no·u saubes, per so qu’ela era moiller de son senhor, quar li fora tengut a gran felonia. (2) E la dona si·ll sofria sos precx e sas chansos, per la gran lauzor qu’el fazia d’ela.
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(3) En Barrals si avia doas serors de gran ben e de gran valor: la una avia nom Na Laura de Saint Jorlan, l’autra avia nom Na Mabelia de Ponteves; abdoas estavon ab En Barral. (4) En Folquet avia tant d’amistat ab amdoas, que semblans era qu’el entendes en cascuna per amor. |
(5) E ma dona N’Alazais si crezia qu’el s’entendes en Na Laura e que·ill volgues ben; e si l’encuzet, e si·ll fon dig per maint cavalier e per maint home; si qu’ela li det comjat, que no volia plus sos precx ni sos digz, e que se partis de Na Laura e que de leis non esperes mais be ni amor. |
(6) Folquetz fo molt tritz e dolens, quan sa dona l’ac dat comjat, e laiset solatz e chant e rire; et estet longua sazo en gran marrimen, planhen se de la dezaventura que l’era venguda: qu’el perdia sa dona, que amava mais que re del mon, per leis a cui el no volia ben, si no per cortezia. |
(7) E sobre aquel marrimen el anet vezer l’Emperairitz, moiller d’En Guilem de Monpeslier, que fo filla de l’emperador Emanuel, que fo caps e guida de tota valor e de tota cortezia e de totz ensenhamens. (8) E reclamet se az ela de la dezaventura que l’era venguda. (9) Et ella lo confortet tan quan poc e·l preguet que no·s degues marrir ni dezesperar, e qu’el per la so’ amor degues cantar e far chanso. (10) Don el per lo precx de l’Emperairitz si fes aquesta chanso que ditz: |
Tan mou de corteza razo
Mos chantars, que no·i puesc faillir. |
Fra i personaggi menzionati nella razo, ho già ricordato la figura del visconte di Marsiglia Raimon Jaufre Barral, cui Folchetto dedica un planh al principio del 1193 (2); storicamente ben definita è anche quella della sua prima moglie, Azalais Porcelet (3), mentre non abbiamo notizie delle due sorelle del visconte, Laura di Saint-Jorlan e Mabilia di Ponteves. Per entrambe sono state avanzate delle identificazioni con membri della famiglia di Barral; in particolare un atto di donazione nomina una Laura di Saint-Julien, che a parere di Stroński (cfr. pp. 143-45) è cognata di Barral, mentre per Mabilia, moglie di Folco, signore di Ponteves, l’editore ipotizza un vaga consanguineità con il visconte (4). L’emperairitz Eudossia, che al contrario ebbe una considerevole fama fra i trovatori (5), è la figlia per alcune fonti, la nipote per altre, dell’imperatore di Bisanzio Emanuele Commeno (1143-1180) (6); venuta in Occidente per sposare Alfonso II d’Aragona o suo fratello Raimondo Berengario, finisce in moglie a Guglielmo VIII di Montpellier, con l’accordo che i figli, maschi o femmine, nati dal matrimonio avrebbero ereditato la contea di Montpellier (7). Dopo alcuni anni di matrimonio, nel 1187, Guglielmo ripudia Eudossia, probabilmente colpevole di non avergli dato che una figlia, Maria (8). La notizia, rintracciabile in un atto del 1207 (9), secondo cui Eudossia si sarebbe resa al monastero di Aniane, contrasta con il fatto che quello in questione è un convento maschile: tuttavia in quegli anni abate di Aniane era Raimondo Guglielmo, zio di Guglielmo di Montpellier, per cui si può pensare con Stroński (p. 157) che fu lo stesso conte a far chiudere la moglie in convento sotto la tutela di suo zio, al fine di evitare lo scandalo e di non restituire la dote; Eudossia morirà in convento (10).
Datazione: parte I, § 1.3.1.3.
2. Perugi 1978, I, p. 30 propone di ricostruire: «Mos chans que eu no·i puesc faillir», con dialefe fra que e eu, verso che corrisponde alla lezione del ms. G mos chanç qeu noi posch fallir, sanata dell’ipometria.
8. sim’e raitz: la iunctura in clausola è già in JfrRud 262,4 (II), 33-34: «Lai es mos cors si totz c’alhors / non a ni sima ni raitz» e in Marcabr 293,37 (XXXVII), 33: «e[s] [scil. Amors] de Joi cim’ e racina» (e cfr. 293,31 [XXXI], 39: «del cim tro qu’en la racina»); scrivono Bologna-Fassò 1991 a proposito del passo rudeliano: «Anche l’immagine di questo verso sarà sviluppata da Marcabru (oppure è Jaufre che sviluppa una figura allegorica di stampo sacrale, tipicamente marcabruniana? Difficile, su questo piano render conto esattamente delle cronologie relative)» (p. 47, n. 1); sul primo dei due passi marcabruniani cfr. inoltre Roncaglia 1978, pp. 271-73.
9. enseingnamen: sebbene il termine possa avere il senso di ‘buona educazione’ (cfr. SW, III, p. 33 [s.v. ensenhamen, n° 3] e Cropp 1975, p. 161-63), mantengo in sostanza l’interpretazione di Stroński (che traduce «science»): cfr. SW, ibid., n° 1.
13. parlei: segnalo la preferenza manifestata da Bertoni 1911b, p. 118 per questa forma rispetto al parliei di ABC messo a testo da Stroński.
13-14. La traduzione di Stroński («Et si j’ai déjà parlé dans ma chanson de calomniateurs»: p. 121) non soddisfa Lewent 1912 che propone: «und wenn ich je in meinem Liede (kollektiv = “in meinen Liedern”) von Zwischenträgern sprach» (col. 332).
16. Un v. quasi identico è in PVid 364,34 (XXII), 10: «E ja Dieus noca·m perdo».
18. Segnalo la soluzione Perugi 1978, I, p. 176: «que ill cui eu obedis» (con eu dieretico), elaborata a partire dalla lezione di DER quill (R quel).
20. que·s cuja: cfr. un uso analogo di pensar riflessivo in FqMars 155,20 ( XXI), 12: «Qu’ie·m pes si sui enchantatz» (e nota relativa).
22. Secondo Perugi 1978, I, p. 192: «la presenza di donc(s) segnala indefettibilmente la stratificazione dovuta a un eu dieretico»; «Eu muer per gran fallimen» la soluzione, vicina alla lezione del ms. T.
23. Per arrivare alla sua soluzione: «Si eu pert que am finamens», Perugi 1978, I, p. 30 interpreta le lezioni qar e quan riconducibili alla versione γ come una reazione ad una dialefe iniziale.
25. no m’abando: per il senso di ‘scoraggiarsi, perdere coraggio’ si veda ora DOM, I, p. 12, s.v. abandonar, n° 1d, dove vengono citati il passo folchettiano e GlMont 225,8 (IX), 47: «anz c’om del tot se dey’abandonar».
26. Perugi 1978, I, pp. 30-31 recupera, emendandola graficamente, la lezione del cod. G e propone: «Que eu ai sempres auzit dir»; lo studioso isola inoltre la costellazione DERTV, corrispondente grosso modo alla mia versione β, «caratterizzata dalla commutazione sinonimica ma(i)ntas vez (Tag), in cui la trasposizione vale a impedire la possibilità di una dialefe sostitutiva *Que ai».
26-28. Il concetto è diffuso nella tradizione classica: Stroński (p. 78*) segnala Seneca, Epistulae ad Lucilium, 102,13: «Numquam autem falsis constantia est; variantur et dissident» e 79,18: «veritas in omnem partem sui eadem est. Quae decipiunt nihil habent solidi. Tenue est mendacium: perlucet si diligenter inspexeris»; e Tacito, Annales, II, 82: «nec obstitit falsi<s> Tiberius, donec tempore ac spatio vanescerent».
28. moira: mantengo sostanzialmente la lezione dell’ed. Stroński, a proposito della quale Bertoni 1911b, p. 118 scrive: «mueira non dà senso. Leggerei mostre»; l’osservazione è condivisa da Schultz-Gora 1921, p. 141 che in Schultz-Gora 1936, p. 159 stampa la lezione della versione β, già in Rochegude 1819, p. 62 (cfr. MW, I, p. 321).
29-31. Bertoni 1917, p. 12 e cita il passo e sottolinea il ricorso a «espressioni di origine giuridica».
32. Perugi 1978, I, p. 523-24 interpreta la lezione di inizio verso in DcG, lei(s) cui, come un glossema che «garantisce la presenza di un si pronominale, mentre la serie di dilatazioni sinonimiche x=[subjetz, sotzmes, liges] (il solo *T* conserva il simbolo originale, pagando con l’ipometria) impone la restituzione della dialefe in apertura»; il verso proposto dallo studioso è: «Que a si sui sers et aclis».
aclis: con il suo evidente sottinteso feudale è già in un testo paradigmatico sul ‘servizio d’amore’, Guilh.IX Pos vezem de novel florir 183,11 (VII), sul quale si vedano le considerazioni di Beltrami 1990 b, pp. 41-45: «Ja no sera nuils hom ben fis / contr’amor, si non l’es aclis» (vv. 25-26); cfr. anche Cropp 1975, pp. 114-15.
35. ferms corajes: «ferm indique la constance et la confiance que l’on trouve chez l’amoureux, c’est-à-dire des qualités proches de la fidélité» (Cropp 1975, p. 127; cfr. l’esemplificazione a p. 128); quanto a coratge, scrive ancora la Cropp «le mot [...] qui s’emploie souvent comme synonyme de cor a en général un sens plus plein et plus intellectuel que le monosyllabe cor» (p. 263, n. 28).
39. Perugi 1978, I, p. 555 propone di ricostruire il verso: «No, que apres ai a murir»: alla soppressione di ieu, presente peraltro nella quasi totalità dei mss., corrisponde la dialefe fra que e apres.
41-45. Molto contestata dai recensori la punteggiatura e la traduzione del testo di Stroński, nella sostanza coincidente con quello qui proposto; l’editore stampa:
qu’ins e·l cor remir sa faisso, |
e remiran – et ieu languis |
quar ela·m dis |
que no·m dara so qu’ieu l’ai quis |
tan lonjamen – |
e traduce: «car, au fond de mon coeur, je regarde son visage – et je souffre, car elle m’a dit qu’elle ne m’accordera pas ce que je lui ai demandé si longtemps» (p. 121). Salverda de Grave 1911, ribatte che: «il est évident que l’opposition est entre le vers 41 (le poète jouit de la vision de sa dame) et les vers 42-45 (l’image de sa dame lui dit des choses désobligeantes)» (p. 501) e interpreta remiran et ieu languis come una costruzione comune a tutte le lingue antiche del dominio romanzo, per la quale una proposizione temporale che precede la reggente è unita a quest’ultima tramite et (cfr. F. Diez, Grammatik der romanischen Sprachen, Dritte [...] Auflage, III, Bonn, Weber 1870-72, p. 344); pertanto traduce: «et tout en la regardant je souffre». Di egual parere Lewent 1912 che propone la traduzione: «Denn im Herzen schaue ich ihr Antlitz, aber indem ich schaue, leide ich auch, denn sie sagt(e?) mir, dass sie mir das nicht geben wird, worum ich sie schon so lange bitte» (col. 332). Da parte sua Bertoni 1911b, notando che «Così come il passo è dato la sintassi zoppica» (p. 118), difende la lezione isolata del ms. G e remiran mor e languis; tuttavia mor ed e sono «aggiunti in piccolo, in uno spazietto bianco»: così Bertoni 1912, p. 18, n. 16. Nel mettere a testo la versione γ noto che al v. 42 i mss. INc + T mancano del secondo et, circostanza che impone di leggere eü dieretico per scongiurare la conseguente ipometria; meno oneroso è pensare che in quei mss. si sia verificata un’ ‘agglutinazione’ del tipo e eu > eu e quindi mettere a testo la congiunzione attestata peraltro nella maggior parte dei testimoni, e fra i mss. di γ anche da KPS.
42. languis: scrive Cropp 1975, p. 311: «L’apr. languir, ‘être dans un état prolongé d’abattement physique ou moral’ pourrait être classé dans une des catégories de termes désignant les souffrances, mais, dans les premiers exemples que nous ayons relevés, d’autre éléments lexicaux font ressortir la valeur physique du terme»; il rimando è a JfrRud 262,3 (I), 13-18: «Colps de joi me fer, que m’ausi, / e ponha d’amor que·m sostra / la carn, don lo cors magrira; / et anc mais tan greu no·m feri / ni per nuill colp tan no langui, / quar no conve ni no s’esca» e a RicBarb 421,4 (IV), 35-40: «De grant dolor mi fai languir: / s’autra merce non vol aver, / fara·m morir en bon esper / cella que·m pogra leu guerrir, / e puois no·l platz del enriquir / no·m vuoilla del tot decazer».
46. Perugi 1978, I, p. 193 interpreta i due monosillabi iniziali come una reazione a e eu diafelico, con eu dieretico, e aisso (che alterna a aitan e aital), un’estensione di un so monosillabico (e parimenti tan e tal): «e eu per so no m’alen» è la sua proposta.
Lewent 1912 contesta la traduzione («me ravive») proposta da Stroński per m’alen: «Das m’alen (v. 46) kann, da festes n vorliegt, nicht von alenar (s. Glossar) kommen; es ist vielmehr 1. p. präs. von alentar “säumig werden”» (col. 332). Traduco pertanto come Lewent, pur ammettendo che l’infinito del verbo possa essere alenar («respirer; souffler» in PD, p. 16, e quindi ‘prender fiato’).
48. mescladamenz: per il senso di «im einzigen Beleg» cfr. SW, V, p. 246, dove si contesta la traduzione del LR, IV, p. 215 «pêle-mêle»; si noti l’incertezza di Stroński che traduce «entre des sentiments opposé [ou bien: en même temps?]» (p. 121).
49. Amarai la doncs a lairo: la tradizione, eccetto TW che omettono la e V che ha E doncs amar lai, è compatta nel tramandare il verso messo a testo: Perugi 1978, I, pp. 540-41 parla comunque di diffrazione in praesentia e propone: «Eu, amar-l’-ai a lairo» (con eu dieretico).
50. puois vei que: Perugi 1978, I, p. 31 interpreta la varietà del sintagma d’apertura come una diffrazione in absentia a partire da uno iato del tipo pos que ill: proposta interessante, da sostituire eventualmente alla lezione più diffusa (anche di NSc fra i mss. di γ) preferita qui alla redazione di IKP, probabilmente innovativa (cfr. supra la Nota al testo).
51. A fronte della scelta di Stroński, onerosa dal punto di vista strettamente ‘stemmatico’, di un oc ieu a inizio verso (ricavato da o ieu C e oc ce T), con la quale si ottiene però una struttura dei vv. 49-51 parallela a quella dei vv. 37-39, Perugi 1978, I, p. 31 ricostruisce: «que inz en mon cor la remir», aggiungendo: «La struttura ricostruita [vv. 50-51] non è più dialogica, bensì dichiarativa in collocazione enjambante».
L’assunzione di desir, elemento di quella che Perugi stesso definisce «alternativa [...] topica», fa venir meno il diffuso topos trobadorico della visione della donna nel cuore: si veda una campionatura di loci paralleli nel Commento a FqMars 155,6 ( XVII), 36 (n° iii); tuttavia remir può essere stato indotto dal ricordo del v. 41 qu’inz e·l cor remir sa faisso: la circostanza non impensierisce Stroński, nella cui edizione il parallelismo fra i due versi è ancor più accentuato, dal momento che al v. 51 risulta oc ieu, qu’ins e·l cor la remir.
53. cors, cor: sulla dittologia topica si veda Bruni 1988 e, in partic., il capitolo primo: C. Di Girolamo, «Cor» e «cors»: itinerari meridionali (pp. 21-48) e A. Tavera, Ancien provençal ‘cor(s)’ e ‘cor(p)s’: une quasi-homonymie riche de conséquences, in AA. VV., Le cuer au Moyen Age (Réalité et Senefiance ), Aix-en-Provence, C.U.E.R.-M.A. 1991 ( Senefiance, n° 30), pp. 409-37. Sui problemi di flessione, che potrebbero essere all’origine dei sintagmi antitetici che alternano nella tradizione qel cor ten lo cors e qel cors ten lo cor (ma anche el cor tem lo cor P e cel cor ten lo sen T, con glossa parziale), rimando al Commento a FqMars 155,18 ( III), 23. Segnalo inoltre che Stroński (non seguito in questo da Schultz-Gora 1936) scrive i termini con la maiuscola.
58. Rispetto alla lezione di α (con CE) cum la posca vencer sufren, preferita da Stroński, dove chi dice io agisce per conquistare il favore di negato della domina, in quella di γ (con DTR), messa qui a testo, è Mercé a venir delegata ad agire in vece del personaggio maschile. Perugi 1978, I, p. 176 interpreta il verso di α come una perifrasi di tipo modale scaturita per reazione ad un eu dieretico «indirettamente testimoniato dal solo *W*»; la sua proposta è pertanto: «Que eu la vensa suffren».
59-60. Anche questo concetto rimanda alla tradizione classica: cfr. Plinio il Giovane, Epistulae, VIII, ii, 4: «sed nihil est quod non arte curaque, si non potest vinci, mitigetur» e Ovidio, Amores, III, xi, 7-8: «Prefer et obdura: dolor hic tibi proderit olim: / saepe tulit lassis sucus amarum opem».
59. merces e loncs sofrirs: considerata la diffusa asigmaticità del secondo membro della iunctura (loncs sofrirs è lezione dei soli ABM; registro poi loncs suffrir di Fa e il solo sufrir di W, e inoltre lonc seruir in DE e lonc seruirs in R, accanto a loncx seruirs C) si può pensare a un obliquo sg. introdotto da e = en: si noti infatti che en è lezione di PV (cfr. a in NS, ab Tc). Il verso così ottenuto (que merces e lonc sofrir venz) suonerebbe: ‘che in una lunga sofferenza mercé vince’.
Postilla 2009
La proposta di dividere in due tornadas di 3 e 2 versi la tornada di N trascritta nella Nota al testo è di Zinelli 2003, p. 523, che ne dà un’edizione: «N’Aiman[s], moult m’estara gen<z> / S’eu mor puis li ven<z> a talenz / Puis a morir ai aissimenz. / C’apres ma mort sai veramenz / que mos espritz en ert çausenz»; lo stesso studioso (p. 516, n. 26) rileva che la lezione di β aclins, essendo rimante anche al v. 32, è un mot tornat en rim e andrebbe perciò esclusa dalla tabella delle varianti adiafore, dove però dovrebbe continuare a esser presente il resto del verso.
Note
(1) Cito da Boutière-Schutz 1964, pp. 474-77 (la razo è tràdita in EN²R). Segnalo le principali differenze delle edizioni di Stroński (pp. 4-6; cfr. comm. alle pp. 143-47) e Favati 1961, p. 176 (cfr. comm. alle pp. 396-97): § 3: «serors de gran prez» (Stroński, lez. di N²); § 4: «entendes en qualquna» (Favati, lez. di N²; questo il commento, a p. 396: «Adelaide avrà sospettato che Folchetto si fosse innamorato di “qualcuna” delle due donne, che infatti sospetta sia Laura, e non di “ciascuna”»); § 5: «que se penes de Na Laura» (Stroński e Favati, lez. di N²; commenta Favati a p. 396: «non pare probabile che Adelaide gli abbia imposto di allontanarsi da una donna aggiungendo che comunque non lo avrebbe egualmente riassunto nelle sue grazie»; su se penes cfr. p. 97); § 6: «mas per cortesia» (Stroński, lez di R). (↑)
(2) Per la data di morte si veda la parte I, § 1.3.1.7. (↑)
(3) Azalais, figlia di Ugo Porcelet, è nominata nella razo con il titolo di Rocamartina, un possedimento della sua famiglia; non sappiamo quando la donna sposò Barral (di poco aiuto per noi è il fatto che prima del 1201 la loro figlia Barrala si unì in matrimonio con Ugo di Baux), ma certo prima del maggio 1191 i due si separarono: sulla famiglia Porcelet si veda lo studio di Aurell 1986, su Azalais in partic. le pp. 159-60. (↑)
(4) Una conferma dell’ipotesi di Stroński viene dall’Ottimo, fonte trascurata dall’editore, dove si legge: «[Folchetto] facea segno d’amare Laura di Santa Giulia, e Bellina di Pontevese, sirocchie di Barale» (vol. III, p. 231; cfr. Suitner 1980, p. 623 e nella parte I, il § 3.1.1). (↑)
(5) Cfr. Jeanroy 1934, I, pp. 166-67; menzionano l’ ‘imperatrice’ GrBorn 242,76 (IV), 69-85, PVid 364,11 (XXXVI), 67-70, su cui si veda Avalle 1960, II, p. 481, e BtBorn 80,32 (XXIII), 55-63, che propone un esito diverso da quello vulgato e sotto riferito: «Mout trahi laich l’emperairitz / cum fals reis perjurs e savais / qan pres a qintals et a fais / l’aver que Manuel trames / e la rauba e tot l’arnes; / pois ab cor dur, / qan n’ac traich lo vert e·l madur, / el n’enviet per mar marritz / la dompna e·ls Grecs q’el ac trahitz». (↑)
(6) Così si ricava dalla versione vulgata, che risale sl § 2 del Libre dels Feyts di Giacomo I d’Aragona (cfr. l’ed. a cura di J. Bruguera, Barcelona, Barcino 1991, II, pp. 7-9), figlio di Maria di Montpellier e Pietro II, e perciò discendente diretto di Eudossia; accogliendo le riserve tradizionali sull’autenticità della fonte (si veda almeno A. Morel-Fatio, Katalanische Literatur, in Grundriss der romanischen Philologie [...] herausgegeben von G. Gröber, Strassburg, Trübner 1888-1901, II, pp. 70-128, alle pp. 118-19), Anglade 1908 mostra di non credere all’esistenza di Eudossia: «la seule fille de Manuel Commène a été mariée au marquis de Monferrat» (p. 314). L’idea che il Libre sia autentico è oggi generalmente accettata (vd. per es. M. de Riquer, Historia de la literatura catalana. Part antiga, Barcelona 1964, I, pp. 398-402) ed è stata recentemente rilanciata con argomenti decisivi da S. Asperti, Il re e la storia. Proposte per una nuova lettura del Libre dels Feyts di Jaume I, RZfL, VII [1983], pp. 275-97. Alle obiezioni di Anglade risponde già Stroński in una nota dell’edizione (a p. 154) e poi in A propos d’une princesse byzantine du XIIe siècle, AdM, XXIII (1911), pp. 491-94, dove replica a J. Laurent, A propos de «l’impératrice» de Montpellier, AdM, XXIII (1911), pp. 333-37, che aveva rilanciato gli argomenti di Anglade e, sulla base della testimonianza di Puylaurens, cap. XI («cuius [scil. di Maria] matrem Graecam nomine, neptem Hemanuelis imperatoris Constantinopolitani, repudiaverat»), aveva affermato che Eudossia era figlia di un fratello di Emanuele Commeno: l’editore polacco ribadisce che l’esistenza di Eudossia è provata da numerose fonti coeve e che il legame di parentela con l’imperatore, pur con un margine di dubbio, è quello filiale. Tuttavia, superato il problema dell’auteticità del Libre dels Feyts, resta quello della difformità delle fonti: Martin Aurell definisce Eudossia nipote («petit-nièce») di Emanuele sulla scorta degli Annales Pisani (redatti fra 1136 e 1182 da Bernardo Maragone), documento valorizzato da S. de Vajay, Eudocie Comnène, l’impératrice des troubadours, «Genealogica et heraldica», Copenaghen 1980-82, pp. 321-338: cfr. Aurell 1995, p. 402. (↑)
(7) Per la data del matrimonio e altre osservazioni rimando alla parte I, § 1.3.1.3. (↑)
(8) La data è ricavabile indirettamente dal fatto che Guglielmo nell’aprile 1187 sposa in seconde nozze una parente di Alfonso II, Agnese. Stroński, artefice dell’ipotesi sulla causa del ripudio, di cui fornisce degli indizi documentari, si sofferma in nota a confutare la posizione dominante alla sua epoca, per la quale la separazione fu causata dalla scoperta della relazione amorosa fra la donna e Folchetto; in realtà, è più probabile che quella di adulterio sia stata semplicemente l’accusa ufficiale di Guglielmo. (↑)
(9) Pubblicato da Gariel, Series praesulum Magalonensium, Toulouse 1665, p. 278. (↑)
(10) Le ‘strane’ vicende della casa di Montpellier non terminano con il ripudio e la morte di Eudossia: per il suo gesto, Guglielmo venne scomunicato dal vescovo di Maguelonne e dall’arcivescovo di Narbona e il suo successivo matrimonio con Agnese annullato; i suoi buoni rapporti con il papato – fra l’altro nel dicembre 1191, Celestino III gli accordò il privilegio di non poter essere scomunicato che dalla Santa Sede o da un legato pontificio – gli permisero di trascinare per quindici anni il processo di annullamento; nel 1202 venne a morte e, poco tempo dopo, sua moglie Agnese e i suoi sei figli furono uccisi dai cittadini di Montpellier, che ‘restituirono’ la signoria della città a Maria, figlia di Guglielmo ed Eudossia. Questa, sposata dal 1191 circa con Barral di Marsiglia, che, come detto, aveva ripudiato Azalais, rimase vedova l’anno successivo, quindi fu costretta a rinunciare alla signoria di Montpellier e si risposò, nel 1197 con il conte di Comminges, dal quale fu ripudiata, come le due mogli precedenti, nel 1201; infine, dopo il riconoscimento dei suoi diritti ereditari, andò in moglie nel 1204 a Pietro II d’Aragona, figlio ed erede di Alfonso II e dalla loro unione nacque Giacomo, futuro re d’Aragona. Maria fu ripudiata nel 1213 e morì a Roma dopo qualche mese; lo stesso anno, nella battaglia di Muret, morì anche Pietro II. La vicenda, già delineata da Stroński alle pp. 13*-14* e 155-56, è ora ampiamente studiata da Aurell 1995, pp. 427-66 (cfr. inoltre M. Switten, Marie de Montpellier: la femme et le pouvoir en Occitane au douzième siècle, in Atti London 1987, pp. 485-91 e P. Amargier, Éloge d’une reine: Marie de Montpellier, CF, XXIII [1988], pp. 21-36). (↑)
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