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Gambino, Francesca. Canzoni anonime di trovatori e "trobairitz". Alessandria: Edizioni dell'Orso, 2003.

461,191- Anonyme

La canzone, anonima e dall'io lirico femminile, segue il compatto gruppo di Na Castelloza in N e con fondati motivi è stata da più interpreti a questa trobairitz attribuita: a ragioni di ordine metrico, stilistico e di contenuto, si aggiungono considerazioni sul tipo di tradizione testuale del corpus di liriche di Castelloza (1).
Oltre alla somiglianza dell'incipit con quello della canzone di Peirol Per dan que d'amor m'aveigna 366,  26, identico nella struttura, pur se di significato opposto, Per ioi que d'amor m'avegna intesse inoltre una fitta rete di rapporti intertestuali con altre canzoni del trovatore alverniate: cfr. ad es. Be dei chantar, pos amors m'o enseigna Peirol 366, 3 ("bos motz" Peirol 366, 3 / "bos motz" An 461, 191, 5; "m'autrei a lieis que retener no·m deigna" Peirol 366, 3, 12 / "Partir m'en er, mas no·m degna, | ... | e pos no·ill platz que·m retegna" An 461, 11-13); Ab gran joi mou maintas vetz e comensa Peirol 366, 1 ("c'adoncs fui rics qu'esser cugei amatz" Peirol 366, 1, 6 / "Rica soi, ab que·us suvegna" An 461, 191, 41). La circostanza è particolarmente interessante perché anche le canzoni di Castelloza rivelano contatti stilistici e contenutistici con i componimenti di Peirol, che potrebbe venire identificato con il Dalfin d'Alvernha menzionato dalla poetessa (2).
Dal v. 5 mas chansos si evince che l'anonima autrice ha composto altre canzoni.
 
1. ioi: termine alquanto sfuggente, per cui cfr. Pietro G. Beltrami, La canzone "Belhs m'es l'estius" di Jaufre Rudel, SMV, XXVI (1978-79), pp. 77-105, alle pp. 89-90, con altra bibliografia.
 
2. esbaudir: il verbo è tratto dall'aggettivo baut 'gaio' ed è spesso posto in relazione con il sostantivo joi, per cui cfr. "per joy d'amor nos devem esbaudir" Cerc 112, 3a, 6 e "m'ant si faich ab joi esbaudir" Marcabr 293, 39, 6.
calgra ogan: Paden 1981 calgr'ogan.
 
3. en grat me tegna: per il sintagma en grat tener 'to find pleasing', cfr. Paden 1981, p. 182, con altri esempi.
 
6. La rima chansos : sazsons non è imperfetta: al di là della grafia, si tratta di -o- tonica seguita da -n mobile.
Paden 1981 legge fon lasaz sons e traduce "nor ever has a melody been laced up", seguito da Perkal-Balinsky 1986, "nor ever has a melody been bound in rhyme". Correggono invece sons in sos Rieger 1991 ("doch nie hat eine Melodie besungen"), che mette in relazione il sostantivo sos con motz e chansos del v. 5, e Bec 1995, secondo il quale si farebbe qui allusione alla canzone che la protagonista ha composto e che, secondo la prassi dei trovatori, viene inviata all'amato: in questo caso parrebbe quindi che la protagonista affermi di non essere mai riuscita a comporre una canzone d'addio. La soluzione che mi pare più calzante è tuttavia quella proposta da Rochegude 1819, Mölk 1989 e Städtler 1990,la sazsos, che io adotto senza modificare la grafia del manoscritto.
anc no fon la sazsons: come in "qu'anc pois no fo sasos" PoChapt 375, 11, 55; "ni anc no fo sasons qe m'en pentes" Templ 439, 1, 6.Il sintagma è una variante di nulha sazo'mai', per cui cfr. " pus pauzar ni finar | no puesc nulha sazo" PVid 364, 2, 76-77; "si Amors nulha sazo | mi fes tort a desrazo, | fait cent tans de pro" GsbPuic 173, 15, 21-23. Per quanto riguarda la sazos, 'il momento', cfr. "Reis omnipotens, | alques chamjet la sazos | en c'om era bos!" GrBorn 242, 41, 64-66; "A! vengutz es lo temps e la sazos | on deu esser proat qual temon Dieu" AimPeg 10, 11, 31-32;  "car vei qe·l volers vos muda | c'aviatz en la sazo | qan Dieus volia mon pro" UcSt-C 457, 18, 24-26 ecc.
 
7. de lui sofrir: 'di fare a meno di lui', per cui cfr. SW 1915, VII, p. 752 n. 14.
 
8. que·m n'er a morir: lo spettro della morte si cristalizza nella stessa formula anche in "peccatz la·m fetz encobir | qu'er m'en a morir" GrBorn 242, 4, 12-13; "e si per mi no·us vens | Merces e Chauzimens, | tem que·m n'er a morir" ArnMar 30, 15, 8-10; "e car me torna e non chaler | per trop amar m'er a morir" RicBarb 421, 4, 7-8 ecc.
 
9. Il verso è lacunoso. Sulla base del v. 8 della canzone di Peirol già citata ("vei qu'amar no·m deigna" 366, 26, 8) Rochegude 1819, Paden 1981, Städtler 1990 e Rieger 1991 propongono l'integrazione [pos vei]. Mölk 1989 preferisce invece integrare la lacuna con un [dompna]: "c'ab tal autra [dompna] regna".
regna: letteralmente 'vive', per cui cfr. SW 1915, VII, p. 231 n. 2 e la dittologia sinonimica viure e renhar in "car genz viu e regna" PCarav 334, 1, 63; "qu'ab joi viu et ab sen renha" PVid 364, 38, 5.
 
11. Il fatto che le coblas siano capfinidas permette l'agevole ricostruzione dell'iniziale mancante di ogni strofa.
no·m degna: 'non mi giudica degna del suo amore', come anche in "mas grieu [m'es] car no·m degna" Pist 372, 4a, 25; " e fai o mal, quar no·m denha" GcFaid 167, 64, 15-16; "per tal que no·m vol ni·m denha" Peirol 366, 12, 35 ecc.
 
12. morta: 'fatto morire'.
 
13. ·m retegna: 'mi tenga al suo servizio'; sui significati del verbo retener, uno dei lessemi strettamente connessi alla cultura feudale e in seguito sottoposti a reinterpretazione cortese, cfr. IV, 25 e nota.
 
15. respos: 'Unterhaltung', 'Worte, Rede' SW 1915, VII, pp. 272-73. Il sintagma avinenz respos, meno frequente di quello con bel o con gent, figura anche in "e gens parlars et avinens respos" ArnMar 30, 1, 6; "e gens parlars ab avinens respos" UcBrun 450, 3, 11; "c'ab sos avinenz respos" An 461, 191, 15 ecc.
 
17. a sidonz non tir:  'alla sua donna non dispiaccia', per cui cfr. la dittologia enujar e tirar in "e non ai cor que·m recreja | ja del sieu servir, | cui qu'enuei ni tir" GcFaid 167, 34, 56-58; "e d'aitan, per que·m fai parer  | ma domna que·il enoi ni·l tir" RicBarb 421, 4, 27-28.
 
18. d'aitant enardir: come in "mas no·s cove del mieu par | qu'aus parlar | de lieis. E per quei? | quar no dei, | ni[·m] tanh, d'aitant enardir | qu'ieu l'aus dir" RmJord 404, 7, 35-40.
Mölk 1989 osserva che il verso potrebbe anche essere interpretato "s'el fa·s d'aitan enardir" e lo traduce 'falls er sich dazu erkühnt'.
 
19-20. ·s tegna | ... de: 'si astenga dal'.
 
22. lais: si può trattare sia di una I sia di una III pers. sing. del pres. ind., con conseguente cambiamento di prospettiva.
 
23. Rochegude 1819, Paden 1981 e Städtler 1990 propongono l'integrazione [quar paor ai]. Rieger 1991 suggerisce [si m'angoissa] sulla base della citata canzone di Peirol ("si m'angoissa·l cortesia | […] que farai mais que fatz | tro·l desirs m'aucia" 366, 26, 27 e 29-20). Mölk 1989 lascia la lacuna.
 
24. fa: Rochegude 1819 fai.
 
25. amics: è l'innamorato cortese.
 
26. car: 'infatti', giusta l'osservazione che nella lingua d'oc, come in quella d'oïl, "la fonction la plus fréquente de car est-elle d'apporter la preuve que la proposition qui précède est vraie" (Annie Bertin, L'expression de la cause en ancien français, Genève, Droz, 1997, p. 56).
 
27. c'aillors me vir: il verbo se virar 'girarsi', accompagnato dall'avverbio alhor o d'autra part, ha assunto nella lingua dei trovatori l'accezione particolare di 'distogliersi da una dama' per amarne un'altra, fino ad acquistare il senso di 'mostrarsi infedele'. Alhor o d'autra part corrispondono nella locuzione alle parole loc e ren inserite in perifrasi per designare la dama in uno stile neutro: cfr. VI, 2 e nota; Cropp 1975, p. 227; Blasi 1934, p. 62.
 
28. Paden 1981 attribuisce a far il significato pregnante di "sexual union", che però, come osserva Rieger 1991, sembra appartenere solo al sintagma far lo (SW 1902, III, p. 380 n. 2; Bec 1984, p. 235).
 
29. ia iorn: il sintagma avverbiale, molto meno comune rispetto all'analogo anc jorn, è comunque attestato in "que ja maisjorn no m'aucirai prejan!" GcFaid 167, 59, 58 e 62; "que ja jorn vas me s'amesur" GlSt-Did 234, 5, 12; "e que ja jorn ni merces ni preyars" GlPCaz 227, 6, 18; "et ja jorn no·n serai gaujos" An 461, 197, 25. Cfr. inoltre "ja·l jorn qu'ela·s mire" BnVent 70, 25, 45; "e ia lo iorn non ve a sa faicho" GrdoRos 240, 6a, 39 ecc.
me captegna: 'mi trattenga'.
 
30. de vos amar ni grasir: si ripete con una leggera variazione la dittologia del v. 20, de leis amar ni servir; grasir si accompagna ad amar anche in "la deu hom amar e grazir" GcFaid 167, 38, 59; "c'amar si fai e grazir" AimBel 9, 15, 30; "o·m faras amar e grazir" LanfCig 282, 10, 54.
 
31-32. Questi versi possono essere interpretati in due modi. I sostantivi maltrag e consir potrebbero infatti essere retti dal verbopregna (letteralmente 'vi sono grata, per quanto ne debba soffrire ogni pena e preoccupazione'; il significato 'soffrire' di prendre è registrato da SW 1910, VI, p. 511 n. 10, che cita anche un esempio tratto dalla Crois. Alb. 3364 "E cant el pren martiri a tort et a pecat") oppure dal verbograsisc, seguito dall'inciso con que m'en pregna ('vi ringrazio, qualunque cosa me ne derivi, di tutta la sofferenza e le preoccupazioni').
In entrambi i casi si tratta della topica del "dolce male": la dama ringrazia paradossalmente l'amato per la pena che riceve analogamente a "Lo dezirier e·l talan e l'enveya |  que·m ven de vos, grazisc, ma douss'amia, | e·l cossirier e·l maltrag e·l languir | qu'ieu ai suffert, pus vos vi, nueg e dia: | e pus lo cors lo maltrag vos merceya, | si·l dessetz ioy, gen lo·us saupra grazir: | mas yeu no cug qu'hom am per bona fe, | si de amor non grazis mal o be" Esperd 142, 1, 1-8 e "grazisc d'amor los bes e·ls mals" BtAlam 76, 16, 6 (Asperti 1995 bis, p. 221 "apprezzo la gioia e i dolori d'amore").
Anche se il costrutto grammaticale che ne risulta potrebbe sembrare goffamente ellittico ["grazisc vos, ... | (grazisc? de?) tot lo maltrag ..."; ma cfr. peraltro "Dompna, ieu vos dei grazir | so q'ieu sai ben far e dir" RbAur 389, 7, 64-65 'Signora, a voi devo rendere grazie di quanto so ben fare e dire'], mi hanno fatto propendere per la seconda interpretazione i contesti degli esempi che ho citato e il fatto che la congiunzione con que introduca spesso un inciso ("qu'autra no·m plai que·m retenha, | ni lieys no·m puesc oblidar; | ans ades, quon que m'en prenha, | la·m fai mielhs amors amar" Sord ? 437, 1, 27-30; "per c'om lial[s] non troba qi·lh retenha |  c'ades repren lo mal, con que s'en prenha" An. 461, 214a, 7-8; e inoltre "com que·m malme" FqMars 155,8 'per quanto io viva male'; "con que vaya" JoEst 266, 9, 71 'come che sia').
           
32. consir: cfr. IV, 1.
 
33-34.  no·s fegna | de mi: 'sospiri, si dia della pena per me', come in "Eu non sui drutz, ni d'amor no-m feing tan | q'ieu en razon ges dompna ni n'apel" BertrBorn 80, 34, 9-10 (Gouiran 1987 'et je ne soupire pas d'amour') e "n'Audiartz, de vos ai apres | so don a totas sui cortes: | mas d'una chan e d'una·m feing, | e d'aqella Miraval teing" RmMirav 406, 20, 49-52.
Meno convincente mi pare la traduzione di Mölk 1989 "niemals bemühe sich ein Ritter um mich (ein Ritter von der Art), daβ einer nicht einmal begehrt", "also: wenn sich ein Ritter um mich bemüht, müβte er mich auch wirklich begehren".
 
34. c'u·ssol: Paden 1981 c'us sol, e in nota a II, 10 segnala il caso obliquo; Rieger 1991 corregge in un.
 
35. bels amics: tra le numerose occorrenze del sintagma, significative quelle in Castelloza("Ai! Bels Amics, sivals un bel semblan" 109, 2, 10; "Bels Amics, de fin coratge" 109, 3, 11), che Paden 1981 considera un senhal, ma, vista la frequenza dell'appellativo, non mi pare indispensabile pensare nel nostro caso ad uno pseudonimo.
 
36. los oilz ambedos: sull'importanza dello sguardo nella dinamica amorosa, cfr. Angela Giallongo, L'avventura dello sguardo. Educazione e comunicazione visiva nel Medioevo, Bari, Dedalo, 1995.
los, ambedos: correzioni di Rochegude 1819.
 
39. c'ab mos bratz vos segna: la stessa espressione compare anche in "bonaventura·m vegna | d'aqella q'eu enten, | qe de mos braz la cegna" Pist 372, 4a, 9-11.
 
40. enriquir: 'rendere nobile e più felice', 'appagare', come in "la bela qui·m pogr'enrequir" Lemozi 286, 1 ~ BnVent 70, 14, 20; "e pois tan m'a enriquit" BnVent 70, 27, 62; "S'estiers no·us platz que·m vulhatz enriquir, | no·us pes s'ie·us am ni sui vostre conques" ArnMar 30, 26; "que· dieus d'amor a ben per dreit jutjat | que dona deu son amic enriquir" DPrad 124, 6, 39-40; inoltre "que per vostras finas beltaz | pograz tot lo mont enriquir" RambBuv 281, 10, 43-44.
Ric in a. prov. ha una gamma di significati che spazia dall'accezione di 'ricco moralmente, pregevole' e 'ricco materialmente' a 'nobile in senso sociale', 'altero, orgoglioso', 'felice, appagato': cfr. Stroński 1910, p. 263 n. 24; Cropp 1975, pp. 93-97; Vanda Piccininni, Analisi semantica di antico-provenzale ric / ricaut, MR, IV (1977), pp. 272-93.
Ric con il significato di 'appagato, felice' ricorre in "D'aisi·m sent ric   per bona sospeison, | qu'en joi m'asic e m'estau volentiers" PAlv 323, 24, 37-38 e in "Anc no fo de joi tan ricx" FqRom 1, 17; cfr. inoltre gli ess. citati da Melli 1978, p. 199 n. 44.
           
44-45. c'ab aitan pot revenir | mos cor: la stessa espressione in "que·l seus bels douz semblans me vai | al cor, que m'adous'e·m reve" BnVent 70, 17, 43-44; "per natur'e per uzatge | me ve qu'ieu vas joi m'acli, | lai quan fai lo dous auratge | que·m reve lo cor aissi" ArnMar 30, 10, 13-16; "lo jorn qe·m det s'amor e sa coindanssa; | aquel esgartz m'intret tant dolsamen | al cor, que tot lo·m reven e m'apaia" GcFaid 167, 60, 13-15 ecc.
 
45. cor: Paden 1981 osserva che "the etymological nom sg. cor (beside analogical cors) is unusual in combination with a sigmatic nom sg. such as mos, but may be found among the vars. in Bernart de Ventadorn"; cfr. inoltre Frede Jensen, Provençal Cor and Cors: a Flexional Dilemma, RPh, XXVIII.1 (1974), pp. 27-31.
ques es: Paden 1981, Perkal-Balinsky 1986, Städtler 1990 que fes.
enveios | de vos: come in "adoncs parti destreitz et envejos | de vos, dompna, cui desir e teing car" GcFaid 167, 37, 17-18; "ma bella dompna, de vos soi enveios" FqRom 156, 8, 37. Guida 1983 osserva che nella lirica trobadorica l'aggettivo risulta adoperato con particolare frequenza in posizione rimica.
 
46. cobeitos: sinonimo di enveios 45r, spesso usato dai trovatori per evitare la rima identica: cfr. enveios : cobeitos  RaimJord 404, 6, 3 : 27; ElBarj 132, 7, 19 : 35; "e ben pauc vos vei enveios | de ioi ni d'onor cobeitos" LanfCig 282, 12a, 50-51. Cfr. inoltre "que tant sui de vos cobeitos" GaucFaid 167, 1, 39.
 
48. gandir: l'incapacità di difendersi da amore e dalla donna amata è topica: cfr. "Nulhs hom non pot d'amor gandir" PVid 364, 31, 1; "c'Amors o vol, ves cui no·m puosc gandir" ArnMar 30, 22, 35; "e lo vens tan que ges no·n sap gandir" Arnaut Peire d'Agange 31, 1, 46 ecc.
 
49. revegna: si noti la rima etimologica con revenir 44 e quella identica con revegna 21, probabilmente da non reputare quel vici di mot tornat en rim stigmatizzato dalle Leys d'amors, perché nell'ultima strofe in assenza di congedo. Per l'accezione del verbo, assai comune, cfr. tra tutti "Negus jois al meu no s'eschai, | can ma domna·m garda ni·m ve, | que·l seus bels douz semblans me vai | al cor, que m'adous' e·m reve" BnVent 70, 17, 41-44, dove anche qui a rianimare il poeta è una manifestazione di benevolenza da parte della donna.
 
49-50. un bel semblan ... | ·m faiz: sintagma stereotipato per cui, solo per fare qualche esempio, se ne vedano le occorrenze nel solito Bernart de Ventadorn: "c'ab sol lo bel semblan que·m fai" 70, 27, 28; "vos me fatz bel semblan" 70, 36, 53; "fezetz m'un bel semblan" 70, 37, 36 ecc.; cfr. inoltre XIV, 7 e n.
 
50. ·m faiz: Rochegude 1819 risolve l'ipermetria del v. espungendo "em"; Paden 1981 espunge "·m faiz" ("e que·m ausiza·l consir")e interpreta in modo diverso l'intero periodo ("Friend, don't let me die because I cannot extract from you a fine glance to cure me and kill my care"); Mölk 1989 "·m faiz, que m'ausiz al consir" ("denn Ihr habt mich durch meine Traurigkeit getötet!"); Städtler 1990 "faiz que·m ausiza·l consir"; Bec 1995 "fatz, que m'aucira'l consir".
 
 
Note
 
(1) Cfr. Schultz[-Gora] 1888, p. 4; René Lavaud, Les troubadours cantaliens, XIII e XIV siècles, Notes compleméntaires critiques et explicatives sur le textes publiés dans l'ouvrage de M. le Duc de la Salle de Rochemaure, Aurillac, Imprimerie Moderne, 1910, rist. Slatkine, Genève, 1978, p. 89; D. Rieger 1971, p. 211; Paden 1981, pp. 179-82; Bec 1995, p. 284; Zufferey 1989, p. 31; Städtler 1990, pp. 216-20; A. Rieger 1991, pp. 66-67 e p. 555; Michel-André Bossy - Nancy A. Jones, Gender and Compilation Patterns in Troubadour Lyric: The Case of Manuscript N, FF, 21 (1996), pp. 261-80, pp. 269 e 275. Solo Jeanroy 1934, pp. 356-66 dubita dell'attribuzione. ()
 
(2) Sul rapporto tra Castelloza e Peirol, cfr. Rieger 1991, pp. 556-58 e p. 561. ()

 

 

 

 

 

 

 

 

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