L’interruzione del discorso amoroso con una cobla di argomento politico e, in genere, la commistione fra arma e amor è molto diffusa nella lirica trobadorica: un caso analogo a quello folchettiano è già in JfrRud 262,6 (VI), dove il tema della crociata viene introdotto dopo cinque coblas di argomento amoroso; si ricordi inoltre l’allusione politica nella cobla V di FqMars 155,5 (I) (1). Secondo Locher 1980, p. 198: «Apart from the disconcentring fifth stanza, the canso exhibits a remarkable structural unity. The form of the stanzas suggests the poet’s concern with articulating individual segments of this logical and formal chain. Each stanza tends to fall into halves, the first stating a generalization, the second contrasting a particular exception to tht rule just stated». Il segnale della bipartizione è quasi sempre la congiunzione avversativa mas (cfr. vv. 5, 13, 22 [appena oltre la metà, in questo caso], e 43 [cioè a metà della tornada]) e solo nella cobla IV «the division – once again between half-stanzas – is a temporal one: the speaker, after the usual generalization (this time a one-line rethorical question), contrasts his former state of hopeless servitude with his current demand for reward» (p. 199). La conclusione dell’analisi sottolinea la coerenza strutturale e lo stretto rapporto fra le singole coblas e l’impianto complessivo della canzone.
Datazione: parte I, § 1.3.1.6.
1-4. Il periodo iniziale può, secondo Stroński (p. 79*) essere rapportato a una combinazione di due sentenze di Publilio Siro: «Perpetuo vincit, qui utitur clementia» e «Bis vincit, qui se vincit in victoria».
13-15. Il paragone (censito da C. Stössel, Die Bilder und Vergleiche der altprovenzalischen Lyrik nach Form und Inhalt untersucht, Marburg, Koch 1886, p. 58, n° 306) acquista una più forte pregnanza se si tiene conto del fatto che lo sparviero, oltre ad essere l’«uccello cortese per eccellenza» (Meneghetti 1992, p. 258, n. 46), metaforizza frequentemente l’amante: implicito nel reclam di JfrRud 262,5 (III), 11, il motivo affiora nella prima delle due Liebesstrophen dell’XI sec. studiate da Lucia Lazzerini: «Las, qui n[on] sun sparuir astur, / qui podis a li uoler» (A proposito di due Liebesstrophen pretrobadoriche, CN, LIII [1993], pp. 123-34); sulla metafora rudelliana (e altri ess. antico italiani) si veda anche Lazzerini 1993, in partic. pp. 182-94 (da confrontare con Beltrami 1990b, pp. 28-29); per la valenza mitica del motivo più generale dell’uomo-uccello si veda d’A. S. Avalle, Fra mito e fiaba. L’ospite misterioso [1978], in Dal mito alla letteratura e ritorno, Milano, Il Saggiatore 1990, pp. 160-73. Altre indicazioni in C. Bologna, Lo sparviero, l’allodola e la quaglia (Sulle “fonti” cortesi di Andrea Cappellano), «L’immagine riflessa» XIII (1990), pp. 113-57, in partic. pp. 139-40 e n. 53.
17. Lo stesso concetto è espresso da Ovidio nei Tristia, II, I, 266: «nil prodest, quod non laedere possit idem».
18. Il verso messo a testo è in sostanza quello della versione β (CVf Mc)+DcFaQSls; tuttavia, tenendo conto dell’estrema varietà temporale che assumono i derivati di poder, ovvero poiria AbLNO e poria U (condizionale perifrastico), pogra AB (condizionale da piuccheperfetto indicativo), poirai CMf e po(r)rai DcFaPQSVcls (futuro), p(u)os(c) DGIK (presente indicativo) e poc R (perfetto), si può riconoscere nel passaggio be vos > be·us il fattore dinamico che ha provocato la diffrazione e in particolare il passaggio da una forma monosillabica ad una bisillabica. Conserverebbero perciò il verso originario («donc, se·us tinc pro be vos puos dan tener») i mss. DG, mentre IK (ed R, che tuttavia interviene sul sintagma finale: poc mantener) testimonierebbero una fase intermedia (doncs sieus tinc pro beus puosc dan tener) significativamente ipometra, a meno di voler considerare dieretico sieus; cfr. anche ben us di U, che potrebbe essere la deformazione di un be uus < be uos, e si noti anche il perfetto tinc che, assente nel mio testo perché non attestato in β (se non nel solo N), mi pare più confacente al contesto. Un caso del tutto analogo in ArnMar 30,15 (III), 13 è studiato da Barbieri 1995, pp. 19-20.
19. Il senso del verso è abbastanza dibattuto: a parte la notazione di Schultz-Gora 1921, p. 142, per cui et vale «und zwar», non è univoca l’interpretazione di merces (che, come già in FqMars 155,5 [I], 53, mi limito a tradurre alla lettera); alla traduzione, peraltro dubitativa, di Stroński, «récompense» (p. 127) e poi «pitié, chose pitoyable» (Add. et corr., p. 274), Salverda de Grave 1911, p. 502 e Jeanroy 1913, p. 260 oppongono «chose méritoire» il primo, «acte méritoire» il secondo, rimandando a SW, V, p. 230 (s.v. merce, n° 2: «Dankenswerthes, Verdienst»), mentre Schultz-Gora, ritenendo «ein wenig zu stark» le due proposte, traduce «etwas Dankenswertes», volendo probabilmente dare alla voce di Levy un significato più vicino alla lettera (‘qualcosa degno di riconoscenza’). Quanto a vostre saber, all’insoddisfacente traduzione di Stroński, «ce savoir qui est le vôtre», Salverda de Grave oppone «la connaissance de vous», rimandando per il genitivo oggettivo al volume di Schultz-Gora Altprovenzalische Elementarbuch (§ 179), facendosi approvare la scelta dallo stesso Schultz-Gora; questi intende: «Kenntnis, die ich von Eurem Wesen gewonnen habe»; al contrario Jeanroy traduce: «la science que je tiens de vous», interpretazione questa che preferisco in quanto riprende il topos delle facoltà artistiche del poeta come dono della donna (o di Amore).
22. chauzimens: sono fondate le critiche dei recensori Jeanroy 1913, p. 260 e Schultz-Gora 1921, pp. 142-43 alla traduzione («la douceur») di Stroński (ma è «discrétion» nel Glossaire, p. 242, s.v. chausimen), ma le loro controproposte: «le respect des convenances» e «’Rücksicht’, ‘Nachsicht’, ‘Milde’», mi paiono poco appropriate; meglio risalire alla base etimologica (CERNERE ‘vedere, distinguere’) e tradurre quindi con ‘discernimento’, ‘ragionamento’.
Sullo scambio in rima con iauzimen in IKOPV si veda la nota di commento a FqMars 155,1 (V), 17.
23. La natura della varia lectio del verso, già puntualmente analizzata nella Nota al testo, impedisce un immediato riconoscimento del testo della versione β: i problemi maggiori si addensano nel bisillabo iniziale enanz che, attestato in β dal solo N, è lezione piuttosto del gruppo γ (DcFaGQ); e cfr. qar enanz di ls. Tuttavia la lezione, seppur priva di prefisso (anz), compare in Ucf (+β¹), mentre il solo prefisso (ê) si legge in R, latore peraltro di un verso ipometro (e cfr. l’innovazione di V, & eu, che ripristina l’isometria). È però probabile che, come al v. 18, sia ancora D, stavolta con M, a recare la lezione originaria anceis (promossa a testo da Stroński) di cui sia anz che enanz possono essere glosse esplicative; il verso sarebbe quindi: «anceis voill mais sofrir mon dan jase», con anticipo di sofrir. Come al v. 18 registro la parziale coincidenza di IK, che tramandano anseis, ma rispetto a DM pospongono sofrir, oltre a innovare mon dan > mon mal.
23-24. vuelh sufrir ... adrechures: l’opposizione fra la scelta fatta e quella rifiutata, motiva un’opposizione temporale fra il presente+infinito e il congiuntivo imperfetto, non restituibile in italiano. Quanto al senso di adrechures, accolgo nella sostanza l’obiezione di Jeanroy 1913, p. 260 alla traduzione di Stroński: «non ‘réparer’, qui fait ici contre-sens, mais justifier»; non mi convincono invece la traduzione, peraltro dubitativa («vielmehr will ich lieber immer mein Leid erdulden, als daß ich, mich laut beklagend, Eurem Unrechte Einhalt tue (?)») e l’interpretazione del distico offerte da Schultz-Gora 1921, p. 143: «Allerdings kann der Dichter das Unrecht der Dame nicht ‘gutmachen’, aber er kann es abstellen, aufhören machen, indem er sich beklagt, und das scheint doch hier der weitere Sinn zu sein, der sich mit ‘réparer’ immer noch halbwegs vereinigen läßt, da die Abstellung eines fortgesetzten unrechten Tuns als indirekte Gutmachung desselben aufgefaßt werden kann»: più semplicemente chi dice io, non solo si astiene dal muovere contesa e dal dire male della sua signora, ma, rincarando, dichiara di preferire una perenne sofferenza piuttosto che far emergere con le sue lamentele il torto della donna.
25. bona fe: caratteristica tipica della fin’amor: cfr. BnVent 70,21 (XXI), 9-10: «Dels baros comensa l’enjans, / c’us no·n ama per bona fei» e 70,31 (XXXI), 17-18: «Per bona fe e ses enjan / am la plus bel’ e la melhor».
26. c’anc mais nuls hom: assumo come al solito la versione β, notando che Cf seguono la versione α e che proprio a partire dalla lezione di questo gruppo Perugi 1978, I, p. 212 elabora la soluzione: «c’anc mais neüs si mezeis no trai» (è l’ultimo esempio di una triade folchettiana, comprendente 155,22 [II], 4 e 155,18 [III], 7, di recupero del pronome neül dieretico).
29. Il verso di Stroński: «ar quier Merce so faria parer», tradotto: «Maintenant j’implore la Grâce qu’elle le fasse apparaître», dà ben poco senso; i tentativi di restauro di Lewent 1911, col. 333: «nach quier müsste der Konjunktiv stehen; lies deshalb s’o st. so: “nun bitte ich die Gnade, ob sie...”» e Jeanroy 1913, p. 260: «Je propose de lire (avec R) s’o fazia p. (ou faz i aparer) et traduis: “Je m’excuse si je laisse voir cela” (que j’ai servi sans récompense)» possono essere aggirati modificando la punteggiatura.
30. servizi: cfr. Commento a FqMars 155,1 (V), 6; e cfr. inoltre Publilio Siro: «Beneficium qui dedisse se dicit, petit».
31. semblansa fai que·l: accanto alla lezione propria del gruppo β (CRf LNUc; e cfr. semblan fai ben di V), metto a testo, come Stroński, que·l, lezione dei soli CR e di α (AAbBPSOls) + D.
33. E: in considerazione del carattere marcatamente innovativo dei mss. CQRV in questa cobla V (cfr. per es. lo spostamento dell’azione al presente di 34 blasmet > blasme RV e 39 dis > dic CV + O, le innovazioni parziali di 35 len desmen > es sauput RV, 38 bon > ric RV e uoler > auer C + cf, o totali di 40 et es sauput sieus no men desdi RV, le lezioni erronee 38 ualer Q, in quanto rimante di v. 6, e 39 mal, già commentato nella Nota al testo), rinuncio al mas iniziale tràdito da tre importanti mss. di β, per il più attestato e certo non deteriore e.
35. l’en desmen: posto che per Stroński desmen è una 1ª sg. («je lui en donne démenti» è la sua traduzione), Lewent 1912, col. 333, col quale concordo, annota: «Ist nicht desmen besser als 3. Person zu fassen? Richard straft die Tadler durch sein Verhalten Lüge».
36. Un’espressione analoga è segnalata da Stroński (p. 83*) in BnVent 70,36 (XXXVI), 43-45: «c’a las oras cove / c’om s’an entrelonhan / per melhs salhir enan».
38. quar, al bon voler: accanto alla lezione caratteristica della versione β quar (CRVf Uc) + Qls metto a testo la preposizione articolata al, tràdita da AbOPS (ma cfr. als di Cf Uc), laddove RM LN hanno semplicemente a.
39. s’en: eccezion fatta per C, che ristruttura la prima parte del verso, il gruppo β attesta variamente sieu RVU, sen Lc (con DGQ e OPSls), sin M, seus N e se f: difficile dire cosa abbia potuto generare una simile diffrazione, anche perché il sien di AAbBIK si presta a un duplice scioglimento: s’ie·n (adottato da Stroński e da me per il testo della versione α), che si potrebbe collegare con il sieu di RVU, e si en, con sinalefe e quindi mera variante grafica di s’en. Considerando la tendenza innovativa di RV, già evidenziata alla n. 33, metto a testo s’en, ma ipotizzo che la lezione originaria possa essere riconosciuta in si en: se non stupisce la conservazione dello iato grafico in mss. come AB, va sottolineato che IK si sono già dimostrati ai vv. 18 e 23 latori di lezioni quanto meno difficiliores.
40. vei m’o: allo scioglimento del ueimo di CfLN G proposto da Stroński, un raro e improbabile veim o («nous le voyons») messo in relazione con un analogo, e altrettanto improbabile, vem tràdito da PS e, forse, da G, in FqMars 155,5 (I), 50 (per il quale rimando alla relativa nota del Commento), va opposto un meno oneroso vei m’o: condivido insomma la proposta avanzata indipendentemente da Paul Meyer in Parducci-Meyer 1910, p. 81, da Bertoni 1911, p. 118 e da Lewent 1912, col. 333 che l’argomenta con più chiarezza: «so darf man doch vei m’o “ich sehe es” lesen, das ebenso befriedigt wie das im Texte stehende “wir sehen es”» (concorda con tale interpretazione anche Jeanroy 1913, p. 259). Per di più una forma come vei m’o spiega bene la diffrazione uei moi D, uei ben IKQ, uei hom MUc, uez hom ls e uedem PS, unica occorrenza di una 3ª pl. (si noti la coincidenza dei relatori con il vem di FqMars 155,5 [I], 50).
Nota
(1). Si dà anche il caso opposto di sirventesi contenenti coblas erotiche: si vedano in proposito le osservazioni di Beltrami 1989b, in partic. p. 237 e n. 16, e di S. Thiolier-Méjan, Croisade et registre courtois chez le troubadours, in Études de Philologie Romane et d’Histoire Littéraire offerts à Jules Horrent, éditées par J.-M. D’Heur et N. Cherubini, Liège 1980, pp. 295-307. Tale commistione è istituzionalizzata nella canzone-sirventese, genere studiato in particolare da Erich Köhler: Oltre a Die Sirventes-Kanzone: “genre bâtard” oder legitime Gattung?, in Mélanges offerts à Rita Lejeune, Gembloux, Duculot 1969, vol. I, pp. 159-83, si veda la sintetica trattazione in GRLMA, II, t. 1, fasc. 4, pp. 62-66 (con documentazione nel vol. II, t. 1, fasc. 7, pp. 375-83); sul sistema dei generi elaborato da Köhler e la sua scuola si vedano infine le considerazioni in parte critiche di P. Wunderli, Réflexions sur le système des genres lyriques en ancien occitan, in Misc. Bec 1991, pp. 599-615 (per la canzone-sirventese in partic. le pp. 605-10). (↑)
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