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Gambino, Francesca. Canzoni anonime di trovatori e "trobairitz". Alessandria: Edizioni dell'Orso, 2003.

461,177- Anonyme

È il pianto di un malato, con ogni probabilità un lebbroso, costretto ad abbandonare la propria vita, gli amici e gli affetti più cari, per rifugiarsi nell'isola di Embiez. Dell'autore non sappiamo nulla. Poiché al v. 12 egli rimpiange di non essersi allontanato troppo dal paese natio per sfuggire nell'anonimato alla vergogna della sua condizione, è lecito supporre che fosse un provenzale. Secondo Zufferey 1987 bis tale localizzazione potrebbe essere precisata nel territorio compreso tra il Rodano e l'asse Aix-Marsiglia, vale a dire la zona dove la I pers. sing. dell'ind. pres. ha la desinenza -e (soterre 12, in rima, e forse proe 27 < PROBO), forma che però potrebbe essere dovuta all'intervento del copista di f (1). "Comme le chansonnier qui nous fait connaître la pièce semble avoir été exécuté dans la région d'Arles durant la première moitié du XIVe siècle, notre texte a probablement connu une tradition locale, plutôt brève: il ne paraît pas avoir franchi les limites de l'espace qui l'a vu naître et les copies intermédiaires ne doivent guère avoir été nombreuses" (2).
Il nobile amico n’Astor (< EUSTORGIU), cui il poeta si rivolge ai vv. 2 e 9, non è stato ancora identificato. Tra i trovatori spiccano i nomi di Austorc de Segret e Austorc d'Aorlhac, quest'ultimo autore del sirventese composto in occasione della VII crociata Ai! Dieus per qu'as facha tan gran maleza AustAur 40, 1, il cui schema metrico a10' b10 a10' b10 c8' c8' d10 d10 è abbastanza vicino a quello di Non puesc mudar e ha le parole rima companhia 21 e via 41 in comune. Quanto all'appellativo Mon Austoret, che compare al v. 18 del sirventese di controversa attribuzione Del rei d'Arago consir RbVaq 392, 11, esso è stato interpretato come un senhal per Raymond Roger Trencavel, visconte di Béziers e Carcassona, morto nel 1209 (3).
 
1. Non puesc mudar non: nella locuzione, che compare di frequente negli incipit (da Compaigno, no posc mudar qu'eu no m'esfrei GlPeit 183, 4 e No·m pois mudar, bels amics, q'en chantanz UcCat 451, 2, a No posc mudar qu'eu no diga BtBorn 80, 29 ecc.),  possono figurare anche i verbi soffrir, laissar, defendre, per cui cfr. Jensen 1986, § 912; si noti la presenza della seconda negazione, che nella traduzione italiana diventa ridondante.
plainha ma rancura: il sintagma torna riferito all'amante infelice in "e mains plazers, don plaing plus ma rancura" GaucFaid 167, 39, 8 e in "no·us aus plainner ma rancura" An 461, 70, 60.
rancura: il significato di 'sventura' è illuminato da passi quali "Et non sai dir cal[s] a maior rancura; | que·l pros paubres no pot viure gioios, | e·l ric[s] croi[s] viu maritç e consiros: | abdui vivon ab gran desaventura" Sord 437, 26, 15-13; cfr. inoltre SW 1915, VII, p. 25 n. 2 'Unglück', che cita "cant a sant Honorat comptet hom la rancura, | gran dolor si donet de la desaventura" S. Hon. LXXVI, 25.
 
2. est: II pl. pr. ind. del verbo esser, forma ben attestata nel ms. f (cfr. Zufferey 1987, p. 213).
estaie: Zufferey 1987 bis 'region'. Tavera 1984 traduce, cambiando la persona del verbo, 'car c'est là ma condition'.
 
3. car m’es camiat mon ioy e m’aventura: si noti come i due soggetti siano riferiti a un verbo (che precede) al sing.                           
Per il sintagma camjar aventura, cfr. "q'en pauc d'ora si camja l'aventura" GlCapest 213, 4, 14; "camjada s'es m'aventura" Caden 106, 12, 1.
 
5. solas e deport: per la dittologia, cfr. Asperti 1990, p. 332 n. 1. Asperti sottolinea come i termini siano due componenti essenziali del sistema di vita cortese: con la malattia l'autore di Non puesc mudar ha perduto il solatz, la 'compagnia', il piacere che deriva dalla frequentazione delle persone gentili, e il deport, il 'divertimento' misurato, parte importante di questa società.
 
6. luy: femminile è abbastanza raro, ma cfr. Jensen 1986, § 283, p. 94 e Tausend 1995, pp. 468-69; è noto inoltre come anche il pronome maschile potesse essere riferito alla donna amata. Zufferey 1987 bis preferisce invece correggere luy in liey.
sueill: il solito presente con valore di imperfetto, come al v. 17. Si noti come nel manoscritto la -i- serva a rappresentare il suono palatale (compainhia 7, estrainh 10, vueilha 15, sueill 17, enseinhada 18).
 
8. mort: il fatto che la morte venga invocata sottolinea la situazione disperata in cui si trova l'autore, protagonista di una vicenda eccezionale rispetto a quelle consuete nelle canzoni d'amore. Nei trovatori la morte rappresenta infatti il male ultimo, in quanto pone definitivamente fine a ogni possibilità di amore e di vita cortese: è per questo che essa non è mai direttamente implorata, ma figura solo come termine di paragone iperbolico delle sofferenze dell'amante (Asperti 1990, p. 320 n. 31 e p. 471 n. 29).
Il v. ha il primo emistichio di 5 e non di 4 sillabe, ma il cambio del ritmo potrebbe voler sottolineare la drammatica esclamazione. Zufferey 1987 bis preferisce invece spostare la posizione del vocativo "mort" e leggere "car non m'ausis, mort, fas gran vilania!".
 
9. m’es greus e salvaie: per la locuzione, cfr. SW 1915, VII, p. 451 n. 7 'unangenehm, zuwider sein, misfallen', e inoltre "ben l'er al cor greu e fere salvatge" GlBerg 210, 2a ~ An 461, 28, 36; "et es mi greu e salvatge" Cast 109, 3, 3; "seingner, greu m'es e salvatge" DalfAlv 119, 6 ~ Perd 370, 11, 28.
 
10. engoisos: nel ms. f ci sono altri casi di scambio tra an- e en- (cfr. lo stesso engoissos 73v 32, antendens 46r 8, antre 48v 22) registrati da Zufferey 1987, p. 210.  
suferre: probabilmente facilior la forma sufrir del manoscritto, visto che suferre, suggerita da esigenze di rima e documentata da FEW 1966, XII, p. 399ª, non risulta dalle concordanze CLT e COM, mentre soferre Meyer 1870  compare solo in GrBorn 242, 54, 13.
Per quanto riguarda l'infinito retto dalla preposizione a, cfr. "ans sai que m'er a sufrir" AdNegre 3, 4, 27; "que ja·lh sia greus a suffrir l'afans" Caden 106, 16, 24; "mout m'es greu l'afans a sufrir" Pbrem 330, 17, 9.
 
11. Embiers: Embiez è un isolotto sulla costa del Var, al largo di Sanary-sur-Mer.
ostalage: 'dimora', per cui cfr. SW 1907, V, p. 540, dove si cita questo unico esempio; ostage in LR 1840, III, p. 545 n. 10 e TL 1965, VII, col. 1352, che riporta molti ess. del sintagma prendre son ostage, figurato in "aquest motz me pres ostage" UcBrun 450, 2, 45.
           
12. vieu: per la tendenza del ms. f a far evolvere il dittongo -iu- in -ieu-, cfr. Zufferey 1987, p. 209, che cita quali esempi anche uieure, uieuray, e a p. 109 localizza il fenomeno, caratteristico anche del ms. R, nella Linguadoca Occidentale da una parte, Nîmois e Provenza dall'altra.
 
14. ia mais res no·m vis: 'giammai creatura non mi vedesse'.  Per il valore pronominale di res, usato con significato indefinito o negativo, cfr. Jensen 1986, § 539, p. 179 e Rosa M. Medina Granda, Sobre res 'ser, persona, criatura' en provenzal antiguo, in "Verba [Anuario Galego de Filoloxía]", 19 (1992), pp. 275-311. Per l'espressione, cfr. invece "pencha la gensers qu'anc vis res" RbAur 396, 1, 6 e "Mortz es lo reis, e son passat mil an | c'anc tant pros hom non fo, ni no·l vi res" GcFaid 167, 22, 10-11.
no·m vis: Zufferey 1987 bis preferisce sciogliere il titulus posto sopra con non e traduce 'je m'étonne de ne pas m'enterrer tout vif ou de ne pas m'être assez éloigné de ce pays pour ne plus voir personne'; res come accusativo non rappresenterebbe in questo caso un problema (cfr. Jensen 1986, § 537, p. 178).
 
15. vo: per il possibile sviluppo in provenzale di una v- davanti ad o, cfr. Anglade 1921, p. 147.
sufrir: qui, a differenza del v. 10, con funzione transitiva.
 
18. enseinhada: l'aggettivo appartiene alla sfera semantica di pros, cortes, francs ecc. ["rics hom francs et enseignatz" RbAur 389, 7, 26 (Milone 1998); "car es pros et enseignada | e toz bos prez autreiaz" RbVaq 392, 7, 4-5; "l'adrechs cors e ben ensenhatz" GrBorn 242, 53, 69; "Coms, si voletz esser presatz, | siatz adreitz e enseignatz, | larcs et de bella mession" GuiCav 192, 15-17; "et an paires savis et ensenhatz" BtCarb 82, 42, 3; "quar cel que es valenz ni ensenhatz" BertZorzi 74, 12, 3; cfr. inoltre "als enseingnatz et als cortes" 461, 5a, 7, per cui cfr. II] ed è quindi antitetico a vilan ("lo vilas ni·l ben ensenhatz" GrBorn 242, 15, 66; "q'es mal enseignada e vilana" ElUss 136, 1a, 5).
 
19. truop: il dittongo -uo è tipico di f (cfr. ad es. 26v 2), come osserva Zufferey 1987, p. 209 e cfr. XVII, n. 12.
 
20. res: 'creatura'. Per la forma sigmatica, cfr. la nota al v. 14.
segle: adoperato, secondo il consueto uso biblico, nel senso di 'mondo'; cfr. inoltre VIII, 35; IX, 23.
triada: 'rigettata', con slittamento semantico non comune a partire da 'districare, mondare', analogo a quanto avviene in Garin lo Brun ("sapcha·l meilz encolpar | que·ls seus destriar" 163, I, 155-56), per cui cfr. l'interpretazione di G.E. Sansone, Testi didattico-cortesi di Provenza, Bari, Adriatica, 1977, pp. 41-107, p. 91 'scacciare'. Largamente diffuso invece il senso di 'distinguere, scegliere' (cfr. Donat 1208: triar = eligere, Marshall 1969).
Meyer 1870 vede in questa persona 'une malheureuse repoussée de la société'; Tavera 1984 'une qui s'est séparée du monde'; Zufferey 1987 bis 'une personne qui vit retirée du monde'.
 
21-23. Di fronte alle difficoltà incontrate nell'interpretare questi versi, che tra l’altro non rimano tra di loro come dovrebbero, Meyer 1870 proponeva da un lato di invertirne l’ordine, dall’altro di correggere am luy in aizieu (con rauba > raub’a), traducendoli "je me suis mis, faute de mieux, avec une malheureuse repousée de la societé, qui porte une robe d’étaim été comme hiver. Moi qui avais coutume de mener soulas agréable, maintenant je mène soulas de vache". I solas dei vv. 21 e 23 venivano quindi a confondersi con il solas (< SOLĀCĬUM) del v. 5.
Sarà Tobler 1872 a suggerire per primo l'interpretazione di solas come una forma ridotta di solars, mentre in liu, imposto dalla rima al posto di luy, egli vedeva il corrispondente maschile di lia, liga 'legame'. L'espressione provenzale solars am liu verrebbe così equiparata alla francese solers a liens che compare in un passaggio del Roman de la Rose (vv. 9275-77). Come nota Zufferey 1987 bis, però, nessuna lingua romanza conosce esempi dell'ipotetico *LIGU e inoltre, essendo le calzature di questo tipo considerate grossolane, esse si confonderebbero con le altrettanto poco eleganti solars de vaca.
Chabaneau 1874 e 1875, che probabilmente non conosceva la recensione di Tobler 1872, aveva pensato ad un'interpretazione del passo in questione leggermente diversa. Egli aveva infatti proposto di tradurre solas am lieu (così risolveva il solito problematico luy) e solas de vaca rispettivamente con 'semelles de liège' e 'de vache'. Il senso 'sughero' di lieu verrebbe dall'aggettivo sostantivato LĔVE dal quale deriva leu / lieu 'polmone' e che quindi potrebbe applicarsi a un altro corpo leggero; quanto a solas, con l'accento sulla prima sillaba, si tratterebbe della pianta del piede, presa per 'suola' con una metonimia.
Il punto debole dell'ipotesi di Chabaneau è rappresentato dalla proposizione am di solas am lieu, che per un complemento di materia dovrebbe essere piuttosto de. È partendo da questa osservazione che Zufferey 1987 bis raffina le interpretazioni degli studiosi che l'avevano preceduto, proponendo di leggere solas am latz (< LĂQUĔUS), 'calzature con lacci', nel Medioevo segno di eleganza che ben si addice alla 'veste di stamigna' del verso precedente e che contrasta invece con la grossolanità delle solas de vache. A sostegno della sua ipotesi Zufferey cita due versi del fabliau di Boivin de Provins ("Ses sollers ne sont mie a las, | ainz sont de vache dur et fort", vv. 10-11) e del Roman de la Rose, dove Amore consiglia all'amante raffinato "solers a latz e estivaus | aies sovent frais e noviaus", vv. 2137-38. Le calzature di corte e le calzature comuni, insomma, simboleggiano il contrasto tra il lusso passato e la povertà presente, per cui cfr. anche TL 1963, V, s.v. laz, coll. 249-54, coll. 253-54 " - an eleganten Schuhen", con altri ess.
A parte va registrato l'intervento di Tavera 1984, per il quale la "malheureuse repoussée de la societé" sarebbe una religiosa volontaria, triar avendo un senso per lo più migliorativo, mentre solas assumerebbe ancora una volta il significato di 'piaceri'; lo studioso di Nizza ha letto questi versi "qu’ieu solia portar solatz ab ieu | rauba d’estanh port ivern o estieu" e, con più di un fraintendimento, li ha tradotti "car j’apportais le plaisir avec moi; maintenant, vêtu de bure été comme hiver, il me faut contenter de plaisirs de bête". Ab ieu sarebbe un solecismo in rima per ab mi.
 
21. solïa: trisillabo. Sul valore frequentativo della locuzione soler + infinito e sulla funzione indicativa della continuità di un'azione in un arco di tempo indeterminato, cfr. Roger Lassalle, Sagesse de Solon, in Mélanges de langue et de littérature médiévales offerts à Alice Planche, 2 voll., Nice, Le Belles Lettres, 1984, vol. II, pp. 273-77.
 
22. rauba d’estam: il mutamento d'abito è spesso utilizzato come metafora di un mutamento esistenziale. Cfr. ad esempio "per esclavin'e per trabucs | an laissat mantelh e caussier" Marcabr 293, 3, 43-44 (Roncaglia 1953, pp. 6-9), dove le virtù in fuga abbandonano mantello e calzari, che si convengono alle corti, per indossare, come invece conviene ad esuli fuggitivi, la schiavina e gli zoccoli degli umili viandanti.
estam:‘stamigna’ (< STĀMĔN), tessuto di stame, cioè di lana sottile e resistente; commentando estam in Aissi com hom tra l'estan GarApch 162, 1, 1 Latella 1994, 9, p. 231 n. 1 parla di una 'stoffa di buona lana'. Portarlo estate e inverno suppone un’abitazione ben scaldata, e quindi un alto tenore di vita. La voce è specifica del vocabolario tessile: cfr. Kenneth E.M. George, Les désignations du tisserand dans le domaine gallo-roman, Tübingen, 1978 ("Beihefte zur ZrPh" 163), p. 69: 'fil de laine de première qualité'.
Il copista confonde estainh (fort) 'stagno', metallo piuttosto comune nella lirica trobadorica nella contrapposizione ai più preziosi oro e argento, con il ben più raro estam, letto forse estain.
estatz: il termine per designare l'estate è difficilior e si comprende quindi che un copista possa averlo sostituito con estiu, trasformando poi per esigenze di rima latz in liu; il copista di f avrà letto questa forma lui (scritta luy) e, seguendo la tendenza a far evolvere -iu- en -ieu- alla quale ho già accennato nella n. al v. 12, ha trascritto estieu (Zufferey 1987 bis, p. 140).  La forma estieu è registrata da TdF 1979, I, p. 1060.
Le due opposte stagioni valgono metaforicamente per l'avverbio 'sempre' anche in "be·m pac d'ivern e d'estiu" PVid 364, 11, 1; "d'ivern com d'estiu o cantars" FqRom 156, 3, 6; "per qu'eu chant clar e d'ivern e d'estiu" LanfCig 282, 5, 10 ecc.
 
23. solas de vaca: calzature grossolane, come appare dai due passi citati da Meyer 1874. In Les Plaies du Monde, vv. 71-73, Rutebeuf valuta 20 paia di suole di vacca solo 20 soldi, vale a dire molto poco ("S’en donent por ce qu’on le sache | XX paires de solers de vache | qui ne lor coustent que XX souz", Oeuvres complètes, Texte établi, traduit, annoté et presenté avec variantes par Michel Zink, t. I, Paris, Garnier, 1989, p. 70), mentre nel Charroi de Nîmes i travestimenti da contadini di Bertrand e Guillaume comprendono anche tale accessorio: "En ses piez mist uns merveilleus sollers: | granz sont, de buef (var. de vache), deseure sont crevé", vv. 991-92; "Li cuens Guillelmes vesti une gonnele | de tel burel com il ot en la terre | et en ses jambes unes granz chauces perses, | sollers de buef qui la chauce li serrent", vv. 1036-39 (Le Charroi de Nîmes. Chanson de geste du cycle de Guillaume d'Orange, édition bilingue présentée et commentée par Claude Lachet, Paris, Galimard, 1999).
 
24. ors: cfr. Corinne Beck, Approches du traitement de l'animal chez les encyclopédistes du XIIIe siècle. L'exemple de l'ours, in L'enciclopedismo medievale, a c. di Michelangelo Picone, Ravenna, Longo, 1994, pp. 163-78; Bruno Andreoli, L'orso nella cultura nobiliare dall'Historia Augusta a Chrétien de Troyes, in Il bosco nel Medioevo, a c. di B. A. e Massimo Montanari, Bologna, CLUEB, 1990; e Massimo Montanari, Uomini e orsi nelle fonti agiografiche dell'alto Medioevo, in Symbole des Alltags, Alltag der Symbole, Festschrift für Harry Kühnel, herausgegeben von G. Blaschitz et alii, Graz, Akademische Druck, 1992, pp. 571-87.
estaca: 'cavezza, correggia', per cui cfr. FEW 1966, XVII, p. 197 e Pfister 1970, p. 447 estache; Jud 1911, p. 141 osserva che la forma è oggi viva solo in catalano. Per l'immagine, cfr. invece "Si l’encaeinent altresi cum un urs" Rol. 1827 (La chanson de Roland, édition critique par Cesare Segre, nouvelle édition revue, traduite de l'italien par Madeleine Tyssens, I, Introduction, texte critique, variantes de O, index de noms propres, Genève, Droz, 1989, p. 184); "Ausiz sui prins com ors enchaainnez" Gaydon 10244 (F. Guessard-S. Luce, Gaydon. Chanson de geste, Paris, Franck, 1862, "Les Anciens Poètes" 7); più in generale per il paragone con l'orso, cfr. inoltre Oroz 1972, p. 299, n. 22-23 e Eugen Cnyrim, Sprichwörter, sprichwörtliche Redensarten und Sentenzen bei den provenzalischen Lyrikern, Marburg, Elwert, 1888, n. 21.
L'immagine è una variante di quella della 'catena' con la quale amore avvince l'innamorato: "Qu'Amors m'a mes tal cadena" RbAur 389, 41, 29 (Milone 1998); "car mes m'a en tal cadena" BtBorn 80, 9, 5; "cill qe·m ten en sa cadena" RambBuv 281, 7, 53 ecc.
 
27. proe: I. sg. ind. pr. di proar (< PRŎBO),forma della quale non mi pare esistano altri esempi nella lirica trobadorica. Meyer 1870 plor, Tavera 1984 provi.
 
29. cor: senz'altro 'corpo', con il vantaggio di alludere, in modo appropriato al contesto, ai danni fisici della lebbra. La forma asigmatica dell'accusativo è attestata da Jensen 1976, p. 98; cfr. inoltre V, 45 e n.
malautia: sulla lebbra nel Medioevo, cfr. François-Olivier Touati, Maladie et société au Moyen Âge. La lèpre, les lépreux et les léproserie dans la province ecclésiastique de Sens jusqu'au milieu du XIVe siècle, Bruxelles, De Boeck Université, 1998; Paterson 1993, pp. 184 e 271; Saul Nathaniel Brody, The Disease of the Soul: Leprosy in Medieval Literature, London, Cornell University Press, 1974, e in particolare il cap. Leprosy in Literature, pp. 147-97.
 
31. los: l’integrazione della -s è giustificata dal parallelismo con l’espressione del v. 16, dove compare per l’appunto los mals.
trai e la grieu penedensa: cfr. "escontra·l mieu, don trac grieu penedensa" RmJord 404, 12, 45; "mais am estar en tan grieu penedenza" ElBarj 132, 7a ~ RefTrets 419, 2, 28; "qal dui dels tres fan plus grieu penedenza" Lantelm 283, 2 ~ Raimon 393, 2, 6.
 
32. tostens: Tavera 1984 totz temps.
 
 
Note:
 
(1) Cfr. Zufferey 1987, p. 222. ()
 
(2) Zufferey 1987 bis, p. 134. ()
 
(3) Cfr. Chambers 1971, p. 59;  Linskill 1964, p. 39; e Topsfield 1971, 48, p. 361 (dubbia). ()

 

 

 

 

 

 

 

 

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