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Betti, Maria Pia. Le Tenzoni del Trovatore Guiraut Riquier. "Studi Mediolatini e Volgare", 44 (1998), pp. 7-193.

248,016=100,001- Guiraut Riquier

Guiraut chiede a Bofilh quali siano i motivi che lo stimolano a poetare, e si sente rispondere che egli canta per allegria e per amore. A questo punto, per provocare il partner, certamente ebreo, Riquier sposta la tenzone su un piano di controversia religiosa accusando Bofilh di essere trachors e ricevendo a sua volta l'invito ad indossare l'abito bianco dei Domenicani.
Secondo ANGLADE (Guiraut Riquier, p. 86), è questa la tenzone più antica di Guiraut Riquier, scritta in uno dei due soggiorni che egli compie nel 1257 e 1259 presso Bertran d'Opian, il cavaliere del Minervois (Hérault, arrond. Saint-Pons), che sembra qui proposto - ed è un fatto inusuale, non trattandosi di un partimen - come giudice. Di lui non sappiamo molto: è uno dei primi protettori di Guiraut, che lo cita anche in altri testi dello stesso periodo (1); già legato ai signori di Narbona in un atto del 1229 (se è plausibile l'identificazione già accettata da ANGLADE, Guiraut Riquier, p. 33), nel 1242 risulta testimone, con altri sei cavalieri, della sottomissione del visconte Amalrico IV all'autorità reale.
L'affermazione di CHABANEAU, per il quale l'interlocutore di Riquier è senza dubbio un eretico cataro (Cinq tensons, p. 119, n. 28), è stata confutata da studiosi successivi come ANGLADE (Guiraut Riquier, p. 87 e n. 4), il quale segnala che «Bofilh, dans les documents de l'epoque, n'est pas rare comme nom de juif», REGNÉ (Étude sur la condition des juifs, pp. 15-99), JONES (La tenson, pp. 44-45) e, più recentemente, SERPER (Guiraut Riquier, p. 424), VIGUIER (Un troubadour juif, p. 83), MENEGHETTI (Il pubblico, p. 120) e ISRAËL (Provences, pp. 162-163): per essi, infatti, si tratta di un ebreo, anzi dell'«unico trovatore ebreo di cui ci sia giunta notizia» (MENEGHETTI, Il pubblico, p. 120).
Un tentativo di identificazione riguardo a Bofilh è stato compiuto da VIGUIER (Un troubadour juif, p. 83), la quale, partendo dal presupposto che se «Guiraut dialogue avec un Juif, celui-ci doit de son côté posséder une notoriété», individua in Abraham ben Isaac Bedersi le caratteristiche idonee al profilo di poeta ebreo ricercato. Contemporaneo di Guiraut, partito dalla natia Béziers per giungere fino a Perpignan e porsi sotto la protezione della corona aragonese, Bedersi, pur avendo lasciato una «oeuvre-fleuve» largamente inedita, è comunque conosciuto come personaggio «de haute-relief, passionné, emphatique, se vivant comme prince des poètes», e che «pratique tous les genres, sacré, profane, parodique du sacré. Erudit, il compose un dictionnaire de synonymes bibliques». Un uomo combattivo e «amèrement lucide» che, secondo Viguier, poteva ben assumere lo pseudonimo di Bofilh (vicino al nome occitano di Bedersi, 'en Bonet', p. 87) per contrastare con Guiraut.
La figura di Bofilh ci offre l'occasione per accennare alla posizione degli ebrei in Provenza e Septimania a metà dei '200. Fino agli inizi del secolo XIII le comunità giudaiche del Sud della Francia non avevano risentito in maniera sostanziale del mutato atteggiamento che si era andato operando, con gli appelli alle crociate, nel comune sentire dei cristiani verso tutti coloro che adoravano un 'Dio altro'. Solo con la guerra santa contro i catari, iniziata a Béziers nel 1209, e l'istituzione dell'Inquisizione per sorvegliare, anche in questa area, il trionfo della cristianità (1244), gli ebrei meridionali cominciarono a subire restrizioni che divennero via via maggiori con il rafforzamento parallelo dell'intransigenza cattolica e dell'autorità francese, entrambe personificate dal re Luigi IX. Egli cominciò la sua politica di separazione tra cristiani e giudei applicando nel regno la disposizione (già adottata dai popoli antichi e musulmani) del Concilio lateranense del 1215, che imponeva agli ebrei un pezzo di stoffa gialla sugli abiti come simbolo di diversità religiosa, e continuò confiscando loro i beni acquisiti con la pratica dell'usura (misure che culminarono nelle ordinanze del 1254 e 1257) (2).
Prima del 1271, però, cioè fino al momento in cui, con la morte di Alfonso di Poitiers, la futura Linguadoca non si unì definitivamente alla corona francese, le comunità ebraiche narbonesi cercarono di arginare le conseguenze delle disposizioni reali facendo pesare alle autorità cittadine l'utilità che per loro aveva la pratica del credito attuata dai giudei. Nella riunione pubblica che tali comunità, insieme a quelle di Capestaing, tennero in quest'ultima città nel 1246, era presente lo stesso visconte di Narbona, il quale, oltre a mostrare la sua opposizione alle pretese di Luigi IX, intendeva «probablement marquer sa sympathie envers les juifs du Languedoc dont l'activité économique était bénéfìque à tous» (ISRAËL, Provences, p. 165).
È in questo quadro che si colloca l'unica tenzone giuntaci in cui si palesa il confronto tra un poeta cristiano ed uno ebreo: intorno al 1259, mentre già il re Santo cominciava ad organizzare l'ultima crociata (1270) e, «repoussant toute idée de discussion avec les Juifs, consellait de les aborder, non avec des arguments, mais à la pointe de l'épée» (REGNÉ, Étude sur la condition des juifs, p. 78), nel clima particolare che contraddistingue Narbona è ancora possibile un dibattito, per quanto teso e sarcastico, tra due trovatori di diversa religione, salvo poi concludersi con una dichiarazione di rottura.
La tenzone è stata edita nel 1978 da Arié Serper: l'unica novità apportata dallo studioso al testo di Chabaneau risiede nella sua teoria - insieme interessante e ardita - riguardo alla disposizione e all'attribuzione delle coblas finali (per la quale cfr. nota ai vv. 33-44). Per il resto il saggio (che fornisce la traduzione, ma senza note critiche) riprende in buona parte quanto esposto da Regné nel suo già citato articolo del 1912.
 
1. Guiraut si rivolge a Bofilh in modo straordinariamente confidenziale: questa è infatti l'unica tenso, tra le venti giunteci del trovatore, in cui gli interlocutori si danno del 'tu' al posto dell'usuale 'voi'; il tuegar diviene addirittura oggetto di scambio nelle coblas IV e V, per cui cfr. nota al v. 30. VIGUIER ci offre una possibile spiegazione per il comportamento di Guiraut: egli si rivolge ad un trovatore ebreo, per il quale l'occitano è solo una lingua di comunicazione, non di espressione poetica, e che dunque nella sua produzione letteraria non usa il 'voi', dal momento che «les langues sémitiques ignorent le Vous de politesse: on tutoie Dieu et la femme aimée» (Un troubadour juif, p. 86). Quello di Guiraut sarebbe dunque un atteggiamento di riguardo - almeno iniziale - nei confronti del collega di diversa religione.
 
2. fas: Chabaneau si chiede, in nota (p. 119): «Corr, far
 
3. Già Chabaneau (ripreso da Nelli) integra chantas in base alla forma verbale che ricorre, nella cobla, anche ai vv. 5 e 7.
 
5. plag: secondo JEANROY (La tenson, p. 285, n. 1), in questo contesto plag (al pari di tensa, termine per il quale cfr. il partimen nº 15, nota al v. 2) assume l'accezione di tenson. Cfr. epistola I, vv. 129-132: «[...] ab sa valor vuelh mos ditz / daurar, [...] / non per plag de joglaria, / mas per tal que vertadier sia», che LINSKILL, motivando la propria scelta nella nota al verso (Les Épîtres, pp. 8-9), traduce «par un amusement de jongleur». Al v. 25, il sostantivo è nuovamente utilizzato da Guiraut nell'espressione plag d'amor, 'questione d'amore'.
 
5-6. ni per aver de lunh home que sia: in opposizione al plag de joglaria precedente, si coglie in questo verso un'allusione a possibili frequentazioni di ambienti bassi, per cui cfr., ad esempio. Declaratio, in cui, dopo aver condannato come una grave carenza linguistica che in Provenza tutti i poeti siano «joglar / apelat» (vv. 188-191), si stabilisce che coloro che «cantan entre gens / bassas per pauc d'aver / [...] non devon caber / el nom de joglaria» (vv. 210-213).
 
7. chantas: Serper chantes, senza indicare in apparato la forma effettivamente tràdita.
 
8. Chans è una forma del congiuntivo presente 2ª persona singolare, in cui si registra il fenomeno - non inusuale nel ms. R, per cui cfr. ZUFFEREY, Recherches, p. 115 - della riduzione in sede finale di -tz a -s.
 
10. ley que·m ten jauzen: cfr. il partimen nº 1, v. 53: «mi ten jauzen / la donzela».
 
15. benestans: Chabaneau e Nelli ben estans. Cfr. CROPP, Le vocabulaire courtois, p. 157, n. 39; per i composti di ben, cfr. il partimen nº 2, nota al v. 30.
 
20. A metà di questa cobla, tra es e degra, si è verificata forse una piccola lacuna, sottolineata nel manoscritto da un piccolo spazio bianco con un leggero segno nero: il verso risulta infatti ipometro di una sillaba. In corrispondenza di questo punto Chabaneau ipotizza la perdita di sedici versi: il copista sarebbe passato direttamente alla metà della V cobla, sempre di Guiraut, saltando per intero la quarta, e ciò per il riferimento al 'dare del tu' delle attuali coblas IV e V, che sottintenderebbe un rimprovero precedente. LEVY (SW, III, p. 517), però, fa notare che è lo stesso Guiraut a dare fin dall'inizio (ricambiato) del tu a Bofilh. L'ipotesi di Chabaneau, pienamente accolta da Nelli, che segnala addirittura a testo la lacuna lasciando sedici righe in bianco, appare troppo onerosa; la questione del rimprovero di tuegar al v. 30 -per la quale si rimanda alla nota al verso - non trova agganci testuali. Oltre a tutto ciò, dall'analisi del manoscritto R si rileva come non sia inusuale trovare spazi bianchi nel corpo dei testi, al posto di una o più sillabe, tra il f. 33r ed il f. 90v (cfr. TAVERA, La table, p. 29, che nel f. 90v individua la «coupure invisible»); il motivo non è chiaro: il copista potrebbe lasciare uno spazio bianco o, banalmente, per incomprensione del modello, oppure per evitare di scegliere tra lezioni concorrenti presenti nell'antigrafo. Successivamente, come sottolinea Tavera, molti di questi spazi sono stati riempiti con un tratto più chiaro ancora individuabile. Da segnalare, inoltre, la posizione di VIGUIER (Un troubadour juif, p. 83), secondo la quale la mutilazione del testo è una «opération effectuée avec trop de soin pour être due à la simple étourderie d'un copiste», e che sarebbe piuttosto dovuta all'autocensura di Guiraut. Per l'emendamento del testo REGNÉ (Étude sur la condition des juifs, nota a p. 76), su dichiarato suggerimento di Anglade, propone: «de cal leys es; [e] degra»: sebbene la necessaria prudenza suggerisca di non intervenire in un punto tanto delicato, è, in effetti, plausibile che il copista non abbia compreso l'esatta successione di de calleys es e, trattandosi di sillabe simili, e abbia per errore anticipato lo spazio normalmente lasciato per indicare una lacuna.
 
21. In questo ambito semantico già ANGLADE (Guiraut Riquier, p. 87), ripreso da SERPER (Guiraut Riquier, p. 428), aveva precisato che la parola «trachors appliqué à un Juif est un des qualificatifs que les troubadours leur donnent le plus frequemment», e, di conseguenza, «c'est a eux plutôt qu'aux hérétiques que se rapporte» il v. 24.
 
21-22. Si tratta di due versi ipometri, come precedentemente segnalato da Chabaneau che, per il v. 21, si chiede: «Corr: d’ome? que om?». REGNÉ (Étude sur la condition des juifs, nota a p. 76) emenda questi due versi «jes que om que trachors sia / cui escontra tengas [en] nostra via». Circa il sintagma tener via, cfr. SW, VIII, p. 745.
 
24. lo·n: malgrado la lezione manoscritta risulti chiara, con l'unica eccezione di Serper gli editori precedenti la emendano in lo.
Dalla consultazione degli strumenti lessicali, esglans (participio presente di un ipotetico infinito esglar) sembra essere hapax di Guiraut Riquier; esso deriva, probabilmente, dallo stesso composto EX + GLADIUM che ha dato vita al sostantivo esglai ('orrore', 'dolore', 'spavento'), ed al verbo esglaiar, 'spaventare', ma anche 'uccidere con un'arma' (SW, III, p. 229) - di cui si può ipotizzare che esglar sia la contrazione - utilizzato da Peire Torat nello scambio di coblas nº 5, vv. 5 e 18, e da Guiraut Riquier nella pastorella III, v. 31. Per il valore passivo che può essere assunto dal participio presente nell'antico provenzale, cfr. JENSEN, The Syntax, p. 250.
 
25-26. Come già osservato nella nota al v. 20 (ma cfr. anche nota al v. 1), il riferimento al 'darsi del tu' è uno degli elementi più insoliti della tenzone: a questo proposito, è da rilevare il repentino passaggio dal tu (le tre coblas precedenti) al voi (layssatz, v. 25), per poi tornare nuovamente al tu (laysa, v. 26). Si potrebbe postulare che la risposta immediata e stizzosa del v. 25, espressa al plurale (che potrebbe anche sottintendere: 'voi trovatori cristiani avversi a noi ebrei'), sia un immediato rimbalzo dell’avetz del verso precedente.
 
26. blanc vestimen: Bofilh si riferisce, probabilmente, alla tonaca (scapolare e cappuccio bianchi) dei Domenicani che, secondo quanto afferma REGNÉ (Étude sur la condition des juifs, p. 77), erano «contradicteurs habituels des rabbines et des philosophes juifs». Proprio la formazione dei nuovi Ordini mendicanti alle dirette dipendenze del pontefice aveva reso possibile l'istituzione ufficiale dell'Inquisizione nel 1231, e furono soprattutto i Frati Predicatori ad assumersi il compito di ricercare gli eretici. Essi, già operanti nell'Italia centro-settentrionale, dopo il massacro di Montségur del 1244 estesero il loro raggio di azione anche al Sud della Francia.
 
27. SW, III, p. 279, riporta come unico esempio questa tenzone per illustrare l'hapax esputamen, accennando all'ipotesi di Chabaneau, espressa in nota, di correggere con desputamen, da desputar, sostantivo che, però, ugualmente non compare nei lessici occitanici né sarebbe altrimenti documentato. Tutti gli editori lasciano a testo la lezione manoscritta eccetto REGNÉ che, su suggerimento di Anglade (Étude sur la condition des juifs, nota a p. 77), propone l'emendamento espurgamen, cioè 'purificazione'; una correzione accettabile, secondo Regné, dal momento che il bianco è «la couleur qui couvient pour une cérémonie de purification».
 
28. adhorar: l'uso del digramma -dh- alternativo a -dz- per la resa di -d- intervocalica in caso di prefisso verbale è illustrato da ZUFFEREY, Recherches, pp. 118-119, che sottolinea come si ritrovano «ces mêmes graphies dans des textes qui proviennent tous du Toulousain ou du pays de Foix». Il fenomeno di spirantizzazione dell'occlusiva si verifica quando AD (prefisso o preposizione) è considerato indissociabile dal termine che segue: in questo quadro di «traitement d'un segment non tonique à l'intérieur d'une unité phonique», la grafia -dh- «semble avoir la valeur de [d]» (p. 119). Per l'impiego del sostantivo crotz in ambito morale, cfr. THIOLIER-MÉJEAN, Les poésies satiriques, p. 190ss.
 
29. si en tu fos amor: «Tu si trova usato come obliquo, specie dopo le preposizioni» (CRESCINI, Manuale, p. 78). Ad esempio, cfr. in Guiraut Riquier la canzone mariana, Sancta verges, maires pura, v. 7 (PFAFF, Guiraut Riquier, p. 100): «venc en tu santz esperitz». Per quanto riguarda il soggetto amor, JENSEN (The Old Provençal Noun, p. 41) afferma che, per i nomi femminili della terza declinazione, «The sigmatic nominative represents the norm [...], but since the s is mostly obtained by analogy only, it is in no way to be considered an obligatory addition [...]; et enaisi duret l'amor».
 
30. Come già accennato (cfr. nota al v. 20), il tuegar cui ci si riferisce in questo verso farebbe pensare ad una lacuna avvenuta in precedenza. In relazione a quanto affermato da Guiraut ai vv. 18-22, però, ritengo possibile anche ipotizzare che Bofilh interpreti il provocatorio passaggio dal motivo del suo poetare alla disputa religiosa (con la richiesta circa la fede della sua dama, seguita dal perentorio invito a non 'tenersi sullo stesso cammino' in quanto 'traditore' ebreo) come riferimento - e di conseguenza, dato il tono della cobla di Guiraut, rimprovero - all'uso di 'darsi del tu' anche tra amanti (cfr. v. 31) proprio delle lingue semitiche, per cui cfr. nota al v. 1. Bofilh assumerebbe, cioè, come emblema della sua fede ebraica l'elemento espressivo più vistoso e differenziante rispetto all'interlocutore, quello stesso elemento che aveva costretto Guiraut - seguendo forse una norma dei dibattiti tra cristiani ed ebrei - ad allontanarsi dall'usuale 'voi' fin dal primo verso. In Gardacors de mal, Raimon de Cornet, tra i precetti destinati al figlio, scrive (vv. 22-24): «ni digas d'oc ni de no lajamen, / ni tuejar no vuelhas en descort, / ni vil mot dir, e lauza Dieu soen» (NOULET-CHABANEAU, Deux Manuscrits, p. 109).
 
31. Per la forma dittongata aymans, cfr. il partimen nº 1, nota al v. 18.
 
33-44. La cobla costituita dai vv. 33-40 si trova, nel manoscritto, dopo la prima tornada. Chabaneau, oltre a ristabilirne la giusta posizione, suggerisce che sia caduta una successiva, ipotetica sesta strofa di Bofilh (dal momento che Guiraut, avendo iniziato la tenzone, non dovrebbe avere l'ultima parola), e che le tornadas siano da invertirsi, benché le editi anch'egli nell'ordine del manoscritto.
Diversa la conclusione cui giunge Serper, il quale, accettando la disposizione dei versi come compare nel manoscritto, ritiene che dopo la cobla IV di Bofilh segua la replica del contendente, costituita (nel testo qui proposto) dai vv. 41-44 e 33-36 (senza, però, che nel suo saggio si trovi accenno all'inversione nell'ordine delle rime che si viene, così, a verificare); per lo studioso, inoltre, entrambe le tornadas che concludono il componimento (formate, rispettivamente, dai vv. 37-40 e 45-48 della presente edizione) sono di Guiraut. Nella versione di Serper, il testo si presenta nel modo seguente (per maggior chiarezza, aggiungo l'indicazione del numero di cobla e di versi, ricordando che tutte e tre le strofe sarebbero composte dal trovatore cristiano):
 
V
 
La tenso lais, c'ueymay no·t respondria,
 
 
Car razot falh e dizes vilania;
 
35
E passi m'en per mon senhor Bertran
 
 
Sel d'Opian, qu'es d'amor benenans.
 
 
Bofilh, anc no poc pus ferm amar
 
 
Ni en sermo non ac mens son enten
 
 
Que ieu, per tal que en lays domney plazen.
 
40
May repenret deguy del tuejar.
 
 
 
VI
 
E tu com fol despendes ta folia,
 
 
Que vestimen velas dir no·t tanhia,
 
 
Ni·l jutjamens, pero, tan per prezans
 
 
Sel d'Opian [...]
 
 
 
VII
45
Ta resposta no vuelh ni ta paria
 
 
D'est or'enan, car ma valor s'en bria
 
 
E mon sabers n'es mermatz qu'era grans,
 
 
Car ab ton pus m'en es cazutz us pans.
 
A sostegno della sua interpretazione, SERPER afferma che ci troviamo di fronte ad una tenzone particolare, «éloignés des règles et des usages de la tenson», un «procédé tout à fait spécial» che forse trova giustificazione nella dichiarazione finale di rottura da parte di Guiraut Riquier, e quindi nel «changement d'attitude à l'égard des juifs à Narbonne» (Guiraut Riquier, p. 429).
MENEGHETTI (Il pubblico, p. 120 e nota), pur condividendo il giudizio circa «la foga di Guiraut nel lanciare nuove accuse, foga che lo porta addirittura a infrangere le leggi formali del genere dialogico, 'annettendosi' entrambe le tornadas», ritiene che non sia «affatto da escludere che 'fronte' e 'sirma' della V cobla vi siano state copiate, per un banale errore, in ordine invertito», tanto più che le due parti della cobla (nel testo qui edito composta dai vv. 33-36 e 41-44, rispettivamente fronte della cobla V e prima tornada) costituiscono «due organismi perfettamente autosufficienti dal punto di vista del contenuto».
Malgrado l'autorevolezza di queste affermazioni circa la costituzione della V cobla, mi sembra più economico pensare, con Chabaneau, ad una inversione cobla-tornada, che nel manoscritto si presentano nel modo seguente:
 
œ
La te(n)so lais cuey m(a)y
 
not respondria, car razot falh e dizes uilania. e passime(n) p(er)
 
mo senhe(n) B(er)tra(n). sel dopia(n). q(ue)s damor benenans. œ Bo
 
filh anc
 
hom no poc pus ferm amar. ni e(n) sermo no(n) ac mens so(n) e(n)ten
 
que yeu p(er) tal que en lays donmey plazen. may repenret de
 
guy del tueiar. e tu com fol despendes ta folia. q(ue) uestime(n) ue
 
las dir not tanhia. nil iutiamens p(er)o ta(n) p(er)preza(n)s sel dopian.
 
 
œ
Ta resposta no uuelh ni ta paria. destorenan car ma ualor
 
senbria. e mos sabers nes m(er)matz q(ue)ra grans. car ab to(n) pus  
 
me(n) es cazutz us pans. 
 
Nella versione fornita da Serper, alla questione dell'ordine rimico (e Guiraut, è bene sottolinearlo, si mostra molto attento agli aspetti metrici in tutta la sua produzione lirica), si aggiunge il doppio errore del copista nell'indicazione del capostrofa, il cui simbolo sarebbe indicato prima di Bofilh e tolto prima di e tu com fol.
Resta la spinosa questione della paternità della prima tornada, strettamente legata alla distribuzione del testo tra essa e la cobla precedente: secondo l'interpretazione di Serper, infatti, accettata da Meneghetti, tale tornada deve essere necessariamente ascritta a Guiraut Riquier, dato il riferimento al vestimen, mentre nell'ipotesi testuale qui proposta il v. 45 della seconda tornada («Ta resposta no vuelh») ha senso, in relazione al v. 41 («c'uemay not respondria»), se le due tornadas hanno diversa attribuzione, cioè soltanto se la prima di esse è di Bofilh.
Riguardo poi alla possibilità precedentemente accennata che esse siano state invertite, non sembra del tutto improbabile che, dato il tono vivace ed il sarcasmo crescente della discussione, Bofilh, particolarmente sensibile agli argomenti trattati per motivi storicamente contingenti, abbia preferito troncare la tenzone proferendo subito una tornada alquanto aggressiva. Inoltre, se si accetta la validità del mutilo v. 40 (per cui cfr. nota relativa), lo stesso Guiraut Riquier compirebbe una doppia anomalia: la proposta di un giudice (normalmente riservata al partimen, per le cui regole cfr. NEUMEISTER, Das Spiel, pp. 123-132), per giunta anticipata alla fine della V cobla, e ciò contro la norma usuale (mai trasgredita nella produzione dialogata di Guiraut) che il nome dell'arbiter compaia solo nella prima tornada. Forse proprio nel comportamento del trovatore cristiano è da ricercare il motivo dell’irregolarità nel numero delle coblas, già segnalato nella nota metrica.
 
35. domney: cfr. la tenzone nº 14, nota al v. 3.
 
36. La forma deguy < DEBUI è etimologica per la 1ª pers. sing. del perfetto. Per altri casi di sviluppo di -g- da -UI, -UISTI in una serie di perfetti latini, cfr. CRESCINI, Manuale, p. 50.
 
38. Con il v. 38, ci troviamo di fronte ad un altro punto dubbio di questa difficile tenzone, che riguarda anche i due versi seguenti. Per l'emendamento velas con vilas, riprendo il suggerimento di Anglade riportato da REGNÉ (Étude sur la condition des juifs, nota a p. 78); cfr. anche il v. 42, «dizes vilania». Chabaneau, in nota, propone di emendare velas dir (lezione del manoscritto da lui posta a testo) con blanc dire. ANGLADE (Guiraut Riquier, p. 87) traduce la risposta di Guiraut, «vestimen vilas dir not tanhia»: «Il ne vous convient pas de parler de vêtement spécial», alludendo al vestimen del v. 26. REGNÉ (Étude sur la condition des juifs, p. 77), ripreso da SERPER (Guiraut Riquier, p. 427), VIGUIER (Un troubadour juif, pp. 88-89) e ISRAËL (Provences, p. 163), parla di «vêtement grossier» con riferimento al marchio distintivo (un pezzo circolare di stoffa gialla) «qui probablement devait orner le costume du poète Bofilh» in quanto ebreo. Interpretando, però, vilas come aggettivo, è necessario emendare anche la desinenza, vilan, per coordinarlo al sostantivo vestimen (benché, come già più volte ricordato, il manoscritto presenti molte irregolarità rispetto alle norme della declinazione bicasuale).
 
39-40. Il v. 40, incompleto, potrebbe essere la copia errata dell'inizio del v. 44 (già riprodotto nel manoscritto per l'inversione cobla-tornada), poi interrotta e non corretta, come ipotizza Chabaneau ripreso da Nelli. Ritengo però che, per quanto esposto in chiusura della nota ai vv. 33-44, si possa mantenere alla fine di questa cobla il riferimento al signore di Opian: se, infatti, è anomala la proposta di un giudice in una cobla - benché in essa trovi giustificazione contestuale il termine jutjamens del verso precedente -, essa risulta comunque formulata, come di norma, dal proponitore della tenzone. Riguardo alla comprensibilità del v. 39, Chabaneau propone in nota di emendare tan con ten (forma del verbo tener): l'ipotesi è senz'altro plausibile, date le molte attestazioni di tener per + aggettivo (per cui cfr. JENSEN, The Syntax, pp. 16 e 338), ma, come tutti i precedenti editori, non mi sembra prudente intervenire a testo su una frase che resta, in ogni caso, lacunosa. Per il participio presente prezan, che comunemente assume il valore di aggettivo verbale passivo, cfr. JENSEN, The Syntax, p. 250, e il partimen Guiraut Riquier, segon vostr'essïen (nº 1 dell'ed. GUIDA), v. 16: «e sel c'als sieus fay be a pretz prezan». Esso, in riferimento a Bertran d'Opian (benché direttamente alla persona), è utilizzato da Guiraut nella contemporanea canzone V, Amors, pus a vos falh poders, vv. 41-42: «Lauzar dey sobre.ls Bertrans / selh d'Opian, qu'es prezans».
 
43. passi: cfr. il partimen nº 1, nota al v. 3.
Bertran[s]: con Chabaneau ripristino la -[s] per motivi rimici. Il mosenh'en proferito da Bofilh avvalora l'ipotesi che la tenzone sia stata disputata presso la casa del signore di Opian, probabile ospite di entrambi i trovatori.
mosenh'en: Chabaneau e Nelli: mo senhor, a fronte della lezione manoscritta mo senhen. Ritengo, però, con CRESCINI (Manuale, pp. 132-133) che la particella onorevole fosse piuttosto proclitica che enclitica. Inoltre, le Leys d'Amors «attribuiscono solo a ne l'enclisi» (ibid.): estesosi l'uso di en anche dove la parola precedente terminava con consonante, ne rimase «confinato al solo caso della seguente iniziale vocalica od aspirata, dove cioè lo voleva ragione di eufonia» (ibid.). Cfr. Leys d'Amors, ed. ANGLADE, vol. III, pp. 84-85 (vol. II, parte III, pp. 166-167 dell'ed. GATIEN-ARNOULT): «Alqunas vetz entre·l propri nom seguen e comensan per consonan sona per autra maniera aquesta habitutz en, coma mosenh'En Bertran. Et adonx h sona segon dever. E si·l propris noms seguens aprop en comensa per vocal, adonx en vira so denan de tras e ditz hom Ne, coma: Mosenher N'Esteve. De senher osta hom soen r, can le propris noms seguens comensa per vocal, e met hom n denan, coma: Mosenhe N'Arnaut, Mosenhe N'Estacha. Senhors o senhor pot hom dir, coma: mos senhors es; mosenhor manda
 
48. Dopo ton è sottinteso saber; ab ton, senza articolo, è usato in modo assoluto. Chabaneau, in nota, propone di emendare pus con pretz, evidentemente interpretando ton come aggettivo e non come pronome. Il verso è, comunque, di difficile interpretazione. Per un uso di pan analogo a quello della tenzone qui analizzata, cfr. Bertran de Born, Ges de far sirventes nom tartz (BdT 80.20, ed. STIMMING, pp. 161-164), vv. 16-17: «Quant fis es devas totas partz, / a mi resta de gerra uns pans».
 
 
Note
 
(1) Lo loda nelle canzoni prima, Tant m'es plazens le mals d'amor, del 1254 (vv. 51-52), e quinta, Amors, pus a vos falh poders, del 1257 (vv. 41-44); è poi ricordato nella prima epistola, Qui a sen et entendemen, del 1259 (v. 119), nella prima pastorella, L'autre jorn m'anava, del 1260 (vv. 86-87), e nel discordo, Pos aman, del 1261 (v. 50). ()
 
(2) Queste ed altre notizie storiche sulle disposizioni antiebraiche in ISRAËL, Provences, p. 164. ()

 

 

 

 

 

 

 

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