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Squillacioti, Paolo. Le poesie di Folchetto di Marsiglia. Pisa: Pacini, 1999.

Nuova edizione riveduta e aggiornata per il "Corpus des Troubadours", 2009.

155,011- Folquet de Marselha

Datazione: parte I, § 1.3.1.9; rapporti intertestuali: parte I, § 3.2.1.2.1 (vv. 41-45 MoMont).

2. mos cors: per il nom. sigmatico si veda il Commento a FqMars 155,18 (III), 23; la forma ‘regolare’, a testo nell’edizione Stroński, è nei soli OQTc. Stessa situazione per leus cors a v. 37: leus cor, tràdito da DcEMRTVOls, è adottato da Stroński. Cfr. infra n. 20.
 
3. m’en lauzera: per il significato «sich rühmen» si veda SW, IV, p. 342 (s.v. lauzar, n° 7) e si confronti PAuv 323,11 (VIII), 79-81: «Peire d’Alvernhe a tal votz / que non canta sus ni desotz, / e lauza·s mout a tota gen» e Sord 437,28 (XXIII), 19-21: «Ja no·m tenga negus per sobrancier / de so q’ai dich, si ben fauc gab sobrier; / qu’eu no·l menatz mas segon que m’en lau».
 
5. cum se sol: non «comme il arrive» (Stroński), ma ‘come era solita’, ‘come è sempre stata solita’: il rilievo è di Lewent 1912, col. 333; cfr. il Commento a FqMars 155,10 (XII), 15.
 
5-6. Cfr. BnVent 70,44 (XLIV), 37-40: «Eu n’ai la bon’ esperansa / mas petit m’aonda, / c’atressi·m ten en balansa / com la naus en l’onda» e PVid 364,46 (VIII), 53: «Et ieu estau en atrestal balansa» (: 54 «esperansa») e 81-82: «Si tals peccatz no fos dezesperansa, / dezesperatz me for’ieu ses duptansa».
 
10. Un motivo analogo in RmMir 406,20 (XXXII), 37-40: «E de jelosi’ ai apres / so don mi eis tenc en defes / ad ops d’una, c’autra non deing, / neis de cortejar m’en esteing».
qu’ie·m: a testo la lezione di AB (ma anche di D, dato che quem si può sciogliere in qu’e·m), che appare semplificata in quen in IKNQ ( Q): per il significato di ‘diventare’ così assunto dal riflessivo se tornar cfr. SW, VIII, p. 303 (s.v. tornar, n° 15): «werden».
 
12. mas: Stroński traduce «puisque», poi avverte nel Glossaire, p. 255, s.v. mas che questa e altre occorrenze (FqMars 155,14 [IV], 36; 155,8 [XI], 36; 155,6 [XVII], 45) possono essere «soit conj. advers. soit conj. causat.»: si pronuncia risolutamente per la prima possibilità Schultz-Gora 1921, p. 144, a patto di mettere un virgola dopo e al v. 13 (lo seguo in entrambe le indicazioni).
 
14. desamar: altre occorrenze trobadoriche in Cropp 1975, p. 405.
 
17. ochaisos: l’interpretazione di Stroński, «faux semblant (?)» con eloquente punto interrogativo, è sbagliata, così come è forviante l’accostamento proposto nel Glossaire, p. 257, s.v. o(c)c(h)aiso con l’occorrenza in FqMars 155,18 (III), 56 (che vale piuttosto ‘accusa’: cfr. la relativa nota del Commento). Uniti nel criticare l’editore, i recensori si dividono sulla proposta alternativa: da una parte Salverda de Grave 1911, p. 503 («sans doute [...] “ruse”») e Jeanroy 1913, p. 262 («faux-fuyant, détour, ruse»), dall’altra Lewent 1912, col. 333 (che, richiamando l’occorrenza in FqMars 155,15 (XVIII), 8, propone dubitativamente «Vorwand») e Schultz-Gora 1921, p. 144 (che segue quest’ultimo senza citarlo). Le traduzioni mi sembrano entrambe plausibili, ma la presenza di «gignos» al verso successivo rende preferibile la scelta dei primi, quindi ‘sotterfugio’: concordo in sostanza con l’analisi di Bertoni 1917, p. 15 dei vv. 17-18 (criticata peraltro da Schultz-Gora): «Il poeta, che afferma di avere esperimentati tutti i mezzi con amore, esce alfine nei due versi sopra riportati, che io tradurrei così: “Donna, ben vedo che l’escogitare dei mezzucci non mi val nulla, perchè amore non sopporta che io sia sottilizzatore”. In altre parole, ocaizon ha qui un senso che dipende da quello che il lat. occasio mostra di avere in documenti medievali e cioè: “cavillo, sottigliezza, sofisticheria”, ecc.».
 
20. mos cors: qui è plausibile cors < corpus, quindi ‘la mia persona’, ‘io stesso’, accanto al nom. sigmatico di origine analogica o latino-volgare: sebbene sia attestata la forma ‘regolare’ mos cor in O (e cfr. mon cor ETV), in questo caso Stroński mantiene la forma sigmatica, traducendo «mon coeur».
 
22. d’autr’ amor: non ha riscontro nella tradizione manoscritta l’emendamento d’aut’ amor proposto da Lewent 1912, col. 333.
benananssa: già in FqMars 155,18 (III), 7, il termine è schedato da Cropp 1975, pp. 317-19.
 
27. apoderera: insoddisfatto della traduzione di Stroński («je crains, toutefois, que la peur ne l’emporte»), Jeanroy 1913, p. 262 commenta: «on ne s’explique pas apoderera, qui serait un conditionnel; lire apoder era». In effetti i verbi timendi reggono di norma il congiuntivo e non infrequentemente l’indicativo (cfr. Jensen 1994, § 588 e 1986, § 842), ma uno scambio in rima fra congiuntivo e condizionale, posto che questo modo verbale «sert à rendre différentes notions modales comme l’incertitude, la possibilité ou la délibération» (Jensen 1994, § 561 e cfr. 1986, §§ 813 e 819), non è inverosimile: qualcosa di analogo succede nell’Erec, vv. 229-30: «et crient qu’asez tost l’occirroit / se devant lui son nain feroit», sebbene qui prevalga il costrutto ipotetico (utilizzo le Œuvres complètes di Chrétien già citate nel Commento a FqMars 155,18 [III], 38-40). In prov. si veda l’alba di Caden 106,14 (XIII), 13-14: «Per que·m don garda del dia / si venria», dove il condizionale è usato in una subordinata ipotetica introdotta da si; la costruzione è però criticata da U. Mölk nella rec. a Zemp 1978, in CCM, XXIII (1980), p. 414.
 
28. a sazos: il senso di ‘parfois’ è esemplificato nel Glossaire di Stroński, a p. 264, s.v. sazo.
 
28-32. L’interpretazione di Stroński («Mais, parfois, j’ai d’Amour une consolation: il m’a, en effet, montré son charme [ou bien: le charme d’elle?] avec une telle force que, depuis, il ne m’a plus pu donner de malheur; et c’est dur pour qui peut subir à la fois le chagrin et le charme de la part de celui qui veut le détruire»: p. 130) è errata per Lewent 1912, col. 333-34 in quanto «weder coindansa (v. 29) noch poder (v. 32) “charme” bedeuten und fai esfortz (v. 31) nicht = il est dur ist»: il recensore propone a sua volta: «aber einen Trost habe ich bisweilen bezüglich der Liebe: denn mit solcher Macht zeigt sie mir ihr Gebahren, dass sie mir niemals grösseres Ungemach bereiten kann (l. pot st. poc v. 30?) und derjenige leistet etwas Ausserordentliches, welcher Kummer und Gewalt von dem hinnimmt, der ihn vernichten will». Per il solo v. 31 segnalo anche la traduzione di Salverda de Grave 1911, p. 503: «et c’est un tour de force de souffrir en même temps...».
 
33-34. Il concetto è sinteticamente espresso in una massima di Publilio Siro: «Iniuriarum remedium est oblivio».
 
37. benananssa: come anticipato nella Nota al testo, il rimante, che ha valore concettuale, è in rima identica-equivoca con 22 benananssa, semplice sostantivo (cfr. Antonelli 1979, pp. 130-33); in quella sede si detto anche di malanansa, innovazione dei mss. EMRls messa a testo da Stroński (non senza incertezze) e già rimante di v. 30 in CEMRT IKNP (dove gli altri testimoni, ABGDQDc Uc Ols, leggono malastanssa; cfr. mal stansa f): sul termine si veda Cropp 1975, p. 284, n. 33 che osserva come – almeno nel campione analizzato – esso sia «d’un emploi restreint».
 
38. doptanssa: cfr. Cropp 1975, pp. 201-201, e in partic. p. 201, n. 75.
 
39. Altro concetto presente nella tradizione gnomica: cfr. Publilio Siro: «Ex vitio sapiens alieno emendat suum».
 
41-45. Su questa e altre tornadas ‘lunghe’ trobadoriche si vedano le considerazioni di Asperti 1990, pp. 87-88.
 
41. Na Ponssa: cfr. parte I, § 3.2.1.1.
 
42. alegranssa: su questa «qualité indispensable» e le altre forme riconducibili al lat. ALACRITATE(M) si veda l’esemplificazione di Cropp 1975, pp. 322-24.
 
46. Palais: è il trovatore-giullare schedato nella BdT con il n° 315: cfr. parte I, § 3.2.1.2.2.

49. fatz enfadezir: ha ragione Stroński (cfr. p. 52*) a ritenere fatz ‘sot, imbécile’ la lezione buona banalizzata in fait(z), fach(s) in gran parte della tradizione; l’editore riporta alla luce un’allusione al MoMont (su cui cfr. parte I, § 3.2.1.2.1) passata sino a quel momento inosservata proprio per l’adozione nel verso di faitz: Raynouard aveva infatti tradotto nel LR, III, p. 284: «nul fait ne m’en peut rendre fou»; cfr. anche SW, II, p. 484, s.v. enfadezir. Stroński recupera (nel Glossaire, p. 248, s.v. enfadezir: «rendre qu. dégoûté d’une ch., faire perdre à ch. le goût d’u. ch.») la spiegazione di Levy di enfadezir «anwiedern, verleiden, die Lust benehmen» (con un rimando alla voce enfadi, enfadesi del TdF, I, p. 906: «affadir, dégoûter»; si veda anche il lemma fat, ii nel DEC, III, pp. 910-11); tuttavia l’editore traduce «et aucun sot ne m’en peut décourager» (p. 130; corsivo mio). Cfr. Marcabr 293,16 (XVI; Roncaglia 1951b), 28-30: «qu’en dobl’es fatz / e dessenatz / qui·s laiss’a fol enfolletir».

 

 

 

 

 

 

 

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