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Del Monte, Alberto. Peire d'Alvernha, Liriche. Torino: Loescher-Chiantore, 1955.

323,007- Peire d'Alvernha

È questa una poesia apparentemente dispersiva, che si rivela invece compatta, solo che se ne colga il nucleo ispiratore. Questo, come di frequente in questo poeta, consiste nella sua «balansa», nella sua incertezza, nella sua contraddizione spirituale fra una volontà esaltante e una consapevolezza pessimistica: questa volta, nell’incertezza di veder attuato il proprio ideale etico-cavalleresco. Animato dalla stagione, dal messaggio della natura, egli incita alla crociata e s’abbandona al sogno di vittoria e, a meglio incuorare l’interlocutore, condanna chi degrada l’esaltazione cavalleresca. A questo oppone se stesso che ama quella letizia spirituale, prodotta e alimentata dall’amore quale tramite di perfezione morale; ma egli sa bene che sul proprio ideale prevale la realtà, la saggezza pratica, la bruta carnalità, che si cura solo delle parvenze materiali. E chiude il sirventese fra la malinconia e Io scetticismo: s’impari la prima parte del suo canto, quella piena d’incitamento e di speranza; altri ha cantato le stesse cose ed è stimato un pazzo che si sia dimenticato delle esigenze e delle finalità della carne.
1. Bel m’es quan: esordio assai frequente di canzone o sirventese. Cfr. BERNART DE VENTADORN, Bel m’es can eu vei la brolha; GUILHEM MONTANHAGOL, Bel m’es quan d’armatz aug refrim; MARCABRU, Bel m’es quan la rana chanta, Bel m’es can s’esclarzis l’onda, Bel m’es quan son li fruich madurBel m’es quan la fuelh’ufana, (?) Bel m’es quan s’azombra·l treilla; PEIRE DE BERGERAC, Bel m’es quant aug lo resso; RAIMON VIDAL, Bel m’es quan l’erba reverdis.
 
3. I precedenti editori: a m’aventura. ZENKER: auf Geratewohl, der mir im Kopfe liegt (?); RIQUER: a caso. Ma che significa che il poeta è incerto per il canto dell’usignolo? Io intendo: fare una canzone alla (dirigendola alla, augurandosi quella) buona fortuna di cui è incerto (cioè la realizzazione del proprio ideale etico-cavalleresco), indotto a poetare dal canto ecc.
 
4. mas cors: cfr. nota a III, 42.
balanssa: LEVY, Pet. Dict., s. v.
 
5. rossinhol: l’usignolo era un messo d’amore e Peire come tale lo rappresenta in Rossinhol, el seu repaire. Ma nella simbologia medievale l’usignolo e il suo canto erano l’annuncio, il tramite dell’amore; e per i trovatori l’amore era la condizione necessaria della poesia: è perciò che il canto dell’usignolo coincide con l’ispirazione del poeta, ispirazione ch’è pur sempre, nel primo impulso, amorosa, anche se poi, coerentemente alla particolarissima indole della fin’amor, diviene etica, ma sempre nell’ambito di una moralità cavalleresca.
plais: ZENKER = campi, ma cfr. LEVY, Pet. Dict., s. v. e cfr. V, 4 e IX, 2.
 
8. Il verso manca di due sillabe. MILÁ: Reis, per los Christians faillis = Re, per i Cristiani mi rattristo; ma non rinvenendosi faillir col significato datogli dal filologo spagnuolo, SUCHIER, seguito dagli altri editori, emendò: Reis, per Crist!, ia nos falh lo ris = Re, per Cristo!, ormai ci vien meno il riso; emendamento, a mio parere, eccessivo e non persuasivo. Prima di tutto, si deve tentare la congettura, lasciando intatti gli elementi dati dai mss., e, quindi, in questo caso faillis. Inoltre, metricamente, la rima è sempre data da un verbo, ciò che sarebbe superficiale credere casuale in un trovatore e ancora più nell’Alverniate. Contenutisticamente, le parole per Crist! avrebbero un assai improbabile valore imprecativo. E, oltre a ciò, i vv. 10-11 risulterebbero troppo staccati dai vv. 8-9 e 12-14, mentre il testo diviene coerente se s’intende: Re, in nome di Cristo, ormai non ci abbandonare, perché i maomettani sono a noi superiori; (ma potremo vincere, se non ci abbandoni perché) nessun signore armato è in guerra migliore di te ecc. La forma faillis, è dunque quella originale, divenuta faillitz in E per errore del copista. Per la forma incoativa di faillir (imper. sing.), cfr. APPEL, Chrest., 3, 54; 53, 5. Si sarebbe anche potuta riprendere la lezione del Milá traducendo faillis con «sono deluso» (cfr. LEVY, Pet. Dict., s. v.), se non fosse pur sempre stentata nel senso. Il re è Sancho III di Castiglia (cfr. MILÁ, Trovadores en Esp., p. 82 e ZENKER, p. 107).
 
9. masmutz = maomettani. Cfr. BERTRAN D'ALAMANON, ed. Salverda De Grave, 21, 14; GIRAUT DE BORNELH, ed. Kolsen, 31, 55 e 59; GUILHEM ADEMAR, ed. Almaquist, 7, 49.
 
12. L’imperatore è Alfonso VII di Castiglia e di León (cfr. MILÁ e ZENKER, locc. citt.).
 
13. fai fraitura = manca, fa difetto. Cfr. catal. far fretura. Parimenti: aver f. de = mancare, difettare di; cfr. SAINTE FOY, ed. Hoepffner, 568.
 
14. Allusione a sel que·l ioi del segtle delis? o a qualche specifico personaggio?
 
15. MARCABRU, ed. Dejeanne, 40, 1: Pus mos coratges s’esclarzis — per selh foy.
 
19. Labadol: MILÁ: arrestol = l’asta. Lo ZENKER identifica Labadol con Badajoz.
 
21. feiran lais: ZENKER = wird man Lieder auf Euch dichten; SCHULTZ-GORA, Lit.-Blatt., 1902, 71: feira·n lais.
 
22-28. Seguo l’interpunzione dell’APPEL, Zts., 43, 419; non però la sua interpretazione, che riprende quella del DIEZ, L. u. Wª., 43, secondo la quale v’è già in questa strofa un’allusione a Marcabru e, implicitamente, a chi ne condivide le idee, fatta con amara ironia: interpretazione ingegnosa, ma forzata. Accettandola, si dovrebbero credere improntati d’ironia anche i vv. 29-31, ma i vv. 22-31 non hanno un tono dissimile da quello dei vv. 32-35.
 
25. RIQUER: aquel al cual el placer del siglo disipa; ma ioi è caso obliquo. Lo ioi del setgle è l’esaltazione cavalleresca, la vitalità etica. La gioia è contrapposta al vizio anche in XV, 29. Vero è che altrove, e più di frequente, Peire condanna lo ioi del setgle: ma sempre in sirventesi religiosi, d’ispirazione ascetica. La dissimiglianza del «genere» e la rigorosa obbedienza alla tradizione dei poeti medievali risolve l’apparente contraddizione.
 
25. fai avol demostransa = si comporta male. Cfr. LEVY, Pet. Dict., s. v. demostransa. ZENKER: zeigt selbst gemeines Benehmen. APPEL, liberamente: von gemeinen Dingen redet.
 
26. per tan non = tuttavia non. Cfr. LEVY, Pet. Dict., s. v. tan.
 
26-27. ZENKER: aber obgleich man sich nicht um ihn kümmert, beugt er doch nicht den Nacken. RIQUER: y no inclina la cerviz porque se ha entregado a la indiferencia. La prima interpretazione è arbitraria, la seconda non ha senso.
 
27. APPEL: weil er als gleichgültig beiseite geworfen wird. Ma cfr. LEVY, Pet. Dict., s. v. noncura. Cfr. anche MARCABRU, ed. Dejeanne, 9, 18: e giet’honor e valor a non cura.
 
30. quan = que; cfr. nota a IV, 8.
 
31-35. ZENKER dichiarava questa strofa inintelligibile e certo essa è fra le meno decifrabili di Peire né le interpretazioni fin’ora addotte sono del tutto soddisfacenti. SUCHIER intendeva il v. 31 come: Amors vol calonjas, dura ecc., il che non si comprende che cosa possa significare. Lo SCHELUDKO (Zts., 60, 223), adottando il testo dello Zenker (Amors vol quan longias dura e non pot ecc.) traduce: L’amore divino vuole gioia di lunga durata; non si può avere alcuna fiducia se l’amore carnale vuole altrimenti; perché vedo che il corpo ha solo una cura: d’ingrassare i suoi signori. Il testo è già sottilmente violentato per essere sottoposto alla tesi dello Scheludko di una contrapposizione agostiniana fra Amor Dei e Amor mundi. Ma nella strofa precedente è stato detto che «chi distrugge la gioia della vita» è un miserabile. Ora il poeta dice ch’egli si comporta nel modo contrario, cioè, di conseguenza, di chi ama «la gioia della vita», Come poi può continuare nei termini supposti dallo Scheludko? L’esegesi di questo è esercitata su singoli luoghi avulsi dal contesto, e perciò è preconcetta e risulta ingiustificata. Poco perspicua è la traduzione del Riquer, che adotta anch’egli il testo Zenker e rinvia per l’interpretazione allo Scheludko, benché si discosti da questo per i vv. 32-35: se (l’Amors, cioè l’amor puro) non vuole amore carnale (? !); perché vedo che il corpo si preoccupa solo di signore che lo cibi. Diversamente l’Appel, che adotta la lezione di T per il v. 32 e interpreta carnal amar come oggetto ed engrais come intransitivo; ma s’arrende davanti al v. 31. Io emendo il can longias di T (ma m calomas) in c’a longias (cfr. LEVY, Pet. Dict.; DAUREL E BETON, ed. Meyer, 799), e seguo per il resto l’Appel, e a questa aderenza alle esigenze grammaticali faccio corrispondere un’eguale aderenza alla lettera, in modo da interpretare: il poeta nella strofa precedente ha condannato coloro che degradano la gioia della vita (da intendersi nel modo sopra detto); a questi oppone se stesso, cui è gradita invece la letizia spirituale derivante dalla gioia. L’Amore che è la causa prima di quella gioia, in quanto tramite di perfezione etico-cavalleresca, e quasi con quella gioia s’identifica, vuole che duri a lungo tale letizia. Ma l’uomo non si sente garantito se non negli appetiti carnali, perché la materia non si cura se non del benessere fisico.
 
36. Cfr. JAUFRE RUDEL, ed. Jeanroy, 5, 53; BERNART MARTI, ed. Hoepffner, 4, 8, 10.
 
37. Cioè la parte d’esortazione e d’ottimismo.
 
39. Con lo stesso monito.
 
40. ZENKER riferisce il pronome lo al vers.
 
41. ZENKER: conois sa natura. Ma il cong. membre esige conoissa. I precedenti interpreti riferiscono il pronome relativo a tug e lo SCHELUDKO ricorda, in verità non molto a proposito, l’Ecclesiaste, 12, 1 ss.: memento, homo, quod pulvis es et in pulverem reverteris (?). Ma se dipendessero da tug, i due verbi dovrebbero essere indicativi plurali. Intendo: tanto folle da non conoscere la propria natura carnale e non ricordarsi lo scopo della vita che, secondo loro, è il carnal amar. La fine è un suggello d’amarezza.

 

 

 

 

 

 

 

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