La poesia ha un’impostazione parallela alla lirica I, almeno per quel che concerne la I cobla: già il primo verso è una sorta di scambio di battute: « A Dieu done m’arma de bon’amor» ( I, 1) = « Dieus m’a dada febre tersana dobla» (II, 1), ma sono soprattutto i vv. 4-6 di I e 4-8 di II che hanno le maggiori affinità, perché riporrano gli stessi motivi della preghiera per il perdono dei peccati e dell’invocazione a Dio perché conceda la forza di non commetterne nuovamente e protegga, a la fi, l’anima dal turmen. Cfr. infatti I, 4-6: « (A Dieu done m’arma) per tal que·m gar de pen’e de dolor, / e que·m perdo so qu’ai fag per folhatge, / e que·m garde, a la fin, de turmen. / E no·lh plassa qu’ieu fassa lunh passatge / ni malvestat contra son mandamen!».
1. febre tersana dobla: la febbre terzana è una febbre malarica intermittente, il cui accesso si verifica ogni terzo giorno. Nel caso di RmGauc è addirittura doppia, per cui si può pensare che il rialzo termico non comparisse a giorni alterni bensì consecutivi, determinando la condizione di “quasi incoscienza” di cui si lamenta il poeta. Sul rimedio per curarla, cfr. Breviari d’Amor, al cap. De la Natura e [de] las vertutz d’erbas e d’albres e de plantas, 6949-51: «Yssarop fay hom atressi / contra tersana bo e fi / e contra tot mal de calor». Il Biterrois era una regione ricca di stagni sia d’acqua salata, come il grande stagno di Capestaing, sia, più numerosi, d’acqua dolce, ma le fonti documentarie non attesrano epidemie di febbri malariche nei secoli XII e XIII.
Raynouard, LR, V, 412 riporta il verso citando anche Joinville, che però usa il termine in forma sostantivata: «car il avoit double tierceine et menoison moult fort», aggiungendo: “comme l’ancien français, les autres langues de l’Europe latine ont employé ce mot substantivament”. Anche in SW, VIII, 194, tersana è sostantivo: “Dreitägiges Wechselfieber”.
L’aggettivo dobla è impiegato in due occorrenze (vv. 1 e 9) con equivocità di significato “doppio”: “falso, simulato”. Sono invece tre (vv. 17, 25, 33) le occorrenze di dobla da doblar anch’esse in rima equivoca, cfr. SW, 2, 258: “sich vermehren, sich verdoppeln”, “wiederholen, zusammenstellen”.
2. sïa remembratz: participio passato col valore attivo di remembrans, poiché esprime l’effetto di un’azione verbale (cfr. Jensen, Syntaxe, § 534): RmGauc sa che, attraverso la malattia, Dio vuole che esca confermato nella fede, dopo essersi ricordato dei suoi comandamenti e della sua alleanza.
3. pus que·l plai: 3ª ps. sg. dell’indicativo presente di plazer; cfr. al v. 42 la forma concorrente «si·us platz».
4. li pregarai: pregar regge normalmente sia l’oggetto diretto che il dativo: cfr. i vv. 9 (prec Dieus), 35 (prec a vos), 36 (prec vos), quindi la correzione lo pregarai di Azaïs non si rivela necessaria. Cfr. Jensen, Syntaxe, § 436 e Leys (ed. Anglade, III, 13): «Aprop aquest verb pregui, suppliqui, servisc, obezisc pot hom pauzar acuzatiu o datiu coma: yeu pregui o prec Dieu o a Dieu, et enayssi dels autres...».
5. bevolensa: “disposizione favorevole”. Nella tradizione cortese il sostantivo allude all’atteggiamento esteriore attraverso cui si manifesta amor (cfr. Cropp, Vocabulaire courtois, p. 379). Le Leys (ed. Anglade II, 52) la considerano sinonimo di amor: «jaciaysso que li antic phylozophe fassan differensa entre amistat, bevolensaet amor, nos pero prendem aquestz vocables coma synonimatz, per que tot jorn pauzam la un per l’autre, ses differensa que no y fam».
Nella tradizione biblica questo termine esprime la fedeltà di Dio alla sua alleanza e la bontà che ne deriva nei riguardi del popolo eletto; così nel linguaggio religioso serve ad esprimere il suo amore e i benefici che ne provengono. Per ottenerla l’uomo deve fare dono della sua anima, che si traduce in sottomissione gioiosa alla volontà di Dio e nella carità verso il prossimo (cfr. Es 20,6; Dt 5,10; 2Sam 22,51; Ger 32,18; Sal 18,51; Os 4,1; 6,6).
L’aggettivo possessivo sia è attestato, seppur non frequemememe, insieme a tia, come forma analogica su mia, cfr. Crescini, Manuale, nota 1, p. 86 e Leys, ed. Gatien-Arnoult, II, 218, 226; ed. Anglade, III, 18.
6. e que·m garde de: gardar de ha qui il significato di “impedire, trattenere (da)”, e al v. 7 di “difendere, proteggere (da)” (cfr. I, 4 e 6). Sulle desinenze - e, - i della prima persona del presente, indicativo e congiuntivo ( garde v. 6, queri v. 39, e teni v. 43), cfr. nota a I, 1.
far falhensa: è frequente nella lirica trobadorica l’uso di espressioni perifrastiche composte da un ausiliare o da un verbo servile seguito da un sostantivo astratto della stessa radice del verbo che si sarebbe dovuto impiegare; un’ampia schedatura di occorrenze dell’espressione si trova in Guida, Jocs poetici, nota a IV, 20. Cfr. anche al v. 16 « fi negun fallimen», col medesimo gioco allitterante, e nota a I, 25.
7. m’arma de marrimen: si noti lo zeugma per cui da garde del v. 6 dipende anche questo secondo costrutto. Azaïs ha invece erroneamente pubblicato m’arme, considerandola 3ª ps. sg. del congiuntivo presente di armar, traducendo di conseguenza: “il m’arme de contrition”.
marrimen: “perdimento, rovina”, mentre Oroz Arizcuren traduce “tristeza”.
8. en negun loc: cfr. SW, IV, 416,10: «irgendwo», 416,11: «als, wie».
sufieira: <*sufferiat, al posto del più regolare sofra. Cfr. GrBorn LVII [ed. Sharman, I ed. Kolsen, BdT 242,69] 33-35: «“Donzell’oimais non siatz trop parleira! / S’il m’a mentit mais de cent vetz primeira, / Cuidatz vos doncs q’ieu totztemps l’o sofeira?» e FqMars XX [attribuzione dubbia, BdT 155,2] 18-19: «que per lieis sofieira jasse / mon dan...».
Azaïs corregge in sufrirai, traducendo: «et ainsi en aucun lieu je ne souffrirai tourments».
turmen: cfr. nota a I, 6.
9. D’aisso prec Dieus: altro parallelismo con I, 9: « D’aisso pregui de cor lo mieu Senhor», per questo motivo è stato posto il punto fermo alla fine del verso. Oroz Arizcuren ha invece preferito chiudere il periodo al verso successivo, stampando punto e virgola dopo deg far e considerando espressa la consecutiva solo al v. 12, mentre il v. 11 è inteso come incidentale esplicativa: «Esto ruego a Dios sin voluntad dobla, pues bien lo debo hacer; estoy atormentado tan profundamente — que no me ayuda tenzón, danza ni copla — que por poco no me olvido de este mundo». L’interpretazione qui adottata invece, ponendo i due punti dopo deg far, considera quanto segue (l’incapacità del comporre, lo smarrimento della coscienza) come la descrizione dei sintomi della febre tersana.
Si è mantenuta l’irregolarità di declinazione del manoscritto con la forma sigmatica Dieus al caso obliquo, frequentissima. Cfr. Jensen, The old provençal noun, p. 128: «Dieus is so frequently used in the nom. that it may tend to crystalize, regardless of its function in the sentence». Cfr. inoltre Guida, Jocs poetici, nota a V, 75, pp. 203-204.
10. Qu’ar: ho preferito l’avverbio di tempo ar alla congiunzione causale quar, scelta invece da Azaïs e Oroz Arizcuren, perché mi è sembrato più opportuno dar risalto al momento particolare e all’occasione della composizione (sia essa reale o fittizia), in cui sono presenti i motivi della memoria e del pentimento per i peccati compiuti in precedenza, e il fermo proposito di conversione per il futuro, dichiarato alla fine della lirica: «e deg o far, tals ert sertanamen».
be·u: forma atona del pronome personale neutro obliquo, probabilmente proveniente da illud, benché né LR né SW la riportino come variante di o < illud. Cfr. invece Grafström, Morphologie, §§ 20 e 24, che attesta la presenza di due esiti u in una carta tolosana: «si u tenrei» e «si u atendrei» (2,36), riportando: «Dans la prononciation courante i+o a pu passer à la diphtongue iu, d’où la graphie si u» (cfr. inoltre Graphie, § 16,2,b). Esempi simili, ma riferiti a persona, si riscontrano in ArnDan I [ed. Perugi, BdT 29,15] 33: «e la pudors agra·u tost mort» e JoEst IV [BdT 266,9] 60: «q’uey non es vius qui u fo yer» (Vatteroni, p. 80, è incerto se considerarlo pronome oppure far discendere u da ubi col senso di “chi ci fu ieri (in vita)”). Anche Oroz Arizcuren, p. 407, accetta la forma del codice: «aunque no hubiese otra documentación, cosa que dudo, tenemos derecho a reconocer como genuina esta forma u en vista de que el verso requiere sinalefa por el número de sílabas [...] doy pues la forma u < illud por probada».
Ancora al v. 27 s’incontra que·u e in un contesto che ammette elisione, infatti Azaïs corregge in qu’o, mentre al v. 10 muta be·u in b’o, giudicata da Oroz Arizcuren «una elisión inverosímil de la que no conozco ejemplos».
11-12. Si presenta il tema della perdita della memoria e del sapere e quindi dell’incapacità di comporre e di cantare. Il motivo, ricorrente nella lirica trobadorica, è quello dell’oblidar se “dimenticarsi di sé stessi, di quanto si sa, del mondo esterno, al pensiero o alla vista della donna amata” (cfr. SW, V, 447,3: «die Besinnung verlieren, seiner Sinne nicht mächtig sein» e Cropp, Vocabulaire courtois, p. 303 n. 103, che riporta il significato attribuito all’afr. s’oublier, “tomber dans un état d’hébétude”, da M. Pelan, Old French s’oublier: its meaning in epic and courtly literature, in Romanische Jahrbuch, 10 (1959), pp. 59-77, p. 76); qui è il tormento che nasce dall’infermità e dal pensiero di apparire peccatore di fronte a Dio, che dà origine ai medesimi sintomi, cfr. ad es. AimSarl II [BdT 11,2] 27-30: «car oblidar me fai vostra valors, / si con hom fai dinz del tertre camjan / que s’oblida so don es plus membratz: / qu’eu, qand vos vei, sui del tot oblidatz»; Caden X [BdT 106,11 = 238,1] 16-20: «Que sapchatz que·l pessamens / Li tol tuta la membransa / De sos bels captenemens; / Que tan pliu·l cor e·l talen / En amor c’oblida·l sen».
11. no mi val tenso, dansa ni cobla: RmGauc è autore di una sola tenso (in realtà un partimen, v. IX), nel suo canzoniere non compare alcuna dansa e, per quanto riguarda la cobla, la rubrica definisce tale proprio questa canzone (non considero appartenente al genere la lirica VIII, canto d’elogio composto da due coblas e un invio). Singolarmente non vengono nominati i sirventesi che prevalgono nel suo pur piccolo corpus. Quelli citati da Raimon sono i generi connotati più vivacemente per il ritmo e l’andamento dialettico, ideali per l’intrattenimento, tanto che potrebbe essere possibile anche questa interpretazione: “la febbre mi tormenta a tal punto che non trovo conforto neppure ad ascoltare tenzoni, danze o cobbole”.
tenso: si osservi il caso retto sg. asigmatico. In RmGauc si può notare l’assai frequente tendenza a ritenere la -s come distintiva del numero più che del caso. In base a questa considerazione, ho preferito non intervenire, al contrario di Oroz Arizcuren che corregge normalizzando in tensos, mons (v. 12), segles (v. 17), merces (v. 37).
12. qu’a pauc no: Pfister, Lexikalisches Untersuchungen, p. 602, traduce per pauc (no) “il s’en faut de peu que”, che introduce un’espressione consecutiva tipica dell’antico provenzale.
no m’es: resta incerta la grafia poiché l’alternativa potrebbe essere no·m es che sottolinea forse maggiormente la funzione enfatica del dativo etico.
13. far suffrensa: la locuzione perifrastica assume il significato di “mi fa sostenere il peso della sofferenza, della sopportazione” con una prova di resistenza che conduce all’affinamento morale. Oroz Arizcuren traduce: «pero Jesucristo me sufre».
Per suffrensa attestata nel lessico trobadorlco con l’accezione del lat. patientia, cfr. Guida, Gavaudan, nota a VI, 54.
La forma del nominativo asigmatico Jhezu Crist è frequente, cfr. anche v. 41 e Appel, Chrestomathie, Glossar - Eigennamen, s.v. Ihesu.
14-15. per tal qu’aja = per amor qu’aja: le due espressioni introducono entrambe una proposizione finale. Il simagma per amor que è usato da RmGauc anche in VII, 15-16: «per amor que·l dans e la fallida / restauressem en alcuna partida». Cfr. SW, I, 59,3: «damit», portando ad esempio le due attestazioni di RmGauc e At de Mons I, 633: «E d’aquels jutjamens / mostran mans a las jens / li prophetizador; / et es dreitz, per amor / c’om se gar de peccar».
aja remembramen: inteso nel senso di “mi torni alla mente come monito”; anche Oroz Arizcuren interpreta l’espressione come «“recapacite, recuerde” que no está lejos de la acepción de remembrar “revenir à soi” [...]», La lírica religiosa, p. 406.
16. si anc nulh temps: la locuzione ha carattere asseverativo, con sfumatura concessiva, in cui anc indica un’azione che continuava nel passato, fino al momento della conversione (cfr. anche v. 36). L’espressione, con poca variazione, si ritrova in I, 25: «s’anc fezem per negun temps folhor». Sull’indebolito valore semantico ed espressivo di anc affiancato da altri elementi che lo sorreggono, cfr. Guida, Gavaudan, nota a III, 4. Si veda inoltre K. Lewent, Les adverbes provençaux anc-ancsé, ja-jassé et dessé. Essai de sémantique et d’étymologie, in Rom, LXXXII (1961), pp. 315-316.
17. aquest segle dobla / e malvestatz...: cfr. JoEst VI [BdT 266, 4] 94-96: «ans malvestatz / mai·s multiplia / deves totz latz».
18. foldatz: è la follia di chi disprezza ciò che è sacro, in opposizione a conoissensa del v. 21 (e quindi risalente al topos biblico stultitia / sapientia, cfr. Curtius, Letteratura europea e medio evo latino, pp. 189-205); il termine può essere considerato facente parre del campo semantico e del registro morale cui si riferiscono malvestatz e tortz, con i quali forma la sequenza ternaria, ed indicare quindi: “offesa, oltraggio, empietà”.
19. de Dieu far sa cobla: “comporre una canzone beffarda e di scherno, deridere, motteggiare”. Per cobla, cfr. SW, II, 118 “Spottgesang”. Oroz Arizcuren, p. 406, commenta: «Semánticamente cobla “burla, escarnio” puede relacionarse con descant “crítica, parodia” (haciendo referencia a: Descans cantus contra cantum de Donatz prov.) [...] mettre en chanson “ridiculizar” pertenece al mismo campo semántico».
20. dechatz: cfr. Mistral, I, 809 ditat, dittat (l.): «dictum, dispositif d’une sentence; composition, poésie, dictié, pamphlet (vieux); dicton, apophthegme, dire de quelqu’un à Toulouse», citando anche da Vieux Noel: «Piot, passerat, / jusqu’à l’escarabat / fan à Diéu soun dictat». Raynouard, LR, III, 47, riporta il verso per intero e traduce: «chaque homme veut faire sur Dieu son couplet et ses farces et ses mauvais ditiés», citando insieme l’esempio del planh di BtCarb V [ed. Contini, BdT 82,15] 17-18: «Li sieu dechat, ben fach maïstralmen, / Mostron que yeu no·n puesc dir lauzor pro», tradotto da Contini con “ses poésies”. Si veda inoltre SW, s.v. dechar II, 27: «sagen, augeben; schildern, darstellen», che cita Breviari d’Amor, 2612-2614: «Negus doncx non deu mal dechar / Ni deu re voler emendar / En l’azordenansa de Dieu». L’accezione negativa è dunque conferita a dechat dall’attributo malvais.
Per l’influenza delle letture bibliche, cfr. Sap 4,20-5,14, in particolare 5,3-4: «Dicentes intra se, poenitantiam agentes, Et prae angustia spiritus gementes: Hi sunt quos habuimus aliquando in derisum, Et in similitudinem improperii. Nos insensati, vitam illorum aestimabamus insaniam, Et finem illorum sine honore; Ecce quomodo computati sunt inter filios Dei, Et inter sanctos sors illorum est».
21. e non an de re conoissensa: e con valore più avversativo che copulativo.
La conoissensa è una delle qualità morali più imporranti della civiltà cortese e può essere ricondotta al concetto di “cultura, sapere, conoscenza acquisita (nelle regole della cortesia)” (cfr. LR, IV, 333 e SW, I, 326). Ma è molto probabile che nella lirica religiosa della 2ª metà del XIII secolo, essa acquisti anche il significato di “conoscenza di Dio”, non rimanendo ancorata al concetto di semplice conoscenza intellettuale: l’uomo «conosce Dio» per mezzo di un atteggiamento che implica la fedeltà alla sua alleanza e il riconoscimento dei suoi benefici. Senza di essa non si è in grado di distinguere il bene dal male, ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, venendo assimilati ai pagani e agli empi del Nuovo Testamento, cfr. Rm 1,19: «quia quod notum est Dei manifestum est in illis» e 1,28: «et sicut non probaverunt Deum habere in notitia, tradidit illos Deus in reprobum sensum, ut faciant ea quae non conveniunt», ma alla fine il Signore si manifesterà e farà vendetta di quanti non conoscono Dio: «in revelatione Domini Jhesu de caelo cum angelis virtutis eius / in flamma ignis dantis vindictam iis qui non noverunt Deum, et qui non obediunt Evangelio Domini nostri Jhesu Christi» (2Ts 7-8). È dunque il sentimento dei valori morali, che viene ad identificarsi con la “coscienza” e la consapevolezza di sé e delle proprie azioni. Cfr. ArnDan VIII [ed. Perugi, BdT 29,5] 10-12: «Deu o gratisc e a mos oilz, / que per lor conoissencha·m venc / jois...» (ma si noti l’interpretazione proposta da Asperti di porre punto fermo dopo venc, presentata in Postille testuali a margine delle canzoni di Arnaut Daniel, in CN, XLVII (1987), pp. 77-86, alle pp. 81-84) e GrRiq, con i medesimi rimanti temensa : conoissensa, in vers XVIII [BdT 248,30] 7-8: «tant que temors de Dieu no·y fa temensa, / e qui conoys mescre sa conoyssensa». Su questo termine chiave della lirica trobadorica, cfr. Guida, Gavaudan, p. 351 e Asperti, Raimon Jordan, nota a XII, 12-13.
23. se tenon tot quant es a nïen: LR, II, 193 cita i vv. 23-24, traducendo: «mais ils tiennent tout ce qui est pour rien, pourvu qu’ils aient abondance de richesse». Anche SW, 8,149, 12b riporta i vv. 21-24 e la tornada, dando a se tener a nïen il significato di: “für nicht achten”, “sich nichts machen aus”.
25. Azaïs non considera dobla come 3ª ps. sg. dell’indicativo presente di doblar, ma come aggettivo, traducendo: “celui qui use de parole double”.
28. Sia Azaïs che Oroz Arizcuren interpretano per Jhezu Crist come “par Jésus-Christ”, “de parte de Jesucristo”, mentre qui si è preferita la formula di deprecazione sia per la presenza di Dieus al verso successivo, che altrimenti costituirebbe una ridondanza, sia per introdurre drammaticamente la sentenza del giudizio finale dei versi successivi. Per simili formule, cfr. Jensen, Syntaxe, § 708.
lo jorn quez er jutjatz: ancora un riferimento al momento del trapasso e al giudizio di Dio, come in I, 29-32, ma la rappresentazione del dies irae e della punizione degli empi, è resa qui più animata dalla presenza del discorso diretto, come in VI, 28-32.
L’influenza dei passi scritturali (in particolare Mt 13,41; Rm 2,5-11; 2 Ts 1,7-10; Ef 5,6; 2 Pt 3,7; Ap 6,17 e 11,18) sulla rappresentazione escatologica del “tormento dell’anima nel fuoco ardente dell’inferno”, si ritrova in termini simili in FalqRom VIII [BdT 156,12] 34-38: « Quan Dieus dira: «Anatz, malaürat, / Yns en infern on seretz turmentat / Per tostemps mais ab pena e ab dolors, / Quar non crezetz qu’ieu sufri greu turmen; / Mortz fuy per vos, don vos es mal membrat!» (cfr. anche nota a VI, 27). Sull’immaginario relativo alla dannazione si veda M. Dando, The conception of Hell, Purgatory and Paradise, London 1965; J. Ch. Payen, Le «Dies irae» dans la prédication de la mort, in Rom, LXXXVI (1965), pp. 48-76; C. Viola, Jugements de Dieu et jugement dernier: saint Augustin et la scolastique naissante, in AA.VV., The Use and Abuse of Eschatology in the Middle Ages, Leuven 1988, pp. 242-298.
30. vengutz en dechazensa: espressione perifrastica da intendersi come “procurarsi danno da sé stessi, rovinarsi, e quindi perdere ogni diritto alla salvezza per colpa propria”, sottolineato dal pronome personale in posizione preminente.
31. fuec d’ifern arden: in apr. l’inferno era equiparato ad un nome geografico e di conseguenza non è preceduto dall’articolo determinativo (cfr. anche IV, 38). Considerando l’anastrofe, si è preferito tradurre con hypallage adiectivi, “fuoco ardente dell’inferno” (cfr. Mt 13,42 e 50 « et mittent eos in caminum ignis») piuttosto che “fuoco dell’inferno ardente” come fanno Azaïs e Oroz Arizcuren.
33. Bel Senher Dieus: formula di invocazione presente anche in VIII, 1; cfr., fra gli altri, PCard 19 [BdT 335,67] 23: « Bel[s] Seingner Dieus sias dezeritans / dels enemics enoios e pezans!»; Raimon Cornet [BdPP 558], Vers de Dieu, frammento Biv, 1: « Bels Senhers Dieus, ab tu que m’as format».
ma lengua·s dobla: nei lessici non è riprodotto il significato di “confondersi, incepparsi balbettando, impappinarsi” che ha qui se doblar. Anche Oroz Arizcuren traduce con “trabar” commentando: «en doblar estará implícito de matiz de no poder articular» e porta ad esempio i versi di BnMar III [BdT 63,3] 60-63 («C’aisi vauc entrebescant / Los motz e·l so afinant: / Lengu’entrebescada / Es en la baizada») in cui «la imposibilidad de hablar está expresada [...] aunque no por debilidad [...]» e in cui entrebescar equivale a ligare, contexere, cioè “annodare” e anche “aggrovigliare” (cfr. A. del Monte, Poesia ermetica, p. 49).
In questo verso lengua assume anche il senso di “discorso, pensiero” ricollegandosi al gioco retorico delle ripetizioni e dei raddoppiamenti notati nell’introduzione.
34. qu’om no m’enten: in questo verso entendre ha il significato di “capire”, mentre al successivo (entendatz) vale per “ascoltare, sentire” (cfr. SW, III, 53,4 “verstehen, begreifen» e III, 53,2 «anhören, Gehör leihen»).
35. don: Azaïs e Oroz Arizcuren preferiscono leggere donc, ma il manoscritto non è chiaro in questo punto.
36-40. La prima menzione va al salmo 51 di Davide, Miserere, in cui si invoca umilmente il perdono del Signore, ma anche i Salmi penitenziali in cui il malato implora Dio (6, 32, 38, 102, 130, 143) e Gc 5,13-16, in cui si raccomanda al fedele infermo di pregare con fede e insistenza, sono ben presenti nella mente di RmGauc.
36 sgg. merce m’ajatz: cfr. RmJord XI [BdT 404,11] 33-39: «Bona domna, Merce·us trac per guiren, / e si Merces no·m pot dar guerizo / per merce·us prec qu’ab merce vensa·l no; e ja d’aisso no·m veiretz recrezen, / ans clamarai tan merce tenhatz mos mas amdos / entre·ls vostres». Esempi simili di struttura strofica caratterizzata dalla ripetizione di merce, sono riportati da Asperti, Raimon Jordan, nota a XII, 19-27.
Sulla costruzione con complemento indiretto nelle locuzioni formate da aver + sostantivo astratto, cfr. Jensen, Syntaxe, § 437. Cfr. anche il v. 40 («ajatz la·m»).
37. nais en vos e·i comensa: per questa coppia di predicati quasi formulare, cfr. Calzolari, Guillem Augier Novella, nota a V, 32-33 [BdT 205,4a]: «Quar en vos nais e comensa / beutatz e conoissensa».
e·i: Azaïs omette i facendo cadere la corrispondenza chiastica dell’avverbio enclitico i < ibi con en vos della prima parte del verso, che precisa ciò che il poeta vuole affermare, cioè che Dio è vera fonte di misericordia.
38. frugz e semensa: la metafora dell’amore (qui è la misericordia, l’amore divino) paragonato ad un seme che fiorisce e fruttifica, è ricorrente nella lirica trobadorica, cfr. per la presenza di simili accostamenti lessicali le note a GlAug V, 24 e VII, 71 con un ricco elenco esemplificativo, e inoltre GlFig VI [BdT 217,7] 5-8: «Ni anc ses Dieu fi ni comensamen / no vim fruchar fruit de bona semensa, / Mas selh que ben fenis e ben comensa, / ren frug de prez e frug da salvamen».
frugzè indeclinabile: «nelle Leys II, 164 (Anglade III, 82) si lascia usare gaug come gaugz: nell’un caso, sonando -g, non si aggiungeva -s -z; nell’altro si aggiungeva la sibilante flessionale, ma dovea non sonare la -g», Crescini, Manuale, p. 71, nota 1.
40. omnipoten: la concordanza grammaticale con francx vorrebbe la -s finale per il vocativo e infatti Azaïs opta per omnipotens; ma la rima pretende la forma asigmatica, che d’altra parte può considerarsi non rara in RmGauc, per il caso retto sg., come più volte si è notato. Sulla presenza in rima di forme che non osservano le regole della declinazione bicasuale, cfr. Stimming, Bertran de Born, p. 240, n. 40; altri casi sono registrati in Vatteroni, Peire Cadernal (II), p. 119, nota 7, e nota al v. 1 di 12 [BdT 335,55].
44 ert: si è preferito intervenire su etz del manoscriuo, forma non attestata per la 3ª ps. sg. dell’indicativo presente di esser (e probabilmente influenzata dalla presenza di etz < estis del v. 38), per dar maggior rilievo al proposito di conversione e cambiamento espresso nell’ultimo verso, mentre Azaïs corregge in est e Oroz Arizcuren mantiene etz («por es») traducendo “pues es tal, ciertamente”. |