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Vatteroni, Sergio. Le poesie del trovatore Johan Esteve. Pisa: Pacini, 1986.

266,009- Joan Esteve

Il componimento è denominato in rubrica vaquieyra, cfr. Doctrina de compondre dictats, ed. MARSHALL, Razos and associated texts, 48-9, sulla pastorella: e potz li metre altre nom de pastora, segons lo bestiar que gardara. La pastora, infatti, a seconda degli animali che custodisce, è chiamata pastora, vaquieira, porquieira; cambia, di conseguenza, anche la denominazione della lirica. Di questa esigenza di precisione terminologica è esempio Guiraut Riquier nell’epistola ad Alfonso X di Castiglia, cfr. BERTOLUCCl, La supplica, in particolare, per i pastori, i vv. 516-20 della Supplicatio.
 
1. Per ogan SCHULZE-BUSACKER, L’exorde, p. 225, non può citare che questo solo esempio.
 
3. Olargue: nell’Arrondissement di St. Pons (Hérault).
— boy: è probabilmente un francesismo, cfr. Girart de Roussillon, ed. HACKETT, vv. 500, 617, 651 ecc. La forma provenzale è bosc.
 
4. tost e vil: ‘velocemente’. Cfr. SW VII p. 767 n. 7 (vil = «schnell»); Elias de Barjols, ed. STROŃSKI, pp. 75-7 nota al v. 28 di VII, con esempi del sintagma, cui si aggiunga Guillem d’Autpol, L’autrier, a l’intrada d’abril, ed. AUDIAU, La pastourelle, v. 22.
 
7. sotil: cfr. AUDIAU, La pastourelle, p. 169 nota 7.
 
8. so: = son, cfr. v. 70 mo fre. Sulla caduta della n finale cfr. RONJAT, par. 385; GRAFSTRÖM, Graphie, par. 53 1; GRAFSTRÖM, Morphologie, par. 28 (sulle due serie mo lo so e mon ton son). AZAÏS e BAYLE stampano erroneamente se.
 
9. que: piuttosto che alla pastora (con gardava usato assolutamente), andrà riferito alla vacca e al vitello (‘i quali’).
 
12-3. Sarà probabilmente da intendere così: la pastora, pregando, si inginocchia e si rialza come fanno i ‘continenti’, forse a seconda delle particolari preghiere che sta recitando. Non costituisce difficoltà l’assenza del pronome riflessivo per levava, cfr. infatti SW IV p. 386 n. 15; per baissar cfr. PD p. 39.
 
14. contenens: cfr. SW I p. 341; AZAÏS «une personne continente»; AUDIAU, La pastourelle, «une personne qui s’est vouée à l’abstinence», traduzione che RIQUER, Los trovadores, p. 1605 nota 14, ritiene «acertada». Esiste però nell’italiano antico il termine continente, «uomo o donna che, pur stando nel secolo, seguono le regole di un ordine religioso e, in particolare, dei Terziari» (S. BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, Torino 1961 ss., III p. 665), di cui la voce contenens potrebbe costituire l’equivalente provenzale. Il significato attestato nell’italiano antico rientrerebbe del resto assai bene nel contesto della pastorella: più avanti si parla infatti delle beghine che, in alcuni periodi della loro storia, costituirono una sorta di ordine terziario.
 
15-6. È un tratto tipico della pastorella che il cavaliere, scorta la pastora, lasci la sua strada e si diriga verso di lei; cfr. Marcabruno, L’autrier, jost’una sebissa, v. 16 destors me sui de la via (RONCAGLIA, 25 poesie, p, 39); Gavaudan, ed. GUIDA, II, vv. 7-8 e destolgui·m de la via / vas lieys.
 
18. sa razo: tutti gli editori emendano in s’orazo, cfr. infatti v. 10 ez horava. A mio parere, tuttavia, non c’è ragione di correggere una lezione che non danneggia il senso e che, in sostanza, è equivalente all’emendamento.
 
22. co ssi mort me vis: non credo che la pastora si riferisca alla morte dell’anima, al peccato, anche se nella letteratura provenzale la parola ‘morte’ compare anche con questa accezione, cfr. i vv. 18-9, 40-1 e 62-3 dell’alba religiosa di Guillem d’Autpol (APPEL, Prov. Chrest. 58); Aimeric de Belenoi, ed. DUMITRESCU, XXI, v. 50. Piuttosto, la pastora vede il cavaliere come già proiettato nella morte, semplicemente perché dovrà morire. In altre parole, la pastora vuole insinuare nell’animo del cavaliere la paura della morte, prospettandogliela come imminente, e quindi il desiderio di redimersi. Il comportamento della pastora richiama da vicino la letteratura ascetica e monastica: è noto infatti come durante tutto il medio evo fosse diffuso nella letteratura morale il tema del disprezzo del mondo, insieme a quello della contemplazione e meditazione sulla morte (si tratta del luogo comune del memento mori e dell’ubi sunt). I testi insistono sulla necessità di prepararsi alla morte (si vedano, più avanti, i vv. 26-8 e 34-6); il motivo dell’ubi sunt è considerato dai predicatori il mezzo più efficace per dimostrare come siano vani i beni terreni di fronte all’aldilà (cfr. M. LIBORIO FERRUCCI, Il sentimento della morte nella spiritualità dei secoli XII e XIII, in «Il dolore e la morte nella spiritualità dei secoli XII e XIII. Atti del V convegno di studi sulla spiritualità medievale», Todi 1967, pp. 45-65). M. LIBORIO, Contributi alla storia dell’ubi sunt, «Cultura neolatina» XX (1960) pp. 141-209, nota che questi temi si svilupparono particolarmente nel XII e XIII secolo, in genere negli ambienti borghesi e mercantili (soprattutto in Italia): «la Chiesa ora rivolge i suoi ammonimenti ai ricchi borghesi, ed è per commuovere le loro anime che nasce una nuova forma di predicazione religiosa, come una nuova letteratura era nata per divertirli». Per scuotere la loro sicurezza sono allora necessarie «sensazioni forti, che colpiscano più i sensi che l’anima o l’intelletto» (p. 167). Per la letteratura provenzale si veda RONCAGLIA, Il dolore e la morte, p. 170, dove si nota l’esistenza di «tutto un filone [...] che, dipartendosi da Marcabruno, convoglia fino agli ultimi trovatori la ripetizione d’una stessa tematica della morte in funzione moralistico-ammonitrice [...]». Cfr. anche THIOLIER-MEJEAN, pp. 362-6. Per co ssi cfr. V v. 9 e la nota.
 
24. que·us fai ara:letteralmente ‘cosa vi fa ora’.
 
32. Letteralmente ‘siate con me di un volere’. Cfr. Sordello, ed. BONI, XVII, v. 2.
 
33 ss. La pastora ignora apparentemente le richieste del cavaliere, e gli risponde con nuove esortazioni. Si confrontino, da un ritmo mediolatino attribuito a Bernardo di Chiaravalle, questi versi sui piaceri della carne: Ergo, si scis qualitatem / tuae sortis, voluptatem / carnis quare sequeris / memento te moriturum, / et post mortem id messurum / quod hic seminaveris (Patr. Lat., CLXXXIV col. 1318).
 
36. membre·us: impersonale, cfr. SW V p. 184 n. 5.
 
41. a mal aire: AZAÏS «en mauvais état» (così anche BAYLE, p. 117); AUDIAU, La pastourelle, «je vous trouve mauvaise mine» (così NELLI, p. 403); RIQUER, Los trovadores, «de mal aspecto». Il sintagma a mal aire non deve essere confuso con de bon aire,de mal aire, espressioni molto frequenti nella lirica trobadorica, che significano ‘di buona, mala natura’, ‘di buona, mala stirpe’; cfr. PD p. 13 aire «s. m. famille, lignee, extraction, nature»; FEW I p. 134 AREA. Il termine aire nel sintagma a mal aire significa invece ‘agio’, ed è registrato da Levy come aire = aize (SW I p. 39; PD p. 13 aitz ais aize aizer). Per la forma con r cfr. II nota 68. Per l’etimologia di aize cfr. REW 168; FEW I p. 31. Si veda inoltre A. THOMAS, Aise, essai étymologique, «Romania» XXI (1892) pp. 506-27 (da integrare con M. PFISTER, Beiträge zur altprovenzalischen Lexicologie, «Vox Romanica» XVIII (1959) pp. 221-296, n. 27 adjacens). È possibile tradurre il sintagma a mal aire letteralmente ‘a mal agio’, oppure ‘con brutto aspetto, in cattiva salute’; per il francese aize, infatti, «on trouve même le sens spécial de ‘bonne disposition, bonne santé’, conservé aujourd’hui dans l’antonime malaise» (THOMAS, p. 519).
 
43. Per guerir esprimente consolazione amorosa cfr. BELTRAMI, Belhs m’es l’estius, p. 99.
 
45. Cfr. Guiraut Riquier, A Sant Pos de Tomeiras, ed. AUDIAU, La pastourelle, XIV, vv. 36-7 Senher Dieus! Per espoza / mi vol... (ma ANGLADE, Guiraut Riquier, p. 236 nota 3: «... Dieus per espoza Mi vol ...») dove, come qui, espoza rima con toza (i due componimenti hanno altre parole-rima in comune, cfr. vv. 10, 16, 33, 36, 42, 43, 82, 90 di A Sant Pos de Tomeiras).
 
47-8. Questi versi, morfologicamente ambigui, sono suscettibili di due diverse interpretazioni. La prima, quella dell’AZAÏS, considera menor attribuito a bechina («jeune fille, vous a-t-on fait minorette Béguine?»); la seconda, adottata dagli altri editori senza tuttavia giustificarne la scelta, considera menor caso retto plurale: ‘i Minori’ (cfr. AUDIAU, La pastourelle: «Jeune fille, les Frères Mineurs ont-ils fait de vous une béguine?»; BAYLE interpreta ancora diversamente). Accolgo la seconda interpretazione (‘... vi hanno fatta i Minori beghina?’) per le seguenti ragioni: a) il béguinage provenzale, fondato intorno al 1240 da santa Douceline di Digne, dipendeva strettamente dai Francescani di Provenza, cfr. A. SISTO, Figure del primo francescanesimo in Provenza. Ugo e Douceline di Digne, Firenze 1971, pp. 31-47 e 137-45, e La vie de Sainte Douceline, texte provençal du XVIe siècle. Traduction et notes par R. Gout, Paris 1927, dove spesso si legge che la santa o altra beghina sotz la man de sant Frances s’era regida; b) all’atto di fondazione del beghinaggio, la santa pronunciò il voto di castità en las mans de son fraire, cioè del francescano Ugo di Digne, seguita da più di duecentoundici donne che pure pronunciarono il voto, cfr. La vie de Sainte Douceline cit., p. 57. Ugo di Digne, fratelllo della santa e suo consigliere spirituale, era un importante personaggio del francescanesimo provenzale, allora Ministro Provinciale, cfr. A. SISTO cit.; c) nella Vida di santa Douceline le giovani seguaci della santa sono indicate una volta col termine novicia (p. 227), un’altra con beguina jove (p. 169), e mai col sintagma menor beguina. Inoltre si noti che l’aggettivo menor era usato per indicare non una diversa gerarchia all’interno dell’ordine francescano, ma l’ordine stesso: le Clarisse, ad esempio, sono denominate nella vida sorres menors.
 
51-2-4. servire ... fenire ... suffrire: per la e di appoggio dopo r finale cfr. APPEL, Lautlehre, par. 42 b.
 
53-6. La Passione di Cristo è un tema molto sfruttato dalla poesia religiosa dei trovatori; tra i molti esempi si veda Bernart de Venzac, ed. PICCHIO SIMONELLI, VI, vv. 12-3 e 29-32; Arnaut Catalan, ed. BLASI, p. 33 vv. 1-4 e nota 3 a p. 37; Peire d’Alvernha, ed. DEL MONTE, XVI, v. 40.
 
60. Cfr., in campo mediolatino: quando moriturus est omnis homo nescit: / hic qui vivit hodie cras forte putrescit (Rhythmus de contemptu mundi, attribuito a Bernardo di Chiaravalle, Patr. Lat. CLXXXIV col. 1313).
— u: = o pronome, cfr. GRAFSTRÖM, Morphologie, par. 20, con un esempio dalla regione tolosana; oppure u < UBI: ‘chi ci fu ieri (in vita)’.
 
61. q’que, con funzione di congiunzione copulativa come in V v. 39; cfr., da ultimo, Gavaudan, ed. GUIDA, p. 148.
 
61-4. Cfr. Bernart de Venzac, ed. PICCHIO SIMONELLI, VI, vv. 22-8. Il motivo della morte improvvisa (non si sa il giorno e l’ora) è di ascendenza biblica, cfr. PELLEGRINI, Il Pianto, p. 248 nota al v. 76; Patr. Lat. CLXXXIV col. 1314 verum est quod moriar, et tempus ignoro.
 
67. Cfr. XI v. 37 e un luogo di Raimon Gaucelm de Bezers citato da ZORZI, Valori religiosi, p. 255.
 
69. no·s traya: AZAÏS ha, come BAYLE, nons; tutti gli altri editori stampano no·ns ‘non ci’, ma il ms. reca chiaramente nos, da sciogliere no·s no·us ‘non vi’. L’emendamento appare dunque inutile e dannoso per il senso: il personaggio maschile, che ha dovuto darsi per vinto di fronte al pio argomentare della pastora, prima della sua brusca uscita di scena non rinuncia a un comportamento linguistico ironico, chiama infatti la pastora toza gaya (cfr. RIQUER, Los trovadores, p. 1607 nota 65: «El adjetivo gaya no es el más apropriado a esta pastora; tal vez se trata de un rasgo de humor del trovador») e le augura una morte santa, mostrando così di dissociarsi da chi sacrifica la gioia terrena per il gaug entier ultra terreno.
 
70. Cfr. Gui d’Ussel, L’autrier cavalcava, ed. AUDIAU, La pastourelle, p. 34 v. 11 viriei tost mon fre.
 
71. con: AZAÏS, erroneamente, on.
— vaya: cfr. SW I p. 62 n. 3 «unpersönl. ‘ergehen’».
 
72. gay a: AZAÏS stampa erroneamente guia.
 
72-3. Guillem... de Lodev’: stacco sintagmatico tra le due parti del nome, per cui si veda C. DE LOLLIS, Vita e poesie di Sordello di Goito, Halle 1896, p. 258, nn. 22-3.
 
77. Irregolare nella flessione il sintagma Mom Belh Ray.
 
79. beutatz: si noti l’irregolarità flessionale.

 

 

 

 

 

 

 

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