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Betti, Maria Pia. Le Tenzoni del Trovatore Guiraut Riquier. "Studi Mediolatini e Volgare", 44 (1998), pp. 7-193.

248,014=141,001- Guiraut Riquier

Guiraut pone ad un misterioso Enveyos la scelta tra la sapienza e l'amore: è preferibile conoscere alla perfezione le sette arti o avere il favore di ogni dama amata? L'interlocutore difende la prima alternativa.
Enveyos è, molto probabilmente, il soprannome di un giullare che purtroppo, alla pari di altri suoi colleghi di passaggio a Narbona (come il Codolet del partimen nº 3), non ci è altrimenti noto. CHAMBERS (Proper Names, p. 118), pur non segnalando il personaggio in questione, ricorda che «mon Envejos» è il senhal, «unhedentified», della dama dedicataria della canzone di Guilhem Ademar Ben agr'ops qu'ieu saubes faire (BdT 202.2, ed. ALMQVIST, pp. 128-129, vv. 49-54), inviata proprio a Narbona: «Messatgiers, vai de grans eslais / A Narbon'en l'aussor palais! / Mi portaras esta cansso / A la meillor dompna c'anc fo, // E pois d'aqui a Tarasco / A mon Envejos bel e bo». Si tratta forse della Na Bïatriz de Narbona lodata da Ademar nella canzone De ben gran joia chantera, (BdT 202.5, ed. ALMQVIST, pp. 138-139, vv. 36-39)? Per tale ipotesi cfr. ANGLADE, Les Troubadours à Narbonne, p. 744.
Per CHABANEAU (Cinq tensons, p. 126), il giudice Peire de Fraisse è da identificarsi con il ‘Petrus de Fraxino jurisperitus’ che figura come testimone in un omaggio reso nel 1272 al visconte di Narbona Aimeric. ANGLADE (Guiraut Riquier, pp. 25-26) ci informa che si tratta di un personaggio autorevole della società narbonese, un rispettato uomo di legge citato in molti documenti (cfr. p. 26, n. 2) che, per un certo periodo, rivestì la carica di console della città. Quasi certamente, quindi, anche questo partimen risale al primo periodo della produzione riquieriana, precedente alla sua partenza per la Spagna (1270).
Almeno tre elementi del componimento, infine, richiamano il partimen BdT 205.4 (che, per la vicinanza tematica, ricorda anche il torneyamen Senne n'Enric, a vos don avantatje, nº 2 dell'ed. GUIDA, pp. 105-130), Guillem, prims iest en trobar a ma guiza, svoltosi tra Guillem Augier Novella e Guillem (Guillem Augier Novella, ed. CALZOLARI, pp. 115-134): 1) alla pari di Enveyos, anche in questo caso l'interpellato (Guillem), di fronte alla scelta tra la ricchezza e la scienza, opta per la seconda; 2) in entrambi i casi la parte rifiutata viene accusata di mutevolezza ed inganno; 3) nella III cobla, Guiraut paragona l'amore alla ricchezza («puesc far a tal dona amar / que·m fara ric»).
 
1. enveyos. per il significato, in ambito amoroso, dell'aggettivo che costituisce probabilmente il soprannome dell'interlocutore di Guiraut, cfr. il partimen nº 2, nota al v. 42.
 
2. sabetz triar: l'espressione saber triar è molto comune (cfr. LR, V, p. 419); nell'ambito del canzoniere riquieriano, cfr. la canzone XXIV, En tot quant qu'ieu saupes, v. 42, «s'ieu sai mo mielhs triar», ed il vers VII, Jhesus Cristz, filh de Dieu viu, v. 33, «que·l camin sapcham triar».
 
3. totas las artz: costruzione prolettica del complemento oggetto. Già Pfaff, in nota (p. 236), suggerisce rispetto alla lezione per que del manoscritto: «que per?».
 
3-4. Cfr. il partimen 205.4, già citato nella nota iniziale, vv. 6-7: «o la sciens'apriza / ab lo saber que las set ars deviza?» (Guillem Augier Novella, ed. CALZOLARI, p. 122).
 
5. Per aizitz, etimologicamente derivato dal verbo mediolatino ADIACERE ('essere vicino a'), cfr. CROPP, Le vocabulaire courtois, p. 376 (già citato da LONGOBARDI, I 'vers', p. 45, nota al v. 67 del vers III, Quar dreytz ni fes). Al valore assunto da questo termine e dai suoi affini nella poesia trobadorica aveva già dedicato un lungo saggio DRAGONETTI, 'Aizi' et 'aizimen', pp. 127-153.
 
10. Per si tot + indicativo, cfr. il torneyamen nº 6, nota al v. 14.
 
12. Il senhal Mon Cristalh, arricchito dall'aggettivo bel, sarà di nuovo utilizzato in riferimento alla propria amata dal trovatore Peire Lunel de Montech nelle canzoni Meravilhar no·s devon pas las gens, BdT 289.1a, v. 49, Si com lo jorns mout clars e resplandens, BdT 289.2, v. 49, e Totz hom que vol en si governamen, BdT 289.3, v. 41. L'espressione vergonhos e temens, riferita al poeta, descrive il suo stato d'animo nel doversi trattenere dal desiderare la dama amata.
 
14. tans de bels sabers: la costruzione tramite l'associazione di un aggettivo indefinito e di de partitivo è utilizzata di nuovo dallo stesso Enveyos al v. 28 (motas de las gens).
 
16. gualiotz: cfr. il sirventese di Raimon d'Avinhon, Sirvens sui avutz et arlotz, della seconda metà del sec. XIII (BdT 394.1, ed. M. DE RIQUER, Los trovadores, p. 1317), vv. 3-5: «e sui estetz arbalestiers / e portacarn e gualiotz / e rofians e baratiers», «y he sido ballestero y carnicero y corsario y rufián y traficante»; crida: lett. «crieu, proclamateur» (PD, p. 101).
 
19. don[a] amar: Pfaff don'amar, senza risolvere l'ipometria.
 
20. Il concetto racchiuso nell'espressione naturals sens è ripreso nell'epistola IV, Qui conois et entens (1266), v. 129 («e·l det sens naturals»), nella V, A sel que deu voler (1267), vv. 123-124 («per calacom dels sens / naturals, accidens») e nella più tarda ed ultima epistola XV, Si·m fos tan de poder (1282), vv. 158-159 («ni a sen natural / qui fa temer vergonha»). Secondo LINSKILL (Les Épîtres, p. 350, nota al v. 158), «le mot natural n'a pas chez Riquier la valeur morale quii possedè chez Marcabru et d'autres troubadours».
 
22. Per il participio passato con valore di aggettivo marritz, cfr. il partimen nº 2, nota al v. 33.
 
24. oblidar: per il significato di 'venir meno, mancare a', ma anche «tomber dans un état d’hébétude» assunto dal verbo, cfr. CROPP, Le vocabulaire courtois, p. 303, n. 103 (riferito alla forma riflessiva) e CRESCINI, Manuale, p. 423.
 
29. Per il concetto di tradimento, cfr. CROPP, Le vocabulaire courtois, p. 130, n. 70.
 
29-30. La lezione Irops del manoscritto, mantenuta da Pfaff, non dà senso: l'emendamento trops per Irops, segnalato da ANGLADE, Guiraut Riquier, p. 22, risale a Chabaneau, ma appare facilior e non convince grammaticalmente rispetto al suggerimento di CHAMBERS (Proper Names, p. 162), relativo al passo in esame, che dietro al termine corrotto si nasconda il nome Jop, 'Giobbe'. In effetti il contesto di fol'amor in cui è citato, risulta «somewhat surprising for Job»: Chambers nota soltanto che si tratta di una lista di nomi tratti dalla Bibbia (e tutti - è il caso di aggiungere - dal Vecchio Testamento). Nei tre testi provenzali richiamati da Chambers (il sirventese Cui bon vers agrada auzir, BdT 323.13, v. 42, e la canzone religiosa Deus, vera vida, verais, BdT 323.16, v. 19, entrambi di Peire d'Alvernhe, ed. FRATTA, pp. 69-75 e pp. 99-111; la canzone Si com trobam clar el vielh Testamen, BdT 427.6, vv. 9 e 59, di Rostaing Berenguier de Marselha, ed. MEYER, Derniers troubadours, pp. 84-87), Giobbe mantiene la stessa immagine di personaggio giusto e fedele a Dio anche nelle peggiori tribolazioni, e dunque paziente, che ci è stata trasmessa dalla Bibbia nel libro a lui dedicato e in altri passi (Ezechiele, 14.20; Tobia, II, 12.15; Giacomo, V, 11): in particolare nella canzone di Rostaing Berenguier de Marselha egli, chiamato in causa come esempio di pazienza (vv. 9-16) ed umiltà (v. 59), è in entrambi i casi citato - alla pari del partimen in esame - insieme alla figura di Salomone, che qui rappresenta la saggezza (vv. 17-24) e la virtù (vv. 59-60). Se, dunque, è senz'altro più convincente, rispetto alla lettura accettata da Anglade, l'avere qui due coppie bibliche, l'emendamento Jops lascia irrisolta la questione contestuale. Percorrendo la via aperta dall'intuizione di Chambers, propongo di correggere Irops con Erods (in sinalefe con la congiunzione e che lo precede), sebbene sia un nome presente solo nel Nuovo Testamento: potrebbe trattarsi di Erode il Grande, ricordato nella Bibbia soprattutto per la strage degli Innocenti (Matteo, 2.1-22), il quale, dopo un viaggio a Rodi presso Ottaviano (primavera del 30 a.C), fece condannare a morte la moglie Mariamne, sospettata di tradimento, e quasi impazzì, in seguito, per il dolore (Enciclopedia cattolica, V, p. 511; cfr. anche Peire d'Alvernhe, Deus, vera vida, verais, BdT 323.16, ed. FRATTA, p. 107, v. 41, «e·ls tres reis contra Hero», in riferimento ai Magi che non rivelarono ad Erode il luogo dove si trovava Gesù). Più probabile, però, che - se l'interpretazione del termine è plausibile - ci si riferisca al figlio Giulio Erode Antipa, portato alla rovina dal suo amore adultero e incestuoso per la moglie del fratellastro Erode Filippo (ancora un Erode tradito!), Erodiade, a sua volta nipote di Erode il Grande. Essa, per mezzo della figlia Salomè, lo costrinse a far decapitare Giovanni Battista, che lo aveva pubblicamente rimproverato per aver tolto la moglie al fratello (Matteo, 14.1-12; Marco, 6.14-29). Secondo alcuni commentatori antichi (Enciclopedia cattolica, I, p. 1481), come punizione di questo grave atto Erode subì la dura sconfitta da parte del suocero Areta IV, re dei Nabatei, che gli aveva mosso guerra per vendicare l'abbandono della figlia; in seguito, per la stessa sfrenata ambizione che l'aveva indotta a seguirlo in Galilea, Erodiade lo spinse a recarsi con lei da Caligola e chiedere la corona reale, ma caddero, per vendetta di Agrippa, in una falsa accusa di tradimento nei confronti dello stesso imperatore, che espropriò Erode dei beni e lo condannò all'esilio perpetuo a nord dei Pirenei (Enciclopedia cattolica, I, p. 1482).
Per quanto riguarda gli altri personaggi citati, Davide e Salomone sono già utilizzati, come esempio ammonitore nei confronti degli inganni amorosi, nella tenzone tra Ugo Catola e Marcabruno, Amics Marchabrun, car digam (BdT 451.1 ), la più antica che conosciamo, del 1133 circa (ed. RONCAGLIA, La tenzone, p. 214 e, per la traduzione, p. 216):
 
Catola, l'amors dont parlaz
camja cubertament los daz;
aprop lo bon lanz vos gardaz!
ço dis Salomons e Daviz.
[Catola, l'amore di cui parlate voi cambia di nascosto i dadi (= è baro); dopo la giuocata fortunata, state attenti! Così ammoniscono Salomone e Davide.]
La rovina di Sansone a causa della sua passione per Dalila è narrata nel Libro dei Giudici, 16, 4-22; il racconto dell'adulterio di re Davide con Betsabea ed il conseguente assassinio di Uria, marito della donna, si trova nel Secondo libro di Samuele, 11, 2-5, 14-25. Riguardo a Salomone, figlio di Davide, invece, il Primo libro dei Re tramanda solo notizie della sua lussuria senile (11, 1-10), che pur suscitò le ire del Signore. In ambito francese, Sansone, Davide e Salomone sono citati (con una funzione simile a quella del partimen qui trattato) nel Roman de Troie, ed. L. CONSTANS, vol. III, vv. 18044-48: «Qui est qui contre amor est sage? / Ço ne fu pas Fortis Sanson, / Li reis Daviz ne Salemon, / Cil qui de sen fu soveirans / Sor toz autres homes humains». Nella nota relativa a questi versi (vol. V, p. 15) si accenna alla leggenda sul tradimento di Salomone da parte della moglie, che si finse morta per fuggire con l'amante, resistendo anche alla prova del piombo bollente versato sul palmo della mano. Limitatamente a Salomone e Sansone, cfr. anche Le Roman de la violette, ed. LABAREE BUFFUM, p. 55, vv. 1294-1302: «Salemons, ki molt par fu sages, / Rechut par femme mains damages, / Carpar sa femme fu il pris. / Sanses, qui refu de grant pris, / Qui tant fu fors et resoigniés, / Refu par sa femme engigniés; / A ses anemis le vendi, / En dormant ses crins li tondi, / Apriés li fist crever les iex».
 
30-31. Costrutto anacolutico della frase.
 
31. La preposizione per introduce, in questo caso, il complemento di agente.
 
32. Gandida, sostantivo femminile, «refuge, protection» (PD, p. 201), ritorna a conclusione anche delle cobla successiva di Enveyos (v. 48), a sottolineare il legame tra i due attacchi del giullare allo sfidante; cfr. nota ai vv. 46-47.
 
33. La lezione trasmessa è ipermetra; l'emendamento parlatz per parlat ne era già stato suggerito in nota da Pfaff che, a proposito della leggibilità del manoscritto, aggiunge: «Dieses Lied ist an mehreren Stellen, so auch an dieser ausgelöscht, und von späterer Hand wieder hergestellt» (p. 236). Nella nota al v. 43, sempre a proposito delle -z finali mancanti in alcune forme verbali, Pfaff afferma di nuovo (p. 237): «pret, remanret, escarnit, alle mit fehlendem z durch den Wiederhersteller».
Il tema della riduzione di -tz a -t è affrontato da PERUGI nella sua edizione di Arnaut Daniel, II, pp. 734-743: se, a proposito della lingua di Arnaut «la documentazione è estremamente ridotta, non potendosi nella maggior parte dei casi decidere tra fonetismo limosino o, più modestamente, possibilità di un deterioramento precoce della declinazione bicasuale» (p. 737), poco più avanti Perugi parla esplicitamente di «rima limosina», designando con questa espressione «un'isoglossa dialettale, appunto la riduzione limosina -tz a -t, assurta alla funzione storico-culturale di un sigillo tangibile che l'origine limosina ha lasciato in eredità alla produzione trobadorica successiva». In riferimento al ms. R, però, ZUFFEREY (Recherches, p. 115) circoscrive il fenomeno - assai più raro della riduzione di -tz a -s, per cui cfr. la tenzone nº 4, v. 8 - alla 2ª persona plurale. La questione si ripropone ai vv. 38 (descauzit), 43 (pret), 46 (escarnit), 50 (dit). Per la scelta di non ripristinare la -z finale neppure in posizione rimica, cfr. CAPUSSO, L'Exposition, vv. 466-467 e relativa nota.
 
34. pauzar: per il valore tecnico assunto in ambito giuridico e «dialettico-dimostrativo» dal verbo, cfr. CAPUSSO, L'Exposition, p. 56, n. 15, e Guida, 'Jocs' poetici, p. 92, nota al v. 25.
 
37. Guiraut si riferisce a quanto premesso, nella formulazione dell'alternativa proposta a Enveyos, ai vv. 5-6. Per la forma maschile guitz al fianco della femminile guida, cfr. JENSEN, The Old Provençal Noun, p. 83.
 
40. Sciensa ha valore di trisillabo; cfr. anche il torneyamen De so don yeu soy doptos, nº 6 dell'ed. GUIDA, vv. 17-18: «Vostr'amors vos fay ginhos, / Guiraut, don avetz sciensa».
 
41-45. «La connaissance permet à l’homme d'acquérir pretz, car elle lui offre la possibilité de choisir sa conduite; Dieu donne pretz à ceux qui ont cette connaissance. Conoissensa peut même prendre la nuance de sagesse [...] Elle permet, en effet, d'éviter, dans tout acte, l'excès ou l'insuffisance et est au service de la 'mesure'; elle juge bon d'observer le juste milieu et, pour savoir la mesure de tout, il faut donc la posséder; elle est, comme on l'a remarqué, proche de la sagesse, tout en participant aussi de l'intelligence» (THIOLIER-MÉJEAN, Les poésies satiriques, p. 99). Cfr. il vers II, Be·m volgra d'amor partir, vv. 41-43 e 46-48: «Dieus als conoyssens lo dona / quar hom conoyssens mante / pretz e tot so que·l cove [...] Ses conoyssensa seguir, / lunhs hom no pot gazanhar / veray pretz, ni governar» (ed. LONGOBARDI, p. 34). Il concetto di acquistare valore, che è alla base della scelta iniziale di Enveyos, è sottolineato ulteriormente dal triplo polittoto pret-prezar-prezat dei vv. 43-44.
 
43. Per la forma pretz 1ª persona singolare dell'indicativo presente (qui non integrata per il fenomeno -tz > -t già illustrato alla nota al v. 33), cfr. CRESCINI, Manuale, p. 435.
 
46-47. L’escarnir, sottolineato dalla ripetizione e dalla posizione rimica, di cui tratta Enveyos in questi due versi, deve essere riferito a quanto già espresso nella IV cobla a proposito dei quattro personaggi biblici. Qui Enveyos vorrebbe dunque ribadire che 'er pus greu escarnida' l'anima di Guiraut, 'si Dieus non n'es gandida'.
 
48. Per la ripresa del termine gandida, cfr. nota al v. 32.
 
49. Riguardo all'ipermetria del verso nel manoscritto, due sembrano essere le proposte di emendamento possibili: quella qui adottata, cioè l'espunzione della particella onorifica sier, forma dittongata (per la quale cfr. CRESCINI, Manuale, p. 448) mai utilizzata da Guiraut in altri luoghi della sua produzione in versi; oppure l'espunzione del gruppo relativo + forma verbale, qu'es.
 
50. bel saber: come segnalato più volte, il copista tende a non rispettare le norme della declinazione bicasuale; cfr. anche, più avanti, bel sabers (v. 54).
 
52. c'arma s'en de<s>abrida: lett. 'che l'anima se ne sbriglia, se ne va senza freni', cioè senza la protezione divina - intesa come brida, 'briglia, freno' (< BRIDEL, per cui cfr. FEW, II, p. 524) rispetto agli inganni delle donne -, sulla cui mancanza Enveyos aveva messo in guardia Guiraut al v. 32. Già Pfaff, in nota, propone di emendare la lezione del manoscritto, darman sen de cabrida, con c'arma s'en desabrida; ANGLADE (Guiraut Riquier, p. 25), riprendendo Pfaff, interpreta desabrida (con grafia più frequente desabriza < BRISARE, per cui cfr. LR, II, p. 261, e FEW, I, p. 531) nell'accezione di 'abbattere, spezzare', e arma come 'arma', da correggersi, però, c'asta in quanto questo sostantivo non è mai usato al singolare (cfr. LR, I, p. 122: «A l'exemple de la langue latine, celle des troubadours n'a point employé ce mot au singulier»). Benché sia possibile ipotizzare una doppia corruzione del termine nel manoscritto, darman per c'armas, ritengo che Guiraut riprenda qui l'affermazione di Enveyos del v. 47, dove arma = 'anima' trova giustificazione in rapporto alla IV cobla (per cui cfr. nota ai vv. 46-47), mentre desabrida deve essere inteso nell'accezione di des(a)bridar = 'débrider' (ALIBERT, Dictionnaire, p. 271).
 
55. afortida: il participio passato femminile di afortir è utilizzato due volte da Guiraut Riquier, con diverse sfumature di significato, nel vers XXIII, Vertatz es atras tirada, v. 29, «tan quon es guerr'afortida», tradotto da Longobardi «almeno quanto è guerra affermata» (I 'vers', p. 146), e nella prima pastorella, v. 50, «trop es afortida», tradotto «sois muy tozuda» da M. DE RIQUER (Los trovadores, p. 1626). PD, p. 10: «afortit énergique, obstiné, entêté».
 
56. Verso la fine del sec. XII, fenida si diffuse come termine tecnico di origine iberica per indicare l'ultima strofa di una poesia (fiinda nella lirica galego-portoghese, finida nei canzonieri castigliani del sec. XV, come ricorda M. DE RIQUER, ed. di Guillem de Berguedà, pp. 180-181, nota al v. 51, ma anche fenida, part. pass, di fenir, in catalano medioevale, per cui cfr. DEC, III, p. 1000). In tale accezione, nella lirica provenzale tràdita esso compare per la prima volta nella chiusa dell'unica canzone giuntaci di Azalais de Porcairagues, Ar em freg temps vengut (BdT 43.1), vv. 53-56 (versione dei mss. CDIKd): «Joglar, que avetz cor gai, / ves Narbona portatz lai / ma chanson a la fenida / lei cui jois e jovenz guida» (RIEGER, Trobairitz, p. 482). Riguardo questo testo, MÖLK (Deux remarques, p. 7) afferma che «ici on ne peut pas douter que le mot désigne précisément le petit couplet final où il figure», ma nel contempo rileva come in seguito (e già in Marcabru, Ges l'estornels non s'oblida, BdT 293.26, v. 67, «Gent ha la razon fenida», tradotto da DEJEANNE nella sua edizione, p. 130, «Il a gentement rempli sa mission») fenida fu spesso utilizzato come sinonimo di 'fine'. Per altre occorrenze con il significato di tornada, cfr. Guillem de Berguedà, Sirventes ab razon bona, BdT 210.17a, vv. 51-52, «Oliver, a la fenida/ del sirventes», al cui proposito l'editore M. DE RIQUER (pp. 180-181) richiama il v. 43 della canzone Pos lo prims verchanz botona di Peire Raimon de Tolosa, BdT 355.12, «Lo vers vai a la fenida», che egli - a differenza di CAVALIERE, p. 71 dell'ed. di Peire, «Il vers va alla fine» - interpreta «la canción llega a la tornada». Cfr., inoltre, Bertolome Zorzi, Jesus Critz per sa merce, BdT 74.6, vv. 76-77, p. 52 dell'ed. LEVY: «Qu'il sia prop ma fenida / En paradis aculhida».

 

 

 

 

 

 

 

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