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Squillacioti, Paolo. Le poesie di Folchetto di Marsiglia. Pisa: Pacini, 1999.

Nuova edizione riveduta e aggiornata per il "Corpus des Troubadours", 2009.

155,022- Folquet de Marselha

Datazione: parte I, § 1.3.1.2.; rapporti con Dante: parte I, § 3.2.2.5.2.

1-8. La prima strofa è tràdita senza sostanziali differenze da tutti i testimoni; la traduzione di alcuni degli editori o antologisti indicati nella scheda d’apertura presenta tuttavia differenze anche notevoli. Stroński traduce: «Le souci d’amour qui est venu se mettre dans mon coeur fidèle me plaît tellement que nulle autre pensée n’y peut plus trouver place et aucune ne m’est plus agréable et plaisante; car je vis [...]; il me promet le plaisir...» (p. 120). Cavaliere 1938 ritiene giustamente consecutivo il que di v. 2 e semplice congiunzione quello di v. 3 (‘e pertanto’); Boni 1960-62 riproduce praticamente la stessa traduzione di Cavaliere. Frank 1952 e Riquer 1975, conformandosi all’osservazione di Lewent 1912, col. 331: «das que bezieht man wohl besser auf das Tant von v. 1, während v. 3-4 eine Erläuterung zu v. 2 sind», seguono la traduzione di Stroński per i primi due versi, ma ritengono incidentali i vv. 3-4 (Frank li inserisce fra tratti, Riquer tra parentesi) e spostano la consecutiva introdotta dal tant iniziale al v. 5. Anche per Haussmann 1984 il que di v. 2 è «relativisch, nicht konsekutiv». Secondo la mia traduzione, la cobla è divisibile in due parti: la prima, che copre i vv. 1-5, contiene la dichiarazione della diffusa presenza dell’amore (vv. 1-3) e del suo potere salvifico (vv. 4-5); la seconda (vv. 6-8) ribadisce le virtù ‘terapeutiche’ della fin’amor accanto alla constatazione della sua scarsa disponibilità.

4. Perugi 1978, I, pp. 211-12 ipotizza l’occultamento nella tradizione di un neüs dieretico diffratto in mais negus (maggioranza dei codd.), luns autres (C), autre(s) iois (Uc), ia nus tant (W) e ricostruisce il verso ipometro «ni neüs no m’es dous ni plazens», avvertendo che non è «momentaneamente in grado di precisare la sede deputata all’indispensabile ricupero sillabico».

5. m’aucio·ill: già Bertoni 1911b, p. 118 preferiva la lezione a m’auzizo·l di C, a testo nell’edizione Stroński.

9. Smith 1976, p. 52, n. 66 segnala un legame allusivo fra il verso e il celebre inizio di Guilh.IX 183,7 (IV); è tuttavia più probabile un richiamo al «‘Tot es niens’» di Guilh.IX 183,11 (VII), 18 (si vedano su questa canzone le considerazioni di S. Vatteroni, Tot es niens. Per l’interpretazione di Pos vezem de novel florir di Guglielmo IX d’Aquitania, RZL, XVII [1993], pp. 26-39).

10. Perugi 1978, I, p. 124, ravvisa nelle forme alternative mai(s) e al(s) il tentativo della tradizione di eliminare una dialefe fra si e Amors e propone: «Eu qu’en puesc si Amors mi vol aucire?».
eu: la lezione e di ADIK+CR, si può paragonare ad analoghe ‘semplificazioni’ del tipo queu > que, sanate, anche contro il ms.-base, in altri componimenti folchettiani: cfr. in partic. 155,11 (XIII), 11 e 18, e 155,8 (XI), 44; anche Stroński difende eu (a p. 217), nel correggere la scelta «e q’en» di Crescini 1892 (ribadita in Crescini 1905 e 1926).

12-13. er, er: Bertoni 1911b, p. 118 n. 5 e Schultz-Gora 1921, p. 141, correggono l’interpretazione dell’editore dei due er di v. 12 (Bertoni) e v. 13 (Schultz-Gora), da quello intesi come terze pers. sing. del fut. di esser e ritenuti invece prime pers. dai recensori. La loro opinione è accolta da Cavaliere 1938 e Riquer 1975, e quindi da Hausmann 1984, mentre Frank 1952 sottolinea l’ambiguità delle forme: «er, ici [v. 12] et au vers suivant (si er) est amphibologique: le sujet peut être tal voler que ou bien la primière personne impliquée dans le complément de aucir m’ant (vers 11)» (p. 154). Al contrario Panvini 1968 esclude categoricamente la possibilità di er prima persona «giacché il poeta vuol dire che da una parte il suo desiderio non verrà soppiantato da alcunché, dall’altra non riuscirà a venire a compimento» (p. 160). Accolgo la constatazione di Panvini e traduco come Stroński.

13. vencutz: l’invito di Schultz-Gora 1921, p. 141: «Setze Fragezeichen nach vencutz», è accolto da Cavaliere 1938 e Viscardi 1947: l’interpuzione è necessaria per conciliare il participio con er prima persona. Tuttavia Boni 1960-62 e Riquer 1975, che pure considerano er una prima persona, non utilizzano alcun segno d’interpunzione, mentre Frank 1952 stampa una sbarretta. La mia preferenza per er terza persona (vd. nota prec.) mi permette di rigettare l’invito di Schultz-Gora.

14. si: nel registrare lo smebramento del gruppo α, di cui si dà conto nella Nota al testo, adotto lezione di DPSG, nucleo del gruppo, cui s’aggiungono ELN, in quanto pois del ms.-base è isolata in AB+MNRf (IKQ leggono quar con COUcls bκ).

17. Uguale inizio di verso in PVid 364,46 (VIII), 65: «Bona domna, si·us platz, a vos mi ren».

21-24. Il concetto qui espresso si ritrova anche in PVid 364,24 (XXXI), 44-50: «Ai! domna, tan suau / m’apodera e·m vens / vostra cara rizens, / que, quan vos aug parlar, / no·n puesc mos huelhs virar. / Tan m’abellis vostra doussa companha / que d’autra m’es salvaga et estranha»: la citazione dell’incipit folchettiano può essere il segno di un rapporto che va al di là del comune richiamo a un topos (cfr. n. 22-23; sui rapporti fra FqMars e PVid si veda parte I, § 3.2.1.2.4). Si veda inoltre il paragrafo su La retraire in Cropp 1975, pp. 226-27.

22. ostatz: secondo Bertoni 1911b: «Invece di ostatz [di γ + ABQW], bisogna prendere partetz [di β + IKGOls] nel senso di “allontanare”, altrimenti non si ha più il gioco di parole voluto dal trovatore» (p. 118; l’osservazione è accolta da Cavaliere 1938): in effetti la presenza di forme omoradicali, o comunque inizianti con par-, è abbastanza cospicua: 20 partam, 21 part, 23 parlar, 24 partir (che il termine a cui si riferisce Bertoni), e l’osservazione andrebbe tenuta in considerazione in un’ipotesi ecdotica ricostruttiva; qui preferisco attenermi alla lezione del ms.-base.

22-23. la beutat e·l gen rire / e·l douz parlar: l’enumerazione delle doti di midons (di cui, in questo caso, ci si lamenta perché eccessive: altri ess. in Asperti 1990, p. 197) è topos trobadorico: oltre allo stesso FqMars 155,12 (XXIII), 28-29: «mais sa beltatz e·l dolz ris / mi tolon de lor bargaigna», cfr. BgPal 47,7 (VI), 41-43: «Ja·l sens ni la cortezia / ni·l bel semblan ni·l dous ris / qui m’estan al cor assis»; GcFaid 167,44a (XXIII), 32-34: «son bel ris e son gen cors gai, / l’adreich parlar e·l ric saber / e·l dolç esgart q’ab sos huoills fai»; GlSt-Did 234,11 (VIII), 35-36: «Q’us doutz ales del sieu gen ris mi fos / dolsetamen intratz e mon coratge»; UcSt-Circ 457,1 (V), 28-30: «Car ges oblidat non so / ·l dig ni·l faich ni·l si ni·l no / ni·l bel semblan ni·l doutz rire»; ricavato da una più ampia schedatura di S. Guida, che indaga le valenze spirituali di rire/ris in Religione e letterature romanze, Messina-Soveria Mannelli, Rubbettino 1995, pp. 79-101, il campione mostra una certa stabilità degli elementi nella varietà degli accordi aggettivo-sostantivo: si veda ancora GcFaid 167,53 (XVI), 43-45: «las beutatz qu’ill a ab se, / e·l gen parlar e·l doutz rire, / ab qe m’alegr’ e·m rete», il cui v. 44 è el dous parlar el gen rire in CRa. Vanno rapportate a questo quadro le oscillazioni nella tradizione della nostra canzone: 22 gen rire-doutz rire e 23 douz parlar-bel semblan. Sulla iunctura bel parlar si veda anche l’esemplificazione di Cropp 1975, pp. 166-67 (in partic. la doppia aggettivazione di BnVent 70,17 [XVII], 43-44: «que·l seus bels douz semblans me vai / al cor, que m’adous’ e·m reve»; corsivo mio).

26-28. Dopo aver citato, a proposito dello «stretto collegamento tra passione e cuore», l’inizio della canzone, M. Spampinato Beretta nota che nei vv. di FqMars «il motivo del cuore quale dimora dell’eros si trova commisto a quello degli occhi che attraverso la visione dell’amata portano alla rovina l’innamorato, sicché affiora nuovamente quella correlazione tra occhi e cuore che si andrà via via affermando e sviluppando nei lirici seguenti» (Il percorso occhi-cuore nei trovatori provenzali e nei rimatori siciliani, Mess, n.s., VIII (1991), pp. 187-221, a p. 191).

27. pro: mantengo in questo caso la lezione del ms.-base (con BQ + CMfls LNUc) che tuttavia si oppone a grat del resto del gruppo α: lo suggerisce la struttura chiastica dei vv. 27-30, che altrimenti verrebbe meno: 27 mon pro, 28 mon dan, 29 mos dans, 30 mos pros.

27-28. a mon, a mon: alterna nella tradizione con al meu: la prima forma è indebitamente estesa da Stroński, e quindi da Perugi 1978, II, pp. 636-37, oltre che a PS, anche a DIK. Pertanto l’ipotesi di Perugi di un meu bisillabico «escamotato» mediante mon e di un pogran originario trasformato in poirian, ma adombrato da pogron anc di CMf, risulta meno fondata: «Quar al meu grat no·us pogran vezer» è la sua ricostruzione. Inoltre, per mantenere il parallelismo con la ricostruzione del v. 27, Perugi 1978, II, pp. 636-37, propone di mettere a testo al meu che è lezione di DPSQOls; per la stessa ragione adotto invece a mon.

29. so sai: la lezione di α è messa a testo, tra virgole, soltanto da Frank 1952, che traduce: «je le sais» (p. 51).

30-32. Il tema di evidente origine feudale, e assai diffuso nella lirica trobadorica, per cui il male dell’amante ricade su midons è stato trattato da Asperti 1990, pp. 312-13 (a proposito di RmJord 404,6 [VI], 24: «que s’ieu ren pert vos penretz tot lo dan»).

31. no·us estara gen: il sintagma si ritrova in un contesto del tutto analogo in PVid 364,17 (XIV), 53-55: «doncs si no·m faitz aiutz, / mort auretz chauzimen, / e no·us estara gen» (cfr. Avalle 1960, I, p. 131). Per Perugi 1978, II, p. 546, le varianti nocauus sia D, nocaos estara PS e qe non us stera U sarebbero i risultati di una diffrazione indotta da nocas: «si m’aucisetz, que noca·us stara gen» la proposta ricostruttiva.

35. e·us: lezione di ABEIKV, alterna con e uos (GLUbclsκ), uos (NQf), quieus (CMR), qeu uos (PS), que os (D), et aqich (O); alle lezioni monosillabiche deve corrispondere dialefe fra perdre ed e mi, ai bisillabi sinalefe. L’evidente diffrazione è studiata da Perugi 1978, I, pp. 141-42, che ricostruisce un verso identico a quello qui proposto, ritenendo inoltre decisiva la simmetria con e·us del v. successivo. Stroński stampa invece «e vos».

36. L’e·us iniziale, cui si oppone il bisillabico e vos di GPS, impone, per scongiurare l’ipometria, una dialefe fra e e a mi; i copisti di AB aggirano il problema scrivendo et a mi. La dialefe s’impone invece nei mss. CDELQ, mentre MNRVclsκ risolvono anticipando il soi seguente fra e e a mi; IK emendano e son vas mi, f corregge in e soi vai mi. GPS presentano come detto e vos, infine U ha sia e vos che l’emendamento e soi a mi. Tale ricostruzione ha come esito quindi il verso di CDELQ: ie·us cug nozer e a mi sui nozens; e tuttavia mi attengo, per coerenza testuale, alla lezione del ms.-base, sostanzialmente sovrapponibile. A nozens, comune a tutta la tradizione (-en L), G oppone nozans: il caso è messo in serie da Perugi 1978, II, pp. 217-18, con altri in cui s’instaura un «rapporto glossematico» fra due forme participiali in -en e -an.

37. La formula che occupa il verso risale secondo Picchio Simonelli 1982, pp. 211-12 a BnVent e ArnMar: rimando all’articolo per i passi rintracciati; da segnalare che IKVfls presentano l’obliquo plurale mos mals, invece di quello singolare.

39. La proposta ricostruttiva di Perugi 1978, I, p. 30, è: «Que eu·s cuich dir et aras m’en repen», con una dialefe che ha provocato la diffrazione e l’elaborazione delle lezioni contrapposte quar lous cuich dir e qeus cugei dir.

40. vergoigna: secondo Cropp 1975: «Dans la poésie des troubadours, le mot vergonha est employé au sense propre de ‘pudeur’» (p. 201, n. 71); sulle difficoltà di distinguere le sfumature di senso si veda SW, VIII, p. 670 (s.v. vergonha).

41. Cfr. RmJord 404,3 (III), 38: «vos am trop mielhs, dona, que dir non sai» e gli altri riscontri trobadorici rintracciati da Asperti 1990, p. 246: di rilievo ElBarj 132,8 (XIV), 18: «Trop vos am mais qu’ieu no sai dire».

46. Secondo Stroński (pp. 18 e 189), il ms. G omette l’intero verso riducendo la tornada a 3 versi in modo da conformarla alla prima, ridotta anch’essa a 3 versi con l’omissione del v. 42 (lacuna comune ai mss. PS); in realtà G tramanda il verso e l’errore dell’editore può essere spiegata col fatto che il testo di G, scritto su due colonne e un verso per rigo, presenta alla fine del v. 46 l’ultima parola del verso precedente (nazire): una lettura poco accurata, magari concentrata sulla rima, la probabile causa della svista. È certo comunque che l’editore ha collazionato il testo direttamente sul codice (cfr. p. VI). Inoltre per lo meu escien è inteso dagli editori con una sfumatura desiderativa (Stroński traduce ‘je l’esper’) o leggermente dubitativa (Riquer 1975: ‘por lo que yo sé’, Boni 1960-62: ‘a mio avviso’); preferisco un senso piuttosto asseverativo (‘ne sono certo’, ‘sono sicuro’). Il sintagma, già presente al v. 24, ritorna in FqMars 155,3 (VI), 26-27: il Monaco di Montaudon lo utilizza nella strofa dedicata a Folchetto in MoMont 305,16 (XVIII), 78: «que·s perjuret son escien».

47. tres dompnas: cfr. parte I, § 1.3.1.2; e inoltre su questo e altri riferimenti dei trovatori a ‘tre donne’ si veda Asperti 1990, pp. 193-94.

48. L’ultimo verso è trasmesso da una porzione della tradizione come parte della seconda tornada: questa è tràdita dai mss. ABDEGPSUbcflsκ, mentre (esclusi Fa e W che tramandano una canzone incompleta e Q che non ha tornadas) C ed R la sostituiscono con quella di FqMars 155,1 (V) e IKLMNOV tramandano solo la prima tornada. Normalmente la tornada riprende la rime dell’ultima parte della strofa (cfr. Frank 1953-57, p. XXXV e Di Girolamo 1979, p. 64); in questo caso: -ire, -ire, -en, -en. Solo ABls rispettano la sequenza (indico solo rimante): nazire, albire, presen, cen; DGUc hanno invece una tornada irregolare di 4 versi: nazire (Uc aire), escien, presen, cen. Una tornada regolare, ma di 3 versi, si trova in EPSbfκ, dove risulta assente il v. 48: nazire, essien, prezen. L’ipotesi di Stroński 1910, pp. 217-8, è che la tornada ‘originaria’ sia quella di 3 versi tràdita da EPSbfκ e che il v. 48 sia stato aggiunto successivamente dagli altri mss.: ABls avrebbero anche regolarizzato la tornada trasformando il secondo emistichio del v. 46 (per lo meu escien diventa segon lo mieu albire). Tale ipotesi è corroborata dall’osservazione che i mss. GPS eliminano nella prima tornada il v. 42 allo scopo di ridurla alla misura della seconda; ma almeno in G la seconda tornada è di 4 versi, essendo presente il v. 46 dichiarato omesso da Stroński (vd. supra n. 46 del Commento), per cui il fenomeno sarebbe limitato a PS, due mss. notoriamente imparentati. Anche l’aggiunta del v. 48 sarebbe stata indotta dalla volontà dei copisti di uniformare le due tornadas. L’ipotesi è verosimile, sebbene non si possa sapere se e quanto ha inciso sulla sua formulazione la cattiva lettura del ms. G. Propongo in alternativa una ricostruzione a mio avviso più economica, che parte dall’idea che le tornadas siano tre, di 4, 3, 1 versi ciascuna. Le differenze nei codd. si spiegano come reazioni dei copisti all’inusuale struttura; nessun ms. (con la riserva di ls, di cui è consultabile solo l’ed. diplomatica: cfr. parte I, § 2.1.2.1) conserva la situazione originaria e il v. 48, laddove è presente, risulta inglobato nella seconda tornada: i copisti di DGUc non si sono accorti o non hanno dato peso alla conseguente irregolarità delle rime, quelli di ABls hanno reagito creando una rima in -ire al v. 46, infine quelli di EPSbfκ hanno eliminato lo ‘scomodo’ v. 48, regolarizzando la sequenza delle rime. Per di più tale verso pare una zeppa e può essere facilmente soppresso; tuttavia, ricorda Jeanroy 1934, II, p. 93, n. 3: «Dans les poésies les plus anciennes, la tornade [...] répète, en termes à peu près identiques, une pensée exprimée dans un des couplets précédents»: lo studioso esemplifica il fenomeno con Guilh.IX 183,4 (II), 21 e 22, 183,12 (V), 83-84 e 85-86, 183,10 (XI), 39 e 41; JfrRud 262,2 (IV), 47-49 e 50-52, 262,3 (I), 37 e 31; Marcabr 293,8 (VIII), 57-58 e 60-61, 293,11 (XI), 62, 67 e 69 (solo M); aggiungo: Marcabr 293,37 (XXXVII), 59-60 e 61-2, 293,38 (XXXVIII; Perugi 1995, p. 67), 62-63 e 64-65 della red. R. Questo di Folchetto sarebbe quindi un tratto metrico arcaizzante. Segnalo infine i casi di tornadas con lunghezza discendente fino a un verso, reperite nel Répertoire di Frank 1953-57 (i numeri divisi da virgola rimandano alla BdT, quelli divisi da due punti al Répertoire di Frank; segue fra parentesi tonda il numero di tornadas e, dopo il tratto, la quantità di vv. per ciascuna tornada): AimPeg 10,31 133:1 (2-3,1); AmBroq 21,1 856:1 (2-3,1); GrBorn 242,55 480:1 (2,2-1) e 242,48 800:1 (2-2,1); GrRiq 248,62 418:2 (3-3,2,1); PVid 364,24 534:2 (3-4,4,1); RmMirav 406,47 343:1 (3-4,4,1); Cerv 434,4 466:1 (3-2,2,1), 434,9a 350:1 (3-3,3,1), 434a,3 781:1 (3,3,2,1), 434a,26 361:1 (3-3,3,1), 434a,36 592:32 (3-6,2,1), 434a,41 547:12 (2-2,1), 434a,67 547:7 (3-2,2,1) e 434a,81 577:120 (2-4,1). Si considerino inoltre: Gauvad 174,1 416:1 (1-1); PAuv 323,16 124:4 (3-1,1,1); PCard 335,69 624:26 (2-1). Anche E. Stengel, Le chansonnier de Bernart Amoros, RLR, LXIII (1900), p. 210, immagina una situazione analoga a quella da me proposta dal momento che indica come strofa VIII il v. 48; questo compare solo in quelle edizioni che assumono il ms. A come base e sempre come l’ultimo della seconda tornada: Choix (e quindi MW e Monaci 1889), Crescini 1892, 1905 e 1926 (e quindi Hill-Bergin 1941, Piccolo 1948 e Folena 1961) e Frank 1952.

 

 

 

 

 

 

 

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