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Squillacioti, Paolo. Le poesie di Folchetto di Marsiglia. Pisa: Pacini, 1999.

Nuova edizione riveduta e aggiornata per il "Corpus des Troubadours", 2009.

155,010- Folquet de Marselha

Datazione: parte I, § 1.3.2.1; rapporti intertestuali: parte I, § 3.2.1.2.4 (intero testo PVid); parte I, § 3.2.2.1.1 (vv. 28-36 AimPeg).

1-7. Insoddisfacente, se non errata, l’interpretazione di Stroński, che origina da una interpunzione decisamente onerosa:

Greu fera nuls hom falhensa –
(si tan tempses som [sic] bo sen
quom lo blasme de la gen) –
qui jutg’, ab desconoissensa,
qui’ieu falh car lais, per temensa
del blasme desconoissen,
qu’encontr’ Amor no m’enpren:

Ossia: «Grossièrement se tromperait tout homme – (s’il craignait son bon sens autant que le blâme des gens) – qui jugerait, déraisonnablement, que je commets une faute, en renonçant, par crainte d’un blâme insensé, à agir contre l’Amour» (p. 129). I recensori concordano nell’eliminare l’inciso ai vv. 2-3 e riferire «qui jutg[a]» a «gen»; diverse invece le soluzioni per il v. 5: Lewent 1912, col. 333 lo lega al precedente: «...wie auf die Gerede der Leute, welche in völliger Unkenntnis meinen, dass ich...», mentre, più plausibilmente, Salverda de Grave 1911, p. 503 e Schultz-Gora 1921, p. 144 separano con un punto e virgola i vv. 1-4 da 5-7: il secondo dissente tuttavia sulla traduzione con «aussi ai-je tort» dell’inizio di v. 5: «Das que [...] es hier nicht gerade eine direkte Erläuterung des Vorhergehenden, sondern nur eine losere Anknüpfung daran darstellt. Der Zwischengedanke ist: ich sage das im Hinblick auf mich (der ich einen Fehler begehe)». Al di là di questo particolare, dalla loro interpunzione si ricava un bel parallelismo fra la considerazione di carattere generale e d’impianto gnomico dei primi versi e il rispecchiamento di questa nella condizione dell’io, sottolineato da una ripresa simmetrica dei termini-chiave del discorso: 1 faillensa - 5 faill, 2 temes - 5 temenssa, 3 blasme - 6 blasme, 4 desconoissenssa - 6 desconoissen; resta così isolato al v. 7 il nucleo semantico dell’intera cobla, ulteriormente chiosato dalla massima, anch’essa costruita su una contrapposizione, del distico finale.

4. desconoissenssa: è genericamente l’ignoranza ma, in particolare, la misconoscenza delle regole cortesi di comportamento.
 
6. desconoissen: alla lettera è attributo al biasimo, ma logicamente va riferito a chi biasima: si potrebbe insomma tradurre: ‘per timore del biasimo degli ignoranti’.
 
15. cum suoill: non «comme je le fais» (Stroński) – lo rileva già Lewent 1912, col. 333, senza accorgersi che l’editore si corregge nelle Additions et corrections, p. 275 – ma piuttosto ‘come solevo’, in quanto, come del resto in it. ant., «Soler s’emploie très fréquemment au présent où un temps passé aurait semblé plus logique; soler, en d’autres termes, exprime les actions habituelles, mais ne marque pas la perspective temporelle dans laquelle ces actions évoluent» (Jensen 1994, § 474 e cfr. Jensen 1986, § 692; agli ess. indicati si aggiungano almeno quelli in BnVent reperibili attraverso il glossario di Appel 1915, s.v. soler).
 
15-17. Si notino le due autocitazioni: è la seconda, scoperto richiamo all’incipit di FqMars 155,1 (V), a rendere riconoscibile l’altra, meno letterale, dei vv. 15-16 di 155,14 (IV): «cuidatz vos que·us estia gen / car mi faitz plaigner tan soven?», nella quale va sottolineata l’occorrenza, comune ai tre luoghi, del sintagma «tan soven» (cfr. anche il v. 18 di 155,1 [V]: «e quar plainhen vo·n pregon miei sospire»). È in relazione a tale memoria interna che pare opportuno al v. 17 privilegiare, restando all’interno della versione a, la lezione di IKP (condivisa con CKpls QO MNUc) en mas chansos quen, rispetto a quella di ABDT (e di EJRV GW) que mas chanssos en (a in EJRV): la specificazione che il pianto reiterato e la morte frequente sono non solo fittizie, come sempre nella lirica trobadorica, ma metaletterarie rende più pregnante il discorso. Senza dire che, in linea di massima, il passaggio da una struttura ipotattica con enjambement a una paratattica appare più facile del percorso contrario; qui si potrebbe vedere nella confusione della forma e (per en) con la congiunzione e (< ET), l’origine del que a inizio verso, che avrebbe indotto la necessaria riduzione quen > en, non a caso soggetta a oscillazioni: oltre a a di EJRV, si veda eu di G. Altri problemi pone la traduzione del verso: accolgo la contestazione di Lewent 1912 alla traduzione di Stroński «car, évidemment, elles en auraient [traduce aurion] moins de valeur» (p. 129): «Eine begründende Konjunktion in que zu sehen, erscheint kaum angebracht. Ich verstehe: “...glaubet nicht, dass ... ich fürderhin noch so oft streben werde in meinen Liedern, die dann anscheinend allerdings weniger Wert haben würden”» (col. 333); inoltre, alla luce della traduzione di Salverda de Grave 1911, p. 503: «car ce n’est qu’en apparence qu’elles en auraient moins de valeur», emergono le due sfumature di senso per «en parvenssa», ‘evidentemente’ per Stroński e Lewent, ‘apparentemente’ per Salverda de Grave, che evidenzio nella mia traduzione.
 
18. n’avian: mantengo la versione del ms.-base coincidente con la maggior parte del gruppo α (BDIKP) e condivisa con C GO MNc; tuttavia AT (con EJRV ls Q U) leggono naurion: se l’imperfetto fa riferire la considerazione sul valore (manifesto o presunto) delle canzoni a quelle del passato, ovvero a quelle poesie in cui l’io soleva piangere e morire, il condizionale sposta il riferimento alla produzione contemporanea. Tutto ciò, unito il dubbio linguistico sul significato di «en parvenssa» (vd. n. 15-17), rende incerto il senso del distico finale della cobla.
valenssa: sull’allotropo semantico di valor si veda Cropp 1975, pp. 435, n. 61.
 
20. la·i: «j’écrirais lai (adverbe)»: così Jeanroy 1913, p. 262, ma la correzione rende, a mio avviso, poco perspicuo il verso.
 
21. planamen: traduco, come Stroński, a norma di SW, VI, p. 356 (s.v. planamen, n° 3): «sachte, sanft, ruhig».
 
23. francs: si vedano le osservazioni e gli esempi di Cropp 1975, pp. 83-88.
 
26. atendenssa: a buon diritto Jeanroy 1913, p. 262 corregge la traduzione di Stroński: «atendensa a son sens propre (cf. 20) et non celui de “attachement”»; va detto che nel Glossaire, p. 239, s.v. atendensa l’editore traduce correttamente «attente».
 
27. penedenssa: oltre a PVid 364,37 (XL), 28 e PAuv 323,2 (I), 33-34, citati nella parte I, § 3.2.1.2.4, si vedano, su indicazione di Stroński (p. 83*), i vv. 31-32 di BnVent 70,30 (XXX): «qui vid anc mais penedensa / faire denan lo pechat?» e Peirol 366,1 (XIII), 17: «Ill n’a·l pechat, et ieu la penedenssa»
 
28. eu avia plivenssa: al contrario di quanto registrato alla n. 26, Stroński qui traduce bene «j’ai eu foi» (a parte il tempo verbale) – cfr. SW, VI, p. 389 (s.v. plevensa, n° 2): «Zuversicht, Vertrauen» – ma nel Glossaire, p. 259, s.v. plivensa, rimanda a «garantie, certitude», significati più vicini alla base etimologica, il francone *plegan (cfr. FEW, XVI, p. 633: «Verbürgen»), ma forse meno adatti al contesto.
 
33. talen: Antonelli 1979, pp. 135 fa notare «la sottile differenza di significato, talentum-intellectus (“Sinn”, “disposizione d’animo”) vs talentum-caritas (“desiderio”)» fra talen e dezire, termini spesso accoppiati in iterazioni sinonimiche (si veda l’esemplificazione alle pp. 134-38; riferimento del discorso di Antonelli è G. Mombello, Les avatars de «Talentum». Recherches sur l’origine et les variations des acceptions romanes et non romanes de ce terme, Torino, Società Editrice Internazionale 1976). Per il senso adottato nella mia traduzione si veda SW, VIII, p. 18 (s.v. talen) che cita il passo folchettiano al n° 1: «Sinn, Sinnesart, Gesinnug».
 
36. m’agra tenensa: l’onerosa scelta testuale di Stroński m’agr’atenensa («je n’aurai que l’espoir»), per la quale deve giustificare l’hapax atenensa con l’afr. atendance (il rimando dell’editore è a Godefroy, I, p. 469: «attente, espérance»), è opportunamente corretta in magra tenensa nelle Additions et corrections, p. 272, in base a due paralleli in RbOr 389,41 (V), 38-40: «e cuig que m’aia tenensa / car nuls hom mais per plivensa / non estet en aitan gran gaug!» e GcFaid 167,45 (XII), 46-49: «Bon’ aventur’ e delitz / fora, si m’agues tenenssa, / l’ira ni la malvolenssa / qe m’aguetz, don sui issitz»; «car cela (sc. le mauvais commencement) durerait toujours pour moi» è la traduzione proposta da Stroński sempre a p. 272. Si aggiungano, sulla scorta di Cropp 1975, p. 477, GcFaid 169,61 (XXXII), 33-34: «Mas ops m’agra qe·m fos d’autre parven, / lo jorn c’Amors mi pres en sa tenenssa» e 169,32 (XLII), 67: «mas per lieis n’ai tenensa».
 
38-40. Cfr. sul tema del dono FqMars 155,18 (III), 29-30; Stroński (p. 80*) richiama inoltre la sentenza anonima «Beatius est dare quam accipere» e Seneca, Epistulae ad Lucilium, 81,17: «Hilarior est qui solvit quam qui mutuatur» (che nel ‘Seneca provenzale’ diventa: «Trop vuelas mais donar que querre»: Bartsch 1856, p. 211).
 
41-43. Interno alle recensioni è il dissidio sul significato dei versi: secondo Jeanroy 1913, p. 262 la traduzione letterale di Stroński è corretta, ma «n’éclaircit rien»; prosegue lo studioso «Je crois qu’il faut sous-entendre une idée intermédiaire, ici toute naturelle, et qui est elle-même un lieu commun; il ne suffit pas de donner, il faut donner avec empressement: un don obtenu à force de prières ou de patience a été en réalité acheté; [...] Ici la pensée est générale et le poète ne s’adresse pas à sa dame: “Vous en arrivez à mépriser l’objet qu’on vous donnait [...] et que maintenant on vous vend”». Ribatte Schultz-Gora 1921, p. 144: «Diese Deutung ist wirklich schwer verständlich; wie soll u.a. der Dichter sich nicht an die Dame wenden, da er sie doch anredet? Sie ist offenbar aus der Meinung Jeanroys geflossen, daß ein Zusammenhang zwischen dem Schlusse und den drei ersten Zeilen vorliegt; ein solcher braucht aber nicht vorzuliegen. Folquet will nur mal dir (V. 45) und sagen: Ihr steht so ungünstig da und seid so wenig geachtet wie jemand, dem man früher Geschenke machte und jetzt nur noch verkauft». Bertoni 1917, p. 14, e n. 1 sottolinea inoltre la valenza giuridica del sintagma dar (o donar) e vendre. Gioverà tuttavia ricordare che qui si avverte l’eco di quei discorsi moralistici (e in particolare misogini) sulla venalità delle donne, rintracciabili anche in un ‘campione’ della fin’amor come Bernart de Ventadorn: scrive Beltrami 1990b: «La preoccupazione che l’amore sia venduto corrisponde all’accusa di venalità che la tradizione marcabruniana (che trova il soccorso di Ovidio) e la tradizione misogina in genere (si pensi, molto più tardi, alla seconda parte del Roman de la Rose) rivolge senza sosta alle donne» (pp. 23-24); ai passi ovidiani addotti da Beltrami, Amores I, viii, 61-62 e I, x, 11-12, 25-26, 29-30, si aggiunga Ars amatoria, II, 277-78: «aurea sunt vere nunc saecula: plurimus auro / venit honos, auro conciliatur amor».
 
42. afars: nel senso di ‘qualità’, come in GcFaid 167,49 (LXXI), 17-18: «Soven la vau entre·ls meillors blasman, / et en mos digz totz sos afars abais»; cfr. LR, III, p. 263 (s.v. far, n° 8).
 
44. mas, qu’ieu: come a v. 17 abbandono le lezioni e e car del ms.-base, qui condivise con pochi altri mss. (la prima con A+GDcls, la seconda con AT+GODc M), in quanto il contesto richiede una congiunzione avversativa a inizio verso (per coerenza testuale correggo anche car).

 

 

 

 

 

 

 

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