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Boni, Marco. Sordello, Le poesie. Nuova edizione critica con studio introduttivo, traduzioni, note e glossario. Bologna: Palmaverde, 1954.

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2. leials ... vaire: letteralmente «leale, fedele e senza cuore mutevole»; ses cor vaire è un’espressione equivalente alle note locuzioni ses cor galiador e ses cor trichador (per cui cfr. IX, v. 18 e nota), e frequentemente usata: cfr. ad esempio, Folquet de Marseilla, ten. Tostemps, si vos, v. 40 sol m’am ses cor vaire (ed. S. STROŃSKI, Cracovie, 1910, p. 69); Elias de Barjols, discordo Si·l bela, v. 20 qu’ieu vos am ses cor vaire (ed. S. STROŃSKI, Toulouse, 1906, p. 9); Lanfranco Cigala, Segne ’n Lafranc, tant (tenzone con Simone Doria), v. 51 car vos l’amatz et ill vos ses cor vaire (ed.G. BERTONI,I trovatori d’Italia,Modena, 1915, p. 393); Bonifacio Calvo, Ai Deus! s’a cor, v. 33 e leials ses tot cor vaire (ed. M. PELAEZ, in Giorn. stor. d. lett. it., XXVIII, 1896, XVI; ma cfr. l’ed. dell’APPEL, Prov. Chrest.,Leipzig, 1930, p. 79). L’espressione è documentata anche fuori del linguaggio amoroso: cfr. ad es. Bertran de Born, pianh Mon chant fenisc, v. 29 Gent aculhir e donar ses cor vaire (ed. A. STIMMING, Halle, 1879, p. 176). Cfr. L. R., V, p. 459; S. W., VIII, p. 559, 3. In Sordello ricorre anche nella canzone VI, v. 42.
 
3. per totz temps: più comunemente senza per; ma non mancano esempi anche della costruzione col per (cfr. Bertran de Born, Mon chant fenisc, v. 2, ed. STIMMING, p. 175. Cfr. L. R., V, p. 320; S. W., VIII, p. 127, 13.
 
5-6. Come ha osservato il NAETEBUS, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Archiv f. das St. d. n. Spr. u. Lit., XCVIII, 1897, p. 206, occorre seguire la lezione di F, perché lo schema metrico richiede qui una rima in -enz; e qui non s’incontra alcuna difficoltà (ma cfr. v. 15-16). Temenz è participio presente, in luogo del consueto gerundio.
 
10. met ... en air: «prendre en haine», sec. il L. R., ove è citato proprio questo passo di Sordello (III, p. 575).
 
11. poc. Ci aspetteremmo pogra; ma poiché la possibilità è riferita al passato basta ad esprimerla il perfetto indicativo: cfr. Bertran de Born, sirv. Anc no·s poc, v. 1-2 Anc no·s poc far major anta, / quan m’assols (ed. STIMMING, p. 130); Peire Raimon de Tolosa, canz. Lo dolz chans, v. 30 et ancora, si·ll platz, donar mi poc (ed. A. CAVALIERE, Firenze, 1935, p. 46).
 
12. qan: costruzione ellittica, invece di «que qan», non rara quando il secondo termine di una comparazione è una proposizione (cfr. ed. STIMMING, p. 233, nota al v. 2 del n. 3).
 
13. non volc formar: accetto l’interpretazione del LEVY, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Zeitschr. f. rom. Phil., XXII, 1898, p. 257, secondo il quale la frase non significa «hätte nicht bilden können», ma «hat nicht gebildet». Il DE LOLLIS (Vita e poesie di Sord., Halle, 1896, p. 291) voleva invece tradurre «non avrebbe potuto», richiamando l’uso dell’indicativo in luogo del condizionale del v. 11, e osservando che i verbi voler, poder, dever con un infinito dipendente «hanno un’oscillazione di significato che permette loro di sostituirsi l’un l’altro» (per cui rimandava al DIEZ, Gramm. der roman. Sprachen, Bonn, 1882, p. 927). Cfr. S. W., VIII, p. 822, 20.
 
14. Nell’ed. De Lollis c’è un punto e virgola dopo vejaire; ma il NAETEBUS (ibid.) giustamente osserva che, dal momento che il poeta qui si rivolge direttamente alla donna amata (cfr. v. 12 e 19), è impossibile che nei v. 15-18 si accenni alla dama in terza persona: i v. 12-18 vanno quindi strettamente legati ai precedenti. Per l’espressione a mon vejaire cfr. L. R., V, p. 534 e seg.; S. W., VIII, p. 610, 11; E. LEVY, Guilhem Figueira, Berlin, 1880, p. 101.
 
15-16. Lo schema metrico richiederebbe la rima in -enz. Per ovviare a questa infrazione, e insieme per legare meglio questi versi ai precedenti, il NAETEBUS (ibid.) propone di leggere cui·l cors es dregz e plazenz / cara douza e rizenz / e naturals la beltatz; e a tale emendamento si mostra favorevole anche il LEVY, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 257, mantenendo però qe·l. Ed è, in complesso, una correzione plausibilissima. Tuttavia la rima in -enz potrebbe essere restituita anche mantenendo la costruzione data da H (col verbo a retto da qe), ammettendo che plazenz erizenz (e beltatz del v. 17) siano infrazioni alla regola flessionale dovute alla rima; fenomeno certo tutt’altro che frequente, ma non rarissimo, e sicuramente attestato (e non solo per i sostantivi imparisillabi con accento mobile del tipo bar - baro), anche se in qualche caso si può pensare anche a guasti dovuti ai copisti: cfr. V. CRESCINI, Manuale per l’avviamento agli st. prov., Milano 1926, p. 67, e 71 seg.; STIMMING, ibid., p. 240 e seg. (n. al v. 40 del sirv. Ar ven) e p. 295 (n. al v. 5 del sirv. S’ieu fos aissi); J. COULET, Le troub. Guilhem Montanhagol,Toulose, 1898, p. 93 (n. al v. 19 del sirv. Del tot vey); A. CAVALIERE, Le poesie di Peire Raimon de Tolosa,Firenze, 1935, p. 103 (n. ai v. 20 e 38 della canz. Si com l’enfas); J. BOUTIÈRE, Les poésies de Peire Bremon Ricas Novas,Toulouse-Paris, 1930, p. 122 e seg. (n. ai v. 4-6 del planh Pus partit an). Cfr. anche — ma questi esempi vanno considerati a parte, trattandosi di un trovatore italiano (e per di più di un trovatore che usa una lingua ricca di italianismi: cfr. BERTONI,ibid., p. 173 e segg.) — gli esempi di Bertolome Zorzi citati dal LEVY nella sua edizione (Halle, 1883, p. 86, n. al v. 115 della canz. Atressi cum lo camel). E l’elenco potrebbe continuare (cfr. ad es. Granet, ed. PARDUCCI, in Miscellanea di letteratura del medio evo, Roma, 1929, III, 7 e 37; V, 39, e note relative). Nel dubbio, ho mantenuto la lezione del ms.
 
18. ses ... faillir: letteralm. «senza volontà di mancare (di commetter colpa)».
 
24. fassatz: ho adottato qui la stessa forma che anche H ha al v. 27 (cfr. LEVY, ibid.); - pauc ni gaire: letteralm. «né poco né molto»: cfr. L. R., IV, p. 458; S. W., IV, p. 16, 1.
 
25-26. Per la costruzione anacolutica di questi versi, già notata dal De Lollis, cfr. STIMMING, ibid., p. 271 (n. al v. 6 del sirv. Mailolis, joglars) ove si citano altri esempi.
 
31 e segg. Per il contenuto di questi versi cfr. XII, v. 33 e segg., e la nota relativa.
 
31. fai bel: faire ha qui il valore di «essere», come accade in simili costruzioni in cui è unito a un aggettivo ed è seguito da un infinito (che non è soggetto, come pensa il DE LOLLIS, ibid., p. 292, ma oggetto: cfr. A. TOBLER, Vermischte Beiträge, Leipzig, 1886, I, p. 179; A. MUSSAFIA, Zur Kritik und Interpretation rom. Texte, in Sitzungsberichte d. Kais. Akad. d. Wiss. di Vienna, Phil. - hist. Klasse, CXXXIV, 1895, IX Abh., p. 27). Cfr. STIMMING, ibid., p. 243 (n. al v. 52 del n. 6); A. JEANROY, J. J. SALVERDA DE GRAVE, Poésies de Uc de Saint Circ, Toulouse, 1913, p. 198; BERTONI, ibid., p. 502; S. W., III, p. 384, 21, ove è citato anche questo esempio di Sordello. Costrutti analoghi nell’Ensenhamen (XLIII), v. 907 e 937.
 
36. Per la forma isco si cfr. quanto è stato detto nell’Introduzione, p. CLXXVIII. Ai rimandi bibliografici delle n. 252 e 254 si aggiunga C. APPEL, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Literaturblatt f. germ. u. rom. Phil., XIX, 1898, col. 230 e seg., che cita anch’egli il consello di XLII, 8, ma si dimostra incline a ritenere che isco sia una corruzione dovuta ai copisti.
 
39-40. Il DE LOLLIS, ibid., p. 292, si limitò ad annotare: «Senso?», non tentando neppure una spiegazione, e sul passo non si soffermarono in alcun modo né il Mussafia, né l’Appel, né il Levy, né lo Schultz-Gora, né gli altri recensori dell’edizione del De Lollis. Mi sembra che la traduzione che propongo possa rendere il senso della frase (più letteralmente si potrebbe tradurre «Perché è con me che vi adirate, cosa che mi toglie pensiero e riflessione?»). Sordello cioè si lamenta dell’odio che sembra avere verso di lui la donna, e dice che ciò (intendo il que del v. 40 come neutro, riferito alla frase precedente) lo turba tanto, che gli toglie la possibilità di pensare e di riflettere (s’intende, ad altre cose): motivi comuni della poesia amorosa. Si potrebbe anche, conservando la interpunzione del De Lollis (punto e virgola dopo remir, senza punto interrogativo dopo consir), intendere il v. 39 come una interrogativa indiretta, che si potrebbe anche collegare al pensan che precede: «(considerando) come voi siate adirata con me, cosa che...».
 
41. nuills temps: il MUSSAFIA, ibid., p. 18, trova sospetto il plurale, e vorrebbe correggere in nuill. Effettivamente in tali locuzioni è usato comunemente il singolare (cfr. S. W., VIII, p. 127, 9): ma vi è anche qualche esempio di costruzione col plurale (Trattato provenzale di penitenzaedito dal DE LOLLIS, in Studi di filol. romanza, V, 1898, p. 318, que degus temps ... non riçia ni mostrava solat ni gaug [cfr. APPEL, Prov. Chrest., p. 185]; e, col senso negativo dato dal non, Guiraut Riquier, canz. Pus sabers no·m val, v. 13-15 semblans / m’es que ja lunhs temps retraire / non l’auzarai mos talans (APPEL, ibid., p. 74; cfr. S. W., ibid.). Del resto l’espressione ricorre anche altrove in Sordello: cfr. X, v. 40 (ove però ci troviamo di fronte a una lirica conservata dal solo ms. H); e analogo è negus temps del v. 18 della canz. XII (lirica conservata da C R). Il Mussafia, peraltro, sarebbe incline a correggere anche questi passi.
 
42. tan de mal traire: traire nel senso di «sopportare», «soffrire»: cfr. Bernart de Ventadorn, canz. Amors e que·us, v. 8 que·m fassatz tostems mal traire (APPEL, ibid., p. 22), canz. En cossirer, v. 11 qu’ela no sap lo mal qu’eu trai (APPEL, ibid., p. 98), canz. Can la frej’aura, v. 33 c’aissi·m vezetz mal traire (APPEL, ibid., p. 214); Peire Vidal, canz. Ab l’alen, v. 15 qu’om no poi lo jorn mal traire (ed. J.ANGLADE, Paris, 1923, p. 60), ecc. Cfr. L. R., V, p. 399; S. W., VIII, p. 363, 30.
 
43-44. Accolgo l’eccellente emendamento proposto dal MUSSAFIA, ibid., approvato anche dallo SCHULTZ-GORA, ibid., p. 255, e dal BERTONI, ibid., p. 300, e che senza dubbio coglie nel segno. Merceiar è infinito: abbiamo la consueta costruzione di esser a seguito dall’infinito, che indica una azione che deve essere fatta immancabilmente: cfr. L. R., III, p. 195; S. W., III, p. 212, 10; cfr. anche COULET, ibid., p. 107 (n. al v. 1 del n. VI); CAVALIERE, ibid., p. 28 (n. al v. 24 del n. IV). No·s naturalmente vale no·us (cfr. CRESCINI, ibid., p. 81; e cfr. LEVY, Der Troub. Bertolome Zorzi, p. 85, n. al v. 62 del n. 2). Il De Lollis leggeva qu’eu nos sial mercejar, considerando mercejar come sostantivo, e spiegandolo come «una riduzione, per assorbimento dell’-i-, della forma regolare mercejaire». Infondate, al solito, le obiezioni mosse al Mussafia dal GUARNERIO, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Giorn. stor. d. lett. it., XXVIII, 1896, p. 400, il quale dà anche del passo una traduzione del tutto errata. Cfr. anche LEVY, rec. al vol. del DE LOLLIS, p. 257.
 
47. tengn’a pagatz: nel De Lollis tengna pagatz: ma cfr. NAETEBUS, ibid. È costrutto analogo all’altro, molto più diffuso, se tener per pagatz, su cui si cfr. STIMMING, ibid., p. 229 e seg., n. al v. 6 del n. 1 (con abbondante esemplificazione). Un esempio della nostra costruzione si ha, mi sembra, in Guiraut de Calanson, canz. El mon non pot aver, v. 5-6 Qu’ieu de mon ferm voler / mielhs no·m tenha pagatz,dove sarà da leggere piuttostotenh’a pagatz (ed. A. JEANROY, Jongleurs et troubadours gascons, Paris, 1923, p. 44). La frase ritorna in Sordello anche in VII, v. 37; XX, v. 1, e XLIII, v. 891 (nel secondo caso con il caso obliquo [pajat] in luogo del nominativo: costrutto meno frequente). Per l’oscillazione tra a e per in simili costrutti, cfr. S. W., VIII, p. 150, 13; DIEZ, ibid., p. 850 e 893. Cfr. il glossario.
 
50. ja Deus mercei: il LEVY, ibid., propone di leggere Be·us o mercei, emendamento della lezione Deus o mercei, che egli crede (fondandosi sull’apparato del De Lollis, che qui certo non è del tutto chiaro) sia la lezione di H. La frase in sé correttissima, perché il costrutto m. alcuna ren ad alcun è ben noto (cfr., oltre gli esempi citati dal LEVY, ibid., S. W., V, p. 231, 4, ove si cita anche questo passo di Sordello); ma ia è chiarissimo nel ms., e, a mio avviso, dovendosi eliminare una sillaba per sanare l’ipermetria del verso, non si deve eliminare ja, per l’evidente parallelismo tra questo verso e il v. 54. Bisognerà piuttosto eliminare o (cfr. X, v. 16). Ja serve qui a rafforzare l’affermazione: cfr. Guilhem Montanhagol, sirv. On mais a om, v. 35 Ja morretz vos, quanque quan (ed. COULET, p. 149; e cfr. gloss.); e S. W., IV, p. 242, 3. Sul passo cfr. anche SCHULTZ-GORA, ibid., che inclinerebbe invece a eliminare ja.

 

 

 

 

 

 

 

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