NOTE
Exposition
Rubr. expositon: in ms. e PFAFF. L'integrazione viene attuata anche per la medesima ricorrenza del vocabolo nella rubrica introduttiva del Testimoni (cf. ib., v. 4 espozisïo, v. 12 espozitïos): per tutto quanto concerne queste zone pretestuali rimandiamo a BERTOLUCCI, Il «Libro», p. 238, nn. 85 e 86, ricordando soltanto che l'uso morfologico dell'Obl. al posto del Nom. è consueto in dipendenza dall'impersonale so es (JENSEN, p. 103). V. infine, per il valore semantico e culturale del termine, quanto osservato in Introduz., n. 2.
1. aprimatz «raffiné, fin, instruit» ( = LEVY, PD, s.v. aprimar): come esplicitato qui di seguito (vv. 2-4), il verbo «appartiene al vocabolario della sottigliezza» (GUIDA, Jocs, p. 222, n. a VI 30, con rimando a vari luoghi trobadorici fra cui il nostro, e a MÖLK, cansos, XI 41 e p. 65); per i proseguimenti moderni, cf. FEW IX, p. 385 e MISTRAL, I, p. 117 s.v. aprima. Dal punto di vista stilistico, si tratta di un tipo di incipit abbastanza consueto: cf. ad es. l'attacco del sirventes concludente il Doctrinal di RCornet (Deux mss., p. 212), «Dels soptils trobadors».
2. In quanto Nom.Sg. asigmatico, bel saber si allinea agli altri numerosi (all'interno della stessa Exp.: vv. 13-14, 29, 95 e passim) infiniti verbali per i quali è proclamata già in epoca antica l'indifferenza tra assunzione o meno del marchio desinenziale (Leys, ed. ANGLADE, III, pp. 87-89, e RCornet, Doctrinal, vv. 71-72: «Nominatiu verbal/Ffan ses s lor final»; altre informazioni in CRESCINI, p. 66 n. 2 e JENSEN, p. 49).
5. Congiuntivo con valore ottativo (S.-G., § 189, PELLEGRINI, p. 299, ecc.), e pure ricorrente omissione di que (così al seguente v. 749 «e puesca m'en repenre»: sull'usualità dell'ellissi v. la nota di GUIDA in Gavaudan, p. 151).
6. L'accezione più probabile per se mover, nel presente contesto esordiale, è quella di «anfangen, beginnen» (LEVY, SW V, p. 338 n. 2 con altre pertinenti citazioni; v. anche F. GODEFROY, Dict. de l’anc. langue française [...], Paris, 1888, V, p. 435 s.v. mover «fig. commencer à écrire»). Cf. poi più avanti al v. 107 (se mover 'volgere la propria attenzione', 'interessarsi di', ecc., applicabile del resto anche al primo passo in questione).
8. Per quanto la perifrasi, astrattamente assunta, possa ben attagliarsi all'altrove invocato ispiratore divino (vv. 122-123), la concreta specificità dei rimandi spazio-temporali addensati in questa porzione intitolativa del testo fa parere più probabile che in essa vada identificato l'immediato committente dell’Exp. medesima, e cioè Enrico II di Rodez (poi apertamente nominato a partire dal v. 30; già allusivo il richiamo vassallatico dei vv. 16-17). Creisser «erwacksen, widerfahren» (LEVY, SW I, p. 407 n. 2), «zunehmen», «entstehen» (APPEL, Gloss.), insomma 'nascere, prendere origine' e quindi anche 'esistere' (v. la nota di OROZ, p. 142 a proposito di FLunel, Si quon la fuelh'el ramelh, vv. 43-44), se non, in direzione iperlaudativa, 'elevarsi, nobilitarsi' (come proposto per PRTolosa, XII 25: n. a p. 84 e Gloss.).
10. Analoghi esempi di iato (anche direttamente riquieriani: cf. LONGOBARDI, vers, VIII 26 «qu'el nos esta apparellatz») in PLEINES, p. 38: nonostante che tali risulti la prassi corrente, le Leys ponevano come condizione perentoria la coincidenza con una forte pausa sintattica (ed. ANGLADE, II, p. 37). Per apoderar «rendere forte», quindi «autorizzare» (che qui risulta l'accezione più adeguata) cf. vers, XVI 19 («que razos l'apoder»).
11-13. Vengono qui a giustapporsi due costrutti di normale impiego, e cioè falhir a seguito da infinito verbale («perdre, laisser échapper l'occasion»: RAYNOUARD, Lexique, III p. 253) e falhir en re(s) (ib., p. 252 e LEVY, SW III, p. 401 che cita fra l'altro PFAFF, LXXI 61: «en c'om non pot falhir»; v. inoltre RBerbezilh, II 57 e AMareuil, Ensenhamen, v. 54 «Si eu y falh en re»). Altri esempi di res indeclinato qui avanti (vv. 79 e 702, ecc.): in questa funzione avverbiale «as a simple auxiliary or reinforcement of the negation», «the s of res could be an instance of the adverbial s, or it could stem from an analogy with its synonym ges» (F. JENSEN, Provençal Philology and the Poetry of Guillaume of Poitiers, Odense, 1983, p. 46). Per il v. 12 cf. vers XXII, 16: «a mo voler complir».
15. Circa la ricorrenza pleonastica del derivato di ĬNDE (come qui in presenza di don, o altrimenti) cf. MÖLK, cansos, XXI 13 e nota a p. 98. PFAFF fa punto a fine verso.
16. «Hom fay en general/senes -s la final» (RCornet, Doctrinal, vv. 77-78, su cui JCastellnou, Glossari, p. 220 n. 78: «En general ez en especial pot hom dire hom e homs» dove è già indicativa della tendenza segnalata ad es. da JENSEN, p. 74 nonché CRESCINI, p. 135, la scrizione asigmatica del primo hom soggetto impersonale).
17. Ses tot si «incondicionalmente» (OROZ, p. 150, n. 32 con citazione del nostro passo e di FLunel, Tant fin'amors totas horas m'afila, v. 32).
18. PFAFF non. Al que introduttivo di verso sarà da assegnare valore concessivo, «benché» (LEVY, SW VI, p. 610, n. 4 «wenn auch», con ess. di costrutti al modo congiuntivo per cui v. anche ERNST, p. 350, n. 3), qui seguito dal condizionale come attestato sia pure più raramente per l'a. prov. (cf. ad es. GStDidier, II 11-13, e nota a p. 61). Per eser de 'risultare proprio, conveniente', 'addirsi' ecc. cf. PFAFF, LXXVII 161-2 («E no fora de mi,/c'a vos parles de cen») e anche qui avanti ai vv. 637 e 934-5.
19. razo varrà qui 'argomento', 'materia', secondo l'uso medievale romanzo in genere (v. ad es. «Enc. Dant.», IV p. 833: da «discorso, conversazione» a «spiegazione» e «argomento», «dimostrazione», ecc.; cf. anche LEVY, PD s.v. razon: tra il resto «matière, sujet»).
Per analoga assunzione del termine in senso fortemente selettivo e nobilitante (argomento alto e «sottile», quindi) cf. il congedo di Donna me prega, vv. 74-5 (CORTI, Felicità, pp. 36-37: qui razo varrebbe addirittura «argomentazione filosofica», condotta con tecnica trattatistica). Lo stesso collegamento instaurato ib. fra «ragione» e «persone - c'hanno intendimento» si presenterà in chiusa dell'Exp., vv. 936 ss. (cf. nostra nota n. 940-941).
20-25. In PFAFF errata scrizione della prima cifra romana relativa all'anno (L per M), svista segnalata da ANGLADE, GR, p. 171, n. 2. Quanto ad .LXXX., sarà da leggere 'oiganta' posta la rima con canta: quest'ultima forma, meno diffusa dei vari comta, conta che costellano il «libro» in zona dataria (cf. l'edizione delle rubriche in BERTOLUCCI, Il «Libro», passim), ma ricorrente ad es. in chiusa di FLunel, Romans, v. 539 e RCornet, Doctrinal, v. 543, è spiegabile forse come reazione al tendenziale passaggio di a>o soprattutto davanti a nasale (cf. RONJAT, I, pp. 191-3 e ADaniel II, pp. 699-700). Non del tutto chiara la perifrasi dei vv. 24-25 alludente al 'primo giorno databile in relazione al I° Febbraio', vale a dire al 14 gennaio (cf. BERTOLUCCI, Il «Libro», p. 238 n. 85), che nel 1280, pare, cadeva di domenica (A. CAPPELLI, Cronologia, cronografia e calendario perpetuo dal principio dell'era cristiana ai nostri giorni, Milano, 19693, p. 96).
29-30. Dopo la datatio, l’intitulatio (PRATESI, p. 70; BERTOLUCCI, Declaratio, p. 114 n. 31). Creissen d'onor è sintagma tipico della laudatorietà di questa zona: per agganci similari cf. LONGOBARDI, vers, X 30 («creyssen de terr'ab lauzor»), MÖLK, cansos, X 32 (contesto devoto: «Verges creyssens de rictat»), PFAFF, LXIX 10 e passim; inoltre FLunel, II 32 («creyssen de pretz e d'onor tota via»), Cadenet, XV 13 («creissens de valor»), ecc. Circa il semantismo del sostantivo onor, si rimanda agli scandagli effettuati in area didattico-morale da THIOLIER-MÉJEAN, pp. 89-90.
31. gracïa va considerato trisillabo (qui come ai vv. 652 e 681) per evitare l'ipometria: il non univoco comportamento del diptonge contrafag -ia meriterebbe una messa a punto comprensiva dell'ambito lirico (dove, a regola, -ia è monosillabico: CRESCINI p. 135, e cf. Leys, II pp. 47-49 e G.-A., I, p. 48: «Encaras devetz saber quom deu dir gracias e gracia per doas sillabas on que sian [...]») e non lirico (numerosi gli esempi schedati in PLEINES, pp. 29-30, dove -ia risulta «zweisilbig», in particolare riferimento a GRiquier di cui si veda anche vers XXVI, 48; per altri punti di riscontro in R, cf. N'At de Mons, p. XXI).
34. grat retener «être approuvé, plaire» (Breviari, Gloss.), «cattivarsi la gratitudine» (Sordello, p. 41, n. 15), dove parimenti ricorrono costrutti con de preposizionale.
36-37. Circa l'elisione del dativo atono li, è ormai appurato che la sua estraneità al canone teorizzato dalle Leys d'Amors (ed. ANGLADE, III, p. 69) non ne preclude la normale ricorrenza pratica, almeno a quest'altezza cronologica: cf. la situazione circoscritta da PLEINES, pp. 62 e 71 (e come esempi direttamente riquieriani, aggiungere almeno PFAFF LXXII 166 «Pus prometre l'es bos» e Suppl., v. 238 «per lo loc que l'es datz»; inoltre il similare N'At, II 299 «Tot so que l'es plazen»), nonché le più estese indicazioni di F. BRANCIFORTI, Note al testo di Guilhem de Montanhagol, cit, a p. 344. Per lo iato que/auzis di v. 37, cf. pure PLEINES, p. 57 (rilevamento della notevole frequenza di incontri vocalici di questo tipo nell'opera di Riquier; ai quali si può accostare il que ayso di Test., v. 21).
38-39. L'antitesi clar/clus (su cui v. in generale Introduz., nn. 17, 18) viene qui evidenziata tramite ulteriori echi del polo «positivo» (vv. 39 e 40 clar, declarar, sempre in rima), in immediata connessione all'entendemen o senso riposto della canzone. Quanto al preciso statuto morfologico della coppia antinomica, il più probabile appare quello avverbiale (lett. 'chiaramente e chiusamente': trovatori, cioè, che sappiano dosare opportunamente claritas ed obscuritas, ornatus facilis e difficilis, secondo le raccomandazioni delle poetriae ricordate ad es. da BAGNI, p. 85, FARAL, 89 ss., ZUMTHOR, 104). Lo stesso richiamo a tale accorta mescolanza dei registri retorici appare desumibile dal susseguente v. 734 («aisi a per vertat/ditz clars e pro d'escurs», pure in stretto riferimento al dettato calansoniano). L'accezione di entendemen (v. 39) è quindi: «significato, interpretazione» (cf. Intr. al l. cit.); per le altre attestate all'interno dell’Exp., cf. vv. 267, 616 e passim ('intelligenza', 'mente'), 118, 185 e passim ('parere, giudizio': v. le varie locuzioni al mieu e.): in generale, THIOLIER-MÉJEAN, pp. 99 ss. e CROPP, pp. 217-220.
40. L'integrazione di ·s («si[·s] pogues») può completare adeguatamente il senso, anche tenendo conto di rintracciabili isomorfie testuali all'interno dell'Exp. (ad es. v. 167, «si·s volgues»): la proposta risale al LEVY, SW IV, p. 445 n. 4.
46-47. Per senher d'onor/e de mi, accostamento singolare ma non unico, v. ad es. BERTOLUCCI, Suppl., vv. 100-101 e n. a p. 85 (rimandi ad altri luoghi riquieriani con intitulationes che giustappongono analogamente possessi materiali e doni spirituali: su questa linea anche il contesto di vers, X 30 già cit. in n. 29-30). Senza equivalenti comunque, per quanto ci consta, la qui presente permuta del bene materiale (terre, feudi) con la diretta persona (il cors, si direbbe) del poeta-vassallo. Per la perifrasi verbale del v. 47 cf. LEVY, SW I, p. 358 n. 5: aver cor a «Lust haben zu», con rimando a PRTolosa, IV 47 «Be·m n'agr'a cor a partir» (trad. 'avere in animo' a p. 26).
48. PFAFF elegie, senza possibilità di riscontri all'interno della morfologia verbale a.prov.: dall'ultima lettera del vocabolo, per quanto leggermente sbiadita, è ricavabile con maggiore verosimiglianza -c, da noi adottata nella presente ed. anche tenuto conto di analoghe ricorrenze all'interno del corpus (v. anzitutto Exp., v. 63 entendec, poi i contesti richiamati in nota a vers, XXV 24 p. 158) e, più in specifico, della pertinenza stilistica di elegic (data la figura di suono che viene a costituire, nel presente passo, con gli adiacenti ac e plac, tutti perfetti in -c: SMITH, pp. 228-30). Morfologicamente il tratto risulta tipico della regione «tolosana» e territori finitimi (l'area di R, insomma: cf. BRUNEL, Chartes p. XLIV e Supplém., p. XV, GRÄFSTROM, Morphologie, pp. 129-31, Gavaudan, p. 143). (Addenda)
52-56. Per lo iato a/e del v. 52, cf. gli esempi (anche riquieriani, nella fattispecie ai nn. 102 e 103) di PLEINES, pp. 29-30. Il passaggio ÍVU > ieu, del tipo pessieus (v. 56), caratterizza in generale il codice R (N'At p. XVIII, Gavaudan, p. 128): per l’Exp., cf. più avanti ai vv. 131 e 705 (vieure, vieu), 457 (pessieu) nonché 431: 2 (estieu: brieu) e 670: 71 (agradieu: humelieu); v. infine la nota di Mölk, cansos, pp. 49-50 n. 3. (Addenda)
57-58. Enunciato notoriamente stereotipo in area esordiale (cf. ZUMTHOR, 106-7, CHARLES, p. 136 e, per l'ambito trobadorico, MONSON, p. 87). Tra i rimandi possibili all'interno del corpus riquieriano va segnalato almeno il più diluito contesto di LXXI, 27-38, in identica presenza di amarvir (LEVY, SW I, p. 55 e APPEL 7,94, Jaufré, 2350, ecc.) e con intersecazione dei due topoi della «clause de modestie» e della vera e propria invocatio Dei (qui collocata a netta distanza, vv. 122-23, introduttoria della enumerazione commentata dei «terzi»).
60-61. Per voler + infinito = «être sur le point de», cf. PCardenal, 51,19 con rimando a LEVY, PD e K.P. LINDER, 'Volere'+infinitif: périphrase du futur en ancien provençal, in «Bulletin des Jeunes Romanistes», XV, 1968, pp. 53-59. Ses brui: dato il significato più comune di b.: 'rumore, baccano', ecc. (indicativo lo stesso accoppiamento sinonimico a nauza, rilevabile ad es. in SANSONE, Testi, IV 220), l'espressione potrebbe tradursi 'con calma', 'in silenzio' (en silence traducono infatti NELLI-LAVAUD, pp. 188-89, in riferimento al v. 26 dell'ivi edito Chastia gilos). Appare lecita anche un'assunzione semantica meno ovvia, stante brui «querelle» (PRTolosa, XVI 37) e tenuto conto della contestualità dell'espressione all'interno dell'Exp. (vv. 66-67: «non reprenden / luy [...]», ecc.: sul significato tecnico del verbo a livello di «commento», cf. Introd., n. 35). Il valore non tanto avversativo quanto «confermativo» della locuzione è posto in rilievo anche da A. RONCAGLIA, Il «gap» di Marcabruno, in «Studi Medievali» XVII, 1951, pp. 46-70 (p. 63 n. 6: «Ses bruig vengono avanti i buoni giullari, che non si affidano a strepitose presentazioni, ma alla loro effettiva abilità»).
Al v. 61, infine, segmentazione dubbia: aras subtiliar (= PFAFF), oppure ar assubtiliar, data la più diffusa ricorrenza del verbo prefissato (almeno in questa accezione traslata, stando agli ess. di LEVY, SW I, p. 94; cf. anche FEW XII, 365-67 con rimandi estesi all'oïl). Fra i riscontri proponibili, segnaliamo FLunel, VI 3 (« [...] qu'en re tan mais no s'asubtila»), JCastellnou, Glossari, 114, p. 221 («Per clausamen parlar se cuja l'actors ayssi asubtiliar»), nonché N'At, I 1173 (dove a subtilian dell'ed. BERNHARDT sarà da saldare — come già proposto da RAYNOUARD, Lexique, V p. 284 — asubtilian, per ragioni di evidente opportunità sintattica). Rincresce, infine, di non poter annoverare fra gli esempi la finida Del primer nom d'Amor, tutta costruita sul serrato gioco annominativo fra corradicali di soptil (privi però di prefissazioni, e comunque in assenza delle corrispondenti forme verbali). (Addenda)
64. auzir usato qui in qualità di infinito passivo, come, in identica dipendenza da per finalizzante, gli infiniti verbali dei successivi vv. 748 e 793: S.-G., § 185, N'At, V 88 (e n. a I 1013, p. 154).
69. o = avverbio locativo (iniziale di verso anche nel Test., v. 22). Incerta l'identità morfologica di pogra: a parte la bivalenza temporale del condizionale (presente-passato) bene attestata in a. prov. (CRESCINI, p. 122, PELLEGRINI, p. 298), sussiste anche omografia tra 1a e 3a p. e quindi il verbo può riferirsi sia a Riquier (già più volte autocitatosi dopo il risentito ieu del v. 56) sia a Calanson (se non si tratta di un uso impersonale di poder, soggetto indeterminato: 'dove si renda possibile un'altra interpretazione', che però a regola richiederebbe la compresenza di s, particella riflessiva: cf. a v. 167).
70. tersses (e 115 terses), 576 grazes (/555-558 gras, gra): «dels noms integrals e de lor alongamen» (Leys, ed. ANGLADE, III, pp. 78-9) si occupano anche altri teorici dell'epoca tarda (RCornet, Doctrinal, 162-8, e cf. Castellnou, Glossari, p. 224 con rimando alle Leys). Le registrazioni di BRUNEL (Chartes, pp. XIV e XIX, Supplém. p. XVIII) paiono individuare nel Rouergue-Albigeois l'area di più antica concentrazione del fenomeno (cf. anche R. MARICHAL, La langue de la traduction provençale du «Livre de Sidrac», in «Recueil [...] Brunel», cit., II, p. 213). Caratteristica la prevalenza di attestazioni per l'Obl. Pl. (JENSEN, pp. 48-9: «the presence of a flexional s must have been felt as much less stringent here [NomSg] than in the acc. plur.»), ma lo stesso CRESCINI, p. 70 n. 3 dà ess. anche per il Sg.
86. PFAFF En pero (dopo punto a fine del precedente v. 85): come per endreg (vv. 73, 76 e passim), si adotta qui la più comune scrizione congiunta (v. ad es. LEVY, SW II, p. 390 e p. 474), con adeguamento della n in m davanti a labiale (su questa linea cf. canz., 21 = Exp., v. 447 empres).
Per razo « conformement à la raison, à un raisonnement juste [...], d'une façon convenable» (FMarseille, p. 221 n. 5, che offre tra i rimandi proprio l’Exp., vv. 353-4; ad esso si aggiungerà l'occorrenza presente e quella di v. 184, nonché, sempre all'interno del corpus riquieriano, Suppl., v. 809 e Decl., v. 109).
88. PFAFF adreg, ma a dreg è sembrata preferibile anzitutto per l'acquisto di scioltezza sintattica; come connettivo stilemico a dreg parlar si situa in rapporto di equipollenza con locuzioni quali segons dreg parlar (ad es. in JCastellnou, Glossari, § 70, p. 220; cf. anche JFoixà, Regles, 77 = MARSHALL, p. 58 seria dret parlar, ecc.).
90-91. Per l'espressione cf. Decl., vv. 236-7 («[...] es enaisi/de dir acustumat», traduz. a p. 112 'tale è ormai l'uso corrente') e JCastellnou, Glossari, p. 221 n. 100 («no son [...] acostumat de dire»). In Exp., vv. 520-21 ricorre poi il costrutto con que («e si fos costumat/qu'om remazes aqui»).
93. PFAFF mays o mais, come da manoscritto (v. app.), ma con proposta dubitativa in calce («mens o mais?») senz'altro più soddisfacente sotto il profilo semantico oltre che stilisticamente congrua al contesto (cf. a v. 77 mays o mens: stesso sintagma, quindi, con permuta nella successione dei due componenti, come richiesto dalla rima). La corruttela si spiega del resto con discreta facilità dato che lo scambio -en->-ai-, soprattutto se le due lettere risultano addossate l'una all'altra, appare empiricamente verificabile. Altre proposte richiederebbero comunque un'emenda (mays e mais, previo scambio meno facile o/e ? cf. LEVY, SW V, p. 31: «immer mehr»). Per aver impersonale cf. qui avanti al v. 389 (ma in presenza della particella i): altri rimandi per l'oc in APPEL, Gloss. s.v. aver, e cf. la nota di K. LEWENT, Zu einigen Verwendungsweisen des Verbums aver, in «Neuphilologische Mitteilungen» 38, 1937, pp. 4-9.
102. PFAFF Aysso. Malgrado l'assenza di indicazioni specifiche sull'impiego locutivo traslato di al fons (RAYNOUARD, Lexique, III 358 e LEVY, SW, III 532, nonché APPEL, Gloss., adducono tutti esempi che convergono nel significato letterale e concreto del sostantivo: 'fondo' soprattutto marino, ecc.), la consequenzialità del trapasso semantico lo motiva assai agevolmente già per l'epoca antica: non mancano del resto espressioni tramite del tipo a.fr. mettre al/au font «faire périr» (GODEFROY, IV 60 b; cf. T.-L., III 2037 «zu grunde richten», e FEW III, 869 b, p. 872 «couler une affaire à fond, la terminer», dove è evidente la già avvenuta metaforizzazione dell'originario significato: da 'colare a picco' a 'lasciar perdere' oppure 'lasciare da parte, non rimuovere', ecc.).
103. Forse preferibile la scissione c'ar (qui o al successivo v. 104? sintatticamente la scelta risulta indifferente), ma fa esitare la frequenza di car all'interno dell’Exp., anche a distanza assai ravvicinata (ad es. ai vv. 923-4, dove ancora più sicura appare l'identità di car congiunzione; per la sua sostituibilità a que cf. qui avanti, n. 168-9), mentre l'unica altra occorrenza di ar 'ora' al precedente v. 61 dipende dalla nostra proposta di segmentazione del testo, in opposizione a PFAFF (nota). Circa far no·ns a, la sequenza interna (da Pfaff al solito trascritta senza segni diacritici) si presta ad essere interpretata come derivata da non+nos (il che ci appare più probabile) oppure da non+se (CRESCINI, pp. 81-2 n. 2; Flamenca, Gloss., p. 316). Dirimente, in ogni caso, il valore morfo-sintattico assegnabile agli elementi estremi, far a: futuro disgiunto («non ci servirà», «non ci sarà d'aiuto»: LEVY, SW III, 386 n. 28) oppure aver (a) far «avere a che fare», con la comune ellissi di a preposizionale (v. anche qui avanti al v. 374 «qui dezirar no·y a», e ad es. PFAFF, LXIX 65 «[...] queus avia far», dove però l'ipometria suggerirebbe di ripristinare la reggente dell'infinito). Per ren non fa del v. 104, evidentemente assumibile nella prima accezione detta, cf. JCastellnou, Glossari, § 296, p. 228 («sobrefluitats de paraules que re no fan a la sentensa», esempio citato anche da Levy, SW III, 382, n. 11 «ausmachen, bedeuten», e cf. LEVY PD «importer, être de conséquence).
105-106. Dovendo escludere, a rigor di logica, il plurale, la coppia declaramens:entendemens rappresenta l'unico caso di Obl. Sg. abnorme in sede di rima (cf. Nota ai testi): all'emenda inviterebbe particolarmente la presenza contestuale del regolare dreg, attributo del primo sostantivo (ma per analoghe riduzioni da uscita in palatale + s, cioè con perdita della sibilante, cf. gli avvertimenti di JENSEN, p. 125 con rimandi a GRÄFSTROM, Graphie).
107-108. Anticipazione della relativa di v. 107, dipendente dal genitivo del v. 108 (del menor ters), fatto repertoriato tra le costanti sintattiche dell'a. prov. (S.-G., § 212: «Ein Substantiv (auch ein Personenname), welches von einem de + Substantiv näher bestimmt ist, erscheint mitunter von seiner Bestimmung durch andere Wörter getrennt»). V. pure qui avanti, vv. 704-6.
108-109. PFAFF vers, con proposta dubitativa in calce (ters?, accolta in LEVY, SW IV, p. 445 n. 4). In effetti lo scambio paleografico t/u è dei più comuni (potrebbe ricorrere anche al successivo v. 115, dove però PFAFF stampa terses senza alcuna annotazione).
Per traire a lutz, cf. MÖLK, cansos, XI 38 e n. a p. 65: «erklären» (con rimando al presente contesto), oppure «ans Licht bringen, an die Öffentlichkeit bringen, (öffentlich) vortragen»; insomma «faire savoir» (rimando a Daude de Pradas, ed. SCHUTZ, 16,21), quindi «divulgare», «rendere pubblico» ecc.
114. dictet, come a v. 834, funziona da verbo tecnico del «comporre» poetico (LEVY, SW II, 237-8 n. 3 con citazione di PFAFF, LXXXI 57). Indubbiamente, «ces termes paraissent remonter à l'ars dictaminis» (PARÉ, p. 46): cf. la pertinente definizione di 'retorica' data dalle Leys, ed. ANGLADE, I, p. 82 («aquela nobbla sciensa per laqual hom sab trobar, dictar et ordenar e dire paraulas ornadas [...] segon que la natura requier, so es la mayres de parlar, so es l'ensenhamens de dictadors»).
116-118. Letteralmente 'dato che [queste tre parti] sono ugualmente note (poiché in uso) quanto al nome, a mio parere' (en «quant à, à l'égard de»: RAYNOUARD, Lexique III, 122 n. 14), vale a dire (traduzione più libera da noi proposta) 'si conoscono ugualmente bene i rispettivi nomi'. Nel presente contesto andrà rilavata anzitutto l'espressione esser uzatz da sommare alle altre scarsissime sue attestazioni (PRTolosa, XVIII 23 con nota a p. 124, su lezione peraltro di dubbia identificabilità, e BAlamanon VI 4 «Qu'ieu suelh esser uzatz», però costruito col de: cf. LEVY, SW VIII, 548-9, nn. 6-7); uzar en torna qui avanti, al v. 907. A v. 117 nō sciolto da PFAFF non, ma anche possibile -m date le notorie fluttuazioni nella resa grafica della nasale finale (per cui v. qui avanti alle note n. 319 e n. 404): auspicabile l'estensione al codice R di quella ricognizione sistematica degli usi abbreviativi effettuata, ad es., dal MONFRIN per C (riguardo al quale si osserva che «le tilde désigne la nasale, n ou m indifférement»: p. 296). Per egalmen/engalmen cf. passim da v. 71 engal: la forma propagginata schedata tra le normali varianti grafiche in LEVY, SW II, p. 316. (Addenda)
119 ss. Per quanto riguarda le ascendenze storico-ideologiche e le realizzazioni letterarie (in specie in lingua d'oc) della tripartizione d'amore rimandiamo alle osservazioni contenute nell'Introd. del presente lavoro (qui di seguito più puntualmente verificate in base a precisi richiami testuali).
In celestïals, dieresi richiesta dalla misura del verso (qui come ai successivi vv. 124 e 887, cf. anche v. 473 humilïan) e rispondente del resto alla comune prassi poetica del tempo (v. Leys, ed. ANGLADE, II, pp. 47-9 e, per altri esempi in R, N'At p. XXI).
122-123. Elemento quasi indispensabile del protocollo iniziale (in testi sia documentali che letterari), l'invocatio Dei qui si situa in posizione meno rilevata di altre analoghe ricorrenti nel «libro» riquieriano (v. ad es. Suppl., vv. 1 ss., Decl., vv. 21-24 con preghiera alla SS. Trinità, «forme habituelle dans les actes en français»: cf. nota ib., p. 114 e PRATESI, pp. 68-70). Movimenti più similari anche per le scelte sintattiche (comune presenza del verbo endressar) si ritroveranno ad es. in PFAFF, LXXXI 46-50 («E Dieus, qu'es vera vida, /Endresse mon voler/A far lo sieu plazer/Em don bon complimen/Ad est comensamen») e nella stessa Decl. in finale (preghiera a Dio «qu'endressar /pot totz bes», vv. 386 ss.); cf. anche N'At, III, 20-23 («E prec Dieu a mon comensar,/ Que do manieyra de ben dir, [...] Pus dat m'en a cor e talen»).
125-126. Si condensa qui nel breve assioma tripartito (amar-servir-obezir) quanto risulta oggetto di ben più analitica dissertazione in altri luoghi didattico-devoti del «libro»: cf. soprattutto PFAFF, n° LXXI (tutto costruito al fine di dimostrare la necessità di amar, temer, servir Dio); altri ess. in OROZ, p. 210 e v. anche AMareuil, Ensenhamen, vv. 59-60.
127-128. Espressioni ambedue stereotipe: la diade de cor e de saber sarà una diretta mutuazione dal testo calansoniano (v. 1); per ab esforsat poder cf. Decl., v. 6 (in immediata susseguenza all'altra usatissima coppia sen-saber) e inoltre PFAFF, LXXI 190 e LXXXIII 54 (ab p. e., sempre in rima con grat), MÖLK, cansos, p. 56, n. 31, LONGOBARDI, vers, XVIII 3, ecc.
130. Ipometro e come tale riprodotto da PFAFF, mentre un ritocco metrico-ritmico (con risvolti grafo-linguistici) può bastare a ristabilire il computo sillabico (per iati del tipo que espero documenta del resto, anche in base all'opera di Riquier, PLEINES a pp. 57-59, e cf. le trasposizioni toniche proposte in ADaniel, I, pp. 5 ss.).
In caso contrario, l'integrazione più ovvia risulterebbe [sil], sia sintatticamente che per quanto attiene alla facies grafica (per l'oscillazione c/s davanti a vocale palatale, v. N'At, pp. XXXII-XXXIII e Gavaudan, p. 128 h), ma l'omissione del dimostrativo davanti al connesso relativo non costituisce peraltro un'eccezione in a. prov. (cf., in analoga dipendenza dall'indefinito «tutto», PGuillem, p. 241, v. 20: «Totz que·l ve de lhui fa festa»). (Addenda)
132-135. Metafora assai comune in ambito religioso-edificante, e per cui è immediato il riscontro evangelico (come suggerito da OROZ, p. 233 in riferimento a vers, V, 29 e ss.: cf. anche nota LONGOBARDI, p. 54 con rimandi ad altri luoghi riquieriani, fra cui si riterrà soprattutto vers XXIII, 37 ss., e ANGLADE, GR, p. 313). Interessante constatare, in parallelo, l'avvenuta sua estensione al settore «profano» (nella Cort d'Amor, vv. 217-218, il richiamo alla «via dreita» è infatti trasferito all'iter amoroso terreno; cf. anche il 'laico' cenno alla dreita via in Abril issia, v. 973). Il v. 132 costituisce poi un pezzo di riutilizzo da PFAFF, LXXI 68 (con minimi scarti e commutazione verbo-oggetto: «per segre drechura», ivi inserito in contesto non tanto devoto quanto sentenzioso-moraleggiante); l'accostamento drechura-via drecha adorna il passo, già impreziosito dal richiamo scritturale, di una delle ricorrenti figure morfologiche (cf. Intr., n. 83).
Per quanto attiene alla declinazione, si può osservare la giustapposizione di (via) estrecha e greu (sugli aggettivi Femm. di IIa cl. cf. N'At de Mons, p. XXXVIII; la mancanza di -s può spiegarsi con il tendenziale adeguamento delle classi «deboli» alle «forti», su cui v. nostra Nota ai testi, n. 3).
135. Data la possibile identificazione del sostantivo cors nel derivato a. prov. di CORPUS (che acquisterebbe qui un valore piuttosto pronominale: 'la persona, colui che', ecc.), non risulta strettamente necessaria l'integrazione di -s per la prep. artic. al (che s'imporrebbe viceversa se cors <CORES). Sui problemi creati dalla sovrapponibilità dei due sostantivi in a. prov., cf. il contributo di F. JENSEN, Provençal cor and cors: a Flexional Dilemma, in «Romance Philology», XXVIII, 1974, 1, pp. 27-31.
136 ss. La trattazione dell'amors naturals conoscerà una ripresa di forte similarità verso la chiusa dell'Exp. (commento alla prima tornada di canzone, in particolare vv. 870 ss.), in tono peraltro meno allarmato e reprobatorio di quello ricavabile dal presente contesto (analogo tratteggio dei condannati «eccessi» di tale amore si ha per es. nella sezione conclusiva del PeriIhos tractat = Breviari, vv. 34540 ss.: «D'amor d'efan»).
137-138. L'imperfezione di rima è probabilmente solo grafica: u per o < Ŭ,Ō è in genere spiegata come latinismo (cf. La Vida del Glorios Sant Frances, version provençale [...] éd. par J. ARTHUR, Uppsala, 1955, p. 22), ma, come riconosciuto ib., nel fenomeno può essere ravvisata la spia premonitrice di un mutamento fonetico caratteristico dell'oc almeno in epoca posteriore (GRÄFSTROM, Graphie, § 16 p. 71 e ADaniel, II p. 722 con rimandi alle grammatiche storiche di Ronjat, Pellegrini, ecc.).
141. Per l'irregolarità flessionale (paren Obl. Pl.), cf. Nota ai testi (al v. 872 ripetizione dell'emistichio con normale sigmatizzazione del sostantivo, «e·ls parens»). Precisazioni circa l'area semantica da assegnare a paren-parentat sono state date nella Parte I (Postilla alla traduzione m).
146-147. PFAFF E uol; per analoghi usi di creyser «incrementare» (il patrimonio, e simili) cf. vers III, 19-20: «qui es creyssens / del sieu ab qualque cors» (trad.: «chi è impegnato ad accrescere il proprio patrimonio a qualsiasi prezzo»).
148-149. Doppio accostamento di Nom. Pl. Femm. (regolarmente provvisti di -s desinenziale) e Masch. (plaitz, mazans, che possono aver risentito di una attrazione analogica nei confronti dei primi, cf. Nota ai testi, n. 4); per mazan «tumulte [...], tapage, bruit» se non «inquiétude, peine» cf. FEW VI/1, p. 570 (< celt. *medâ), e O. SCHULTZ-GORA, Vermischte Beiträge zum Altprovenzalischen, in «Zeitschrift für romanische Philologie», vol. 44, 1924, pp. 147-150.
150. per tal que = «afin que» ( = LEVY, PD), con il regolare costrutto al modo congiuntivo (S.-G., § 196; cf. N'At, p. 154 n. 1142 e BCarbonel, Coblas, XXII 4).
152-153. Cf. LONGOBARDI, vers, II 61 (e n. a p. 39) per l'espressione «que·l cor a seguir m'ave» (asseguir in C ed R, mantenuto da PFAFF). Il nostro contesto invita pure ad una conservazione di asseguir, ma non è stato finora possibile verificare altre ricorrenze collegate di a. e cor (che potrebbero suggerire la più congrua interpretabilità sintattica dell'insieme).
154-156. Campione di testo abbastanza utile a dimostrare l'aleatorietà di una eventuale «normalizzazione» sistematica della declinazione bicasuale all'interno dell'Exp. (alla quale si è perciò rinunciato, sia pure consci dei gravi limiti che ciò comporta: cf. Nota ai testi). Se infatti esperital, in rima al v. 155, può motivare la sua asigmaticità in base al legame attributivo con mort del precedente v. 154 (che l'uscita in -t fa rientrare automaticamente nella categoria dei sospetti limosinismi di cui a n. 466), al sintagma in rima del successivo v. 156 (amor carnal) va sotteso un peso specifico di irregolarità morfologica indubbiamente maggiore. Da rilevare al riguardo l'alta frequenza di amor in quanto Nom. Sg. asigmatico (cf. Nota ai testi), mentre per l'opposto Obl. Sg. Amors di v. 256 si potrà ricordare che le Leys medesime autorizzavano tale generalizzazione della forma sigmatica, vale a dire l'indeclinabilità del sostantivo (cf. il rimando effettuato in N'At, V 265, n. a p. 169).
158-159. A v. 158 PFAFF vens, ma in R non risulta leggibile nessun titulus; un altro caso di rima graficamente imperfetta tra vocali seguite da nasale è segnalato oltre, vv. 555-6 (lens:pes, cf. nota). Circa la usatissima coppia sen-saber, cf. le osservazioni di GGUIDA in Gavaudan, p. 351, nonché THIOLIER-MÉJEAN, pp. 98 ss.; al di là dell'impiego lirico sinonimico (certo favorito dall'assetto fonico allitterante dei due sostantivi), a ciascuno di essi compete un campo semantico nettamente individuabile: rispettivamente, «raison, intelligence» e «connaissance, savoir» (THIOLIER-MÉJEAN, cit., che si basa su spogli indicativi per quantità e qualità). Cf., in particolare, la dotta disquisizione fornita a questo riguardo da Riquier, in PFAFF, LXXI («Qui conois et enten / E vol saber e sen», partic. ai vv. 62-73).
160-161. n' = «a questo riguardo», riferito a quanto espresso nei precedenti vv. 158-60: l'interpunzione PFAFF (punto e virgola a fine v. 160) scavalca il legame consecutivo che pare da sottintendere nel que iniziale di v. 161.
162. Prolessi dell'oggetto (aquela), anteposto al verbo (merma del successivo v. 163) in funzione chiaramente enfatica (altri ess. ai vv. 524, 657, 832 ecc.).
166-167. Uso avversativo di e, ben documentato all'interno del nostro testo (cf. ai vv. 181, 352, 389, 584) e altrove (basti rimandare alla nota di N'At, p. 157, n. 1563, e al contributo di P. MÉNARD, E initiale de phrase en ancien occitan, in «Mélanges [...] Rostaing», Liège, 1974, II, pp. 691-707).
168-169. La punteggiatura adottata, in discordanza da PFAFF (che poneva virgola a fine v. 168), fa pernio sull'interpretabilità di car = que, normale dopo verbi di opportunità (par) e introduttiva di verbo al modo indicativo (PELLEGRINI, p. 300; cf. N'At, p. 148, n. 87, Suppl., p. 84, n. 92, Gavaudan, p. 151 e qui oltre a v. 923). Entendre a dir (LEVY, SW III, 56-57 nn. 11-12) anche ai vv. 664-5.
171. PFAFF obliguatz, forse a ciò portato dalla maggiore ricorrenza della grafia gu in R (Gavaudan, p. 128 e, e cf. qui avanti preguan in corrispondenza di v. 475); del resto, la continua alternanza ga/gua nei mss. trobadorici è ampiamente nota (MONFRIN, p. 302 n. 16, TAVERA, Graphies, 1084-5). Più curiosa, se mai, la costruzione obliguatz de (LEVY, SW V, p. 449, segnala se o. a, esser o.at en, nn. 2-3). Totz con presumibile valore rafforzativo (cf. anche qui avanti al v. 228). (Addenda)
174. Fra le accezioni semantiche proprie di devers, la più congruente al presente contesto risulta quella di «dignità», «decoro», «convenienza» se non «obbligo della ragione, razionalità» (Suppl., p. 91, n. 544). Cf. poi qui avanti a nn. 435 e 854 (mon dever).
178-181. Come più avanti a vv. 572-575 (intran-auza, ambedue le voci verbali riferite ai descortes/vilan già nominati a vv. 569-70), alternano qui 3. e 6. persona (auzis-volrian), secondo un uso ampiamente attestato per il romanzo antico in genere (cf. le indicazioni di RONCAGLIA, p. 219; SANSONE, Testi, I 61 p. 88) e agevolato, nello specifico campo dell'a.prov., dalla notoria mobilità della -n finale «caduca» (su questo fatto fonetico applicato al morfema di 6. p. verbale, cf. CRESCINI, p. 58 e GRÄFSTROM, Morphologie, § 52: la caduta interessa quindi anche -n non originariamente intervocalica, bensì protetta da -t finale). Forse l'elemento catalizzante, nel presente contesto, è dato dal soggetto indefinito negus (v. 176): un caso analogo sarà rilevato ai vv. 842-844. Notare infine, a vv. 177-178 in rima, la mancata sigmatizzazione dei due participi Nom. Sg. Masch. enflamat: pagat, non particolarmente significativa data l'uscita in -t (cf. qui avanti, nota al v. 466), ed il tecnicismo «commentaristico» especificar (v. 180), assai raro in a. prov. (nessuna menzione di LEVY, SW e PD, mentre l'unico esempio di RAYNOUARD, Lexique III, p. 169, è tratto dalle tarde Leys, in contesto che presenta il seguente allineamento parasinonimico: «per e., expondre e declarar»).
186-187. Retraire in quanto «exposer, raconter» (LEVY, PD, s.v.), contestualmente «in pubblico» (a prezen); altra occorrenza del medesimo verbo più avanti, v. 729 (retrairai, soggetto l'espositore Riquier). Per quest'accezione di a prezen, cf. SANSONE, Testi, V 239 e Gloss.; Flamenca, Gloss., ecc. (un'altra assumibilità della stessa locuzione, con valore temporale ipotattico, qui avanti al v. 709).
190-200. La sostenuta lunga perifrasi che accompagna la diretta citazione della «cort [...] del Puey» (sulla cui identificazione cf. quanto osservato in Introd., n. 21) è impreziosita dai soliti espedienti retorici (citiamo almeno le insistite annominationes su honor e pretz, da honrada, v. 192, a onradamens, v. 199, e le ricorrenti spezzature che talvolta pongono dubbi sulla ricomposizione sintattica del passo). Alla nostra traduzione (forzatamente non letterale) aggiungiamo qui di seguito qualche puntualizzazione specifica. A vv. 191-2, il primo que in sicura funzione di relativo (riferito alla «cort [...] del Puey»), mentre per il secondo si può esitare fra l'avverbio locativo ('dove', 'in cui', equipollente ad on che apre il successivo v. 194: cf. in proposito Deux mss., p. 176 n. 5 e PELLEGRINI, p. 302) e la congiunzione dichiarativo-causale ('poiché', con omissione in tal caso dell'attesa particella locativa). 196-7: dubbio il referente diretto di per, potendo trattarsi con pari verisimiglianza di entier subito adiacente (e il sintagma avverbiale per entier «completamente» risulta ricavabile anche da un successivo luogo dell'Exp.: v. 677 e nota relativa), ma anche dell'infinito verbale conquerer; in quest'ultimo caso, la preposizione assumerebbe il consueto valore finalizzante ('al fine di acquistare [...]', ecc.). A sostegno di quest'ultima ipotesi va notato che la spezzatura tra i vv. 196 e 197 (aggettivo / sostantivo: entier/pretz) rientrerebbe nel gusto per tali espedienti retorico-sintattici ben sperimentati all'interno della nostra opera (v. poco sopra vv. 191-2 solia/honrada, e Intr. n. 21), ma la prima soluzione va forse preferita poiché evita l'accumulo di subordinate rette da venian (v. 198). Da tale forma verbale dipende già la subito susseguente dichiarativo-causale «per vezer [...]» (v. 198), a sua volta collegata con l'oggettiva «a far [...]» (v. 200): cf. il passo similare (per tessuto lessicale e impianto sintattico, nonché per l'analoga atmosfera propria dell'addottrinamento cortese) dI RVIDAL, Abril issia, 585 ss. (partic. a vv. 593-4: «A far faitz onratz pretz-valen / venon per cor e per saber»).
195-196. La forma cavayer(:entier), in linea con altre pure reperibili all'interno del codice R (N'At II, 1368:69 cavayer:mestier; per il corpus riquieriano v. ad es. Suppl., 265:66 cavayer:plenier, 309:10 cavayer:premier), pare assicurare circa l'avvenuta riduzione -LL- > i a quest'altezza cronologica (per l'estensione moderna del tratto cf. RONJAT, I, § 53). Fase intermedia sarà quella, ancora più documentata dal nostro testo, di l mouillé, grafato per lo più lh, su cui cf. nota n. 303-304. (Addenda)
202. Come già chiarisce il primo elemento del dittico, «general è agg. neutro qui usato avverbialmente» (Suppl., p. 90, n. 453); per un'accezione squisitamente filosofica del termine — e del suo contrario, especial — v. qui avanti alla n. 214-222.
203-204. L'enumerazione degli ordini sociali comprende prevedibilmente al primo posto i rappresentanti dell'aristocrazia (donas e senhors), settore di indubbia preminenza all'interno del «Puey»; seguono i personaggi di medio rango (borghesi, abbienti cittadini? v. LEVY, PD, s.v. mejas: «la classe moyenne», e SW V, p. 167 ss.); infine, e quasi stupisce un tale allargamento democratico del pubblico, i minores (artigiani, laboratores?). La vaghezza delle definizioni adottate (soprattutto per la «seconda» e «terza» classe) rende assai aleatorie ipotesi sociologiche più avanzate: «maior, menor, meia [...] costituiscono un modo generico di esprimere la totalità [...] possono riferirsi a qualsiasi gerarchia» (Suppl., p. 87, n. 206, con specifico riferimento al clero).
canz. I, 1. L'incipit del testo calansoniano (A lieys, per Celeis della restante tradizione accolto nelle moderne edd. critiche DAMMANN ed ERNST) è caratteristico del «gruppo g», settore della tradizione manoscritta della canzone a cui fa capo R (cf. per queste precisazioni la seguente Appendice, 1, n. 6).
canz. I, 7-8. Rimandiamo alla già citata Appendice, 1, nota 13 per quanto attiene alle incoerenze morfo-nominali rilevabili in questi versi secondo R² (gli Obl. Sg. razos-voluntatz); per la rima «imperfetta» fra canz., v. 8 ed Exp., v. 214, cf. la nota n. 13 dell'Intr.
214-222. La presente proposta di lettura si qualifica meramente ipotetica data la non completa perspicuità del contesto (v. il rimando al «già detto» che si effettua a v. 215, valido solo se riportato ai generici giudizi di benevolenza già pronunciati su Calanson nel prologo, se non al dettato stesso della I cobla appena trascritta). Esplicitiamo qui di seguito, con i relativi residui di incertezze, quella che a noi appare la possibile ricomposizione logica e sintattica del periodo, sottoposto ad una assai accentuata parcellazione.
Cominciando da v. 216: pro claramen costituisce un sintagma avverbiale di bifida referenzialità, potendo adattarsi sia a quanto «dig es desus» (v. 215) sia, come pare sottendere l'interpunzione di PFAFF, a quanto segue (cf. al riguardo l'analogo attacco di RCornet, Gloza, vv. 16-17). Compiute le poi facili identificazioni lo pus = 'la maggior parte' (come a v. 389) e ben = 'certo' (asseverativo), oppure 'giustamente, eccellentemente' ecc. (in funzione cioè piuttosto qualificativa, come registrato nel Gloss. di GBornelh, s.v.), nonché entendemen = 'significato' (cf. Introduzione, n. 16) converrà leggere cobl'a (v. 218), ricavando da tale scissione (PFAFF cobla) l'ausiliare del predicato nominale sen da cui a sua volta dipenderà del ters (v. 220) menor (attributo distanziato per forte iperbato, a v. 222): per aver sen de 'riguardare, significare, avere attinenza' v. LEVY, SW VII, 561 n. 10. A v. 221, infine, dir volia reggerà simultaneamente a totz en general ed especïal/a sidons (vv. 219-221, notare l'incrocio chiasmico), recepibili come il destinatario rispettivamente pubblico e privato della canzone: il menor ters, appunto, secondo Calanson («co s'entendia», v. 222). Per en general/especial v. nota n. 202: l'indubbia matrice scolastica dei due termini (PARÉ, p. 43 e n. 2, HILDER, 90-4 e 104-6) è verificabile anche nel loro vasto utilizzo in campo didattico a.prov. (N'At, II 60 ss., MARSHALL, Gloss., JCastellnou, Glossari, § 24 p. 217 ecc.).
225-227. È stata anticipata di un verso (fine v. 224) la più decisa pausa interpuntiva posta da PFAFF a fine v. 225, in quanto è sembrato appropriato mantenere una più stretta consequenzialità tra i vv. 225 e 227 intervallati dalla parentetica del v. 226: cossi (v. 225) costituirà pertanto l'antecedente di que consecutivo (v. 227). A v. 226, data la doppia interpretabilità sintattica del que iniziale (relativo oggetto di poder del precedente v. 225, oppure congiunzione dichiarativo-causale), il pronome dimostrativo neutro o può riferirsi sia, pleonasticamente, al nominato poder, che, come appare più probabile nell'economia complessiva del passo, a quanto sta per essere enunciato (prolettico quindi dei vv. 227 ss.).
228-230. Al p.ps. entendutz sarà da assegnare (qui come al successivo v. 321) valore attivo: 'percepibile, avvertibile con piena chiarezza' (totz rafforzativo come al precedente v. 171): cf. PELLEGRINI, p. 299 e N'At, p. 159 n. 27. Per il v. 230, cf. la quasi identica occorrenza di PFAFF, LXXI 80 («E dey n'esser crezutz»); qui la 3. p. deu può riferirsi alla persona del poeta Calanson (più che al poder, del resto richiamato implicitamente dalla particella avverbiale n': «su ciò, al riguardo»). Inevitabile, infine, l'incertezza ecdotico-linguistica fra proclisi ed enclisi davanti ad iniziale vocalica: deu·n o deu n'?
235. PFAFF qu'ie l'enten, non giustificato dal ms. e forse provocato dalla incomprensione del costrutto, tipicissimo per l'a.prov. e il romanzo antico in genere (ai rimandi di SANSONE, Testi, p. 147, aggiungere lo studio specifico di K.P. LINDER, Studien zur Verbalsyntax der ältesten provenzalischen Urkunden und einiger anderer Texte mit einem Anhang über das konditionale Qui, Tübingen, 1970, pp. 97 ss., con ampia bibliografia).
237-238. Prima citazione del fals semblans di Amore ( Introd., § 3.2.1. e n. 56): a parte la connotazione decisamente negativa qui assunta per il collegato aggettivo, il «lato a vista» della condotta di vita ritorna spesso nell'opera di Riquier (LONGOBARDI, vers, p. 38 n. 21-22 con rimando a Gavaudan, pp. 357-8 a sua volta apportatore delle solite pertinenti informazioni bibliografiche).
L'imperfezione della rima (non isolata in questo ambito didattico-narrativo: cf. Suppl., p. 92 con rimando a BARTSCH, «Archiv») risulta qui facilmente sanabile previa addizione di -s all'uscita avverbiale (JENSEN, p. 104 nota l'estensione della sibilante finale alle formazioni in -MENTE, e v. N'At, pp. XXXVIII-XXXIX); d'altro canto, merita considerazione la conclamata «neutralità» del sostantivo gen(s) che potrebbe manifestarsi nella ridondanza del marchio desinenziale (ANGLADE, Leys, III, pp. 80-82 e ADaniel, II, p. 761). Sulla questione etimologica è tornato di recente T.J. WALSH, Old French g(i)ens, Old Provençal ge(n)s, Catalan gens: An Etymological Problem [...], in «Romance Philology», XXXV, n° 1, aug. 1981, pp. 89-99.
238-242. La figura etimologica (dezordenadamen-dezordenat) occupa nella rassegna Smith un settore ben nutrito (molte le sequenze avverbio-aggettivo, sul probabile modello be-bo: ib., p. 133). Per composti peggiorativi in de(s) cf. la nota di GUIDA, Jocs, p. 202 n. 69 (con rimando al contributo specifico di W. Rothwell citato in bibliografia); è ben possibile del resto che Riquier compia qui un avveduto utilizzo del lessico filosofico-morale del suo tempo (GILSON, Théologie, p. 164), sia pure ormai trivializzato polisemicamente in area poetica (soprattutto didattica): v. LEVY, SW II, p. 229 e ad es. FLunel, Romans, vv. 158-9 («Tant es aquest segle farssitz / de gens mot dezordenadas»).
245. Dato se far «avvenire» (LEVY, SW III, 386 n. 24, e cf. APPEL Gloss. s.v. faire), è probabile che nos vada interpretato quale derivato di non se ('come non avviene'); possibile anche 'com nos fa' = 'come ci giudica', con fa vicario del precedente jutjar (v. 244).
247. e sos ci è parso proficuamente emendabile in es sos (accogliamo quindi la proposta PFAFF in calce all'ed.); l'omissione della prima -s può essere dovuta ad aplografia (cf. GRÄFSTROM, Graphie, p. 238 in uguale dislocazione sintagmatica; v. anche qui oltre la nota 532).
250-253. Si intrecciano qui due motivi di ampio consumo in area lirica e cortese: l'infidità di Amore-fals semblans (su cui cf. n. 237) e la conseguente «azione legale» intentata dai traditi amadors (sulle ascendenze giuridico-feudali della specificità semica assunta in a. prov. da clamor, clamar, cf. Guglielmo IX, p. 49 n. 3, e Cadenet, p. 88; frequentissimo l'uso di questi termini nel Breviari; per l'opera di Riquier cf. i rimandi dati in LONGOBARDI, vers, XVI 38-39 nota).
Osservazioni morfologiche relative ai suddetti vv.: a 250, assai difficilmente giustificabile l'assenza di -s da semblan, Nom. Sg. masch., in sintagma «misto» con il regolare sos (a 461, replica normalizzata del verso): si può solo rilevare la decisa frequenza del participio sostantivato all'Obl. Sg. (espressioni del tipo al meu semblan, ecc.) che può avere indotto alla svista. A. v. 251, Ind. pres. 3. sort, al posto della più regolare sortz (<SURGIT), come più avanti a v. 796 (cf. anche PFAFF LXXIV 201: uguale presenza della coppia rimica sort:cort). A v. 253, infine, ricorre il composto verbale son avut, secondo un uso abbastanza tipico dell'a. prov., «surtout à partir de la fin du XIIe siècle (exemples dans G. Riquier, Sainte Agnès, les Mystères alpins»)» (BCarbonel, Coblas, p. 183, n. a XXXII, 2; rimandi specifici al corpus riquieriano in Suppl., p. 93, n. 617; MÖLK, cansos, p. 106 n. 58; LONGOBARDI, vers, V 11, n. a p. 53).
254-256. Tener per «giudicare, considerare» (qui come al successivo v. 885), in esatto parallelo semico con l'altro costrutto tener a, pure attestato nell'Exp. (v. 271): cf. le ricapitolazioni offerte in proposito dai Glossari di BBorn (ed. STIMMING) e Sordello (ed. BONI). Per amors Obl. Sg. (v. 256), cf. la nostra precedente n. 154-156.
258-259. I due vv. costituiscono un'unità periodale nell'edizione PFAFF (punto a fine v. 257 e poi, come nella presente, a fine v. 259), ma appare più idoneo al contesto inserirli in concatenazione antitetica a quanto appena esposto (insomma, come replica alle ingiuste accuse degli amadors). Il v. 258 ricompare identico a LXXXI 42 («Pero fort me desplatz / mas non puesc al re far; / car non puesc desviar / mon cor [...]»). Per convenir a (seguito da infinito verbale), cf. qui avanti ai vv. 545 e 787 (LEVY, SW I, 352 n. 3).
265. Cf. MÖLK, cansos, XXXIX, 10 («c'ab so vol serai pros»).
266. PFAFF trobat ai. L'inversione dei due componenti il sintagma verbale è richiesta palesemente dalla rima (sulla sua regolare sussistenza nei punti di sutura tra coblas calansoniane ed Exp. riquieriana, cf. quanto annotato in Intr., nn. 13-14). Cf. anche v. 717.
271. Tenhatz (come crezatz nella relativa parentetica del successivo v. 279) ha valore esortativo-iussivo (la rilevanza di analoghi supporti infratestuali viene trattata in Intr., 1.2., n. 24).
274. de bon grat 'piacevole, gradito', come invitano a tradurre sia enunciati motivali affini all'interno dell'Exp., (ad es. vv. 246-7, 314-16, sul plazer che connota l'amore al suo sorgere, e anche a v. 330 il richiamo alle «sajetas de grat») che occorrenze della medesima espressione in altri luoghi dell'opera riquieriana (LONGOBARDI, vers, I 2 e 50; Suppl., v. 266 «novas de bon grat», trad. «gradevoli», ecc.). Anche in N'At, V, 583 si afferma: «Amors, que ven per grat / Es tota de plazer» (dove il grat costituisce piuttosto la causa producente dell'amore che una sua qualità connaturale: il piacimento suscitato dalla visio, insomma; cf. Intr., 3.2.2).
280-281. ve:cove. A partire dai più antichi trovatori, «la nasale finale non mostra alcun influsso nasalizzante sulla vocale tonica che la precede» (Guglielmo IX, p. 350). Verifiche in R sono possibili, per la stessa Exp. (vv. 37:38 alcus: clus, 123:24 pes:es, 320:21 declaratïo:pro, ecc.) nonché altrove (N'At, pp. XXII-XXIII e XLII-XLIII).
280-286. La figura morfologica multipla concorre stilisticamente a ribadire la già enunciata invisibilità di Amore (cf. sul motivo Intr., 3.2.2. e n. 61). Notare infine l'iterazione (vv. 280, 283, 286) di hom, in quanto soggetto impersonale asigmatico, solo oppure (a v. 286) in sintagma «misto», coordinato cioè a vivens (:es 285).
canz. II, 11. Per questo come per altri luoghi della canzone la cui specificità di lezione ha avuto riflessi più o meno notevoli sull'Exposition di Riquier, rimandiamo alla qui seguente Appendice: l'elemento tipizzante (per quanto non esclusivo di R², ma comune ad una parte della tradizione) è qui rappresentato da fort contro dreg (a testo in DAMMANN, ERNST, APPEL).
canz. II, 12. Fal colp (con enclisi al verbo dell'articolo da ILLUM?) risulta lezione totalmente isolata nel contesto della tradizione: cf. già nella medesima Exp., vv. 297 e 316 ricitazioni del verso con il semplice fa (Appendice, 1); nemmeno ricavabile da R la lezione fai propria di altri mss. e assunta a testo a livello editoriale moderno.
canz. II, 13. Dato che la più probabile catalogazione morfologica, per il sintagma ausberc fort ni espes, risulta il Nom. Sg. (cf. anche le edd. critiche Dammann ed Ernst: ausbercs; la posposizione del soggetto al verbo di 3.p., ten, non escluderebbe peraltro in toto il Nom. Pl.), solo il sostantivo ausberc può essere incasellato fra le «irregolarità» (per tz > t, cf. Nota ai testi e n. 466; apportatore di nessuna informazione al riguardo, ovviamente, l'ultimo elemento della serie, essendo un indeclinabile).
canz. II, 15. Il valore semantico di entezat (ricorrente solo in R'R²a²: per il quadro completo dell'alquanto diffratta tradizione, rimandiamo a JEANROY, Jongl. et troub., pp. 32-33) è praticamente identico a quello della forma accreditata estezat (a testo in DAMMANN, ERNST, APPEL, B.-K.): basti il rimando a LEVY, SW III, pp. 69 e 322 sotto i lemmi rispettivi e v. anche STICHEL, cit., p. 55 s.v. estezar 'spannen'.
canz. II, 16. PFAFF afilat (riportato da altri mss. quali, nel gruppo γ, C ed a², e assunto a testo da DAMMANN ed ERNST, nonché APPEL e B.-K.): tale errore di lettura può stare a base dell'omissione di DAMMANN, app. (non menziona R² fra i codici che riportano afinat). Cf. poi Exp., v. 348 afinat, v. 364 afinars: sull'ambiguità sottesa al lessema v. la n. di DAMMANN, p. 55 n. 1 («afinars zuerst im Sinne von 'Läuterung', dann im Sinne von 'Aufhören'»).
294. Iperboli numeriche del genere ricorrono anche più avanti nell'Exp. (ai vv. 420 e 850) e rispondono ad un gusto alquanto diffuso per l'epoca e l'ambiente (cf. Guglielmo IX, I 21, p. 32 con apertura d'indagine sulle possibili ascendenze bibliche, inoltre ERNST, p. 370 con altri rimandi). Per jornadas «Tagewerk, Feldmass» ( = LEVY, SW IV, p. 272 n. 6), cf. i riscontri di FEW III, p. 103.
299-301. Soggetti possibili del verbo s'atura (per il significato di «indugiare, attardarsi», v. LEVY, SW I, pp. 99-100 n. 3, nonché ERNST, Gloss.: aturar rifl. «bleiben, beharren») risultano sia est'Amor (v. 298), nel qual caso a v. 299 el < en + le, che colp (v. 299, con el < et + le). Più economica la prima identificazione (che limita ad Amor Nom. Sg. l'inosservanza della declinazione, secondo una prassi del resto ricorrente all'interno dell'Exp.), anche se a favore della seconda potrebbe parlare l'attacco del v. 302 (con l'indubbio soggetto dart, che invita al parallelismo sintattico): tale pare risultare la scelta interpretativa di LEVY, SW VII, p. 405 n. 32 (e·l).
Il colpo «senza riguardo» (ses mezura) rientra pure nel canone lirico amoroso (cf. ZENATTI, p. 44); sopte «subitement, à l'impreviste» (LEVY, PD s.v.), più che «di nascosto» (come pare da interpretare la traduzione DAMMANN, p. 49: «heimlich»).
303-304. Sull'interesse della contemporanea citazione di vista ed udito, cf. quanto osservato in Intr., § 3.2.2.): forse Riquier echeggia qui (come in altri luoghi dell'Exp.) il passo della «novella» di PGuillem dove si asserisce «Quel cairel intra ab sospir / Per meg los huels e per l'aurelha» (MAHN, Werke, I, p. 249 vv. 33-34).
La rima aurelhas:selas viene citata nel Manuale di CRESCINI (p. 45) quale esempio provante «che l da LL di *ECCEILLAS sonava come lh da C'L di AURIC'LAS»; come noto, la documentazione in proposito abbonda per la zona Sud del dominio occitano (RONJAT, II, pp. 148-9, PELLEGRINI, p. 145 e ADaniel, II, p. 749), verso la quale è da riportare la localizzazione di sillogi quali R e C (Gavaudan, p. 129 m, MONFRIN, pp. 307-9, TAVERA, Graphies, p. 1083).
Resta da segnalare l'inusualità della grafia (-l-, contro alla diffusa -lh-, propria della posizione interna e finale romanza: cf. qui ai vv. 11 falhir, 161 nulh, 309 metalh, 365 aquelh, 567 selh e passim). (Addenda)
305-306. Soggetto sottinteso di fier sarà Amor (sic a inizio di v. 298); l'interpretabilità del v. 306 è peraltro varia, stante la polivalenza morfo-sintattica dell'o di apertura ('dove' < ŬBI, 'ciò' < HOC, ecc.). Preferendo allineare tale particella alle o (<AUT) dei vv. 303-4, la traduzione qui proposta sarà 'attraverso gli occhi o le orecchie o tutta quanta la persona', con a saubut nella ricercata funzione avverbiale («a saputa (di tutti)», quindi «notoriamente» e simili): agli ess. riportati in LEVY, SW VII, p. 405 n. 32, comprendenti questo e un altro luogo riquieriano — l'attuale vers VIII, 7 — aggiungiamo PCardenal, LI 37-8 («Malvestat vei espandir / vas totas partz a sauput») e SANSONE, Testi IV, 524-5 («auretz pretz a saubut / e sen veray e sert»).
308-309. Il «senso profondo» dell'acciaio risulta infatti «the trascendent toughness of the principle of the all-conquering spirit» (CIRLOT, s.v. steel). Circa l'opposizione morfologica tra i sostantivi assier, metalh e l'aggettivo (unico apparentemente regolare) fortz, vedi Nota ai testi e, per la grafia -lh, n. 440-441.
310. Maystria quadrisillabo è richiesto dalla misura del verso e si accorda con la teoria (Leys, ed. ANGLADE, II, p. 49, su cui JEANROY, HLF, p. 68) e la prassi poetica dell'epoca (per Riquier, cf. ad es. Decl., v. 284: «Donc silh c'an maistria» e poi N'At, pp. XXI-XXII dove si segnala il fatto tra gli usi propri di R; RCornet, Gloza, v. 8 e passim). La locuzione per m. registrata in LEVY, SW V, p. 11 n. 5 (con citazione del presente passo).
312-313. Per partir / voler e pessamens, cf. ERNST, 8, 77: «E qui de ser / part son voler / fugen, / greu cobra pueis el dia [...]» (trad. a p. 342: «wankelmütig ist», e cf. n. a pp. 378-9: part son voler «er teilt seinen Willen [...] er ist wankelmütig, er weiß nicht was er will, er kommt nicht zur Ausführung seines Vorsatzes (?)», quindi 'essere indeciso, essere preso da desideri opposti', il che risulta adeguato anche al presente contesto). Ib. il rimando a GFaidit, 65, 56 «S'om pogues partir son voler», «wo die genaue Bedeutung ebenfalls zweifelhaft ist».
315-316. Tra gli esempi affastellati da DAMMANN (pp. 51-52) per il motivo del colp de plazer, v. in particolare PGuillem, p. 247, 31-33 («Per cai dreg lansa son cairel, / Ni·l colp que fier per qu'es tan bel / que ja·l nafrat non vol guerir»). Nel v. 316, si assiste alla terza replica del secondo emistichio del v. 12 della canzone (nessun segnale nel manoscritto).
319. PFAFF nom (da nō): il tipo di abbreviazione è quello comune per -n, anche se la mancanza di una rigida regolamentazione all'interno di R può lasciare un margine di dubbio sull'univocità della scelta operata (cf. la precedente n. 117, e MÖLK, cansos, V 22, p. 38 per il riproponimento di analoga alternativa nei codici C ed R). Ragioni contestuali specifiche non aiutano, nel presente caso, a risolvere la pur minima questione: se verso la labiale m attira la costante presenza del riflessivo di Ia p. in adiacenza del verbo caler (Exp., vv. 72, 182, 383, 462), a favore della n gioca la pur diffusa tendenza ad abbondare nell'uso della particella specificativa en < INDE (se non si tratta, in ultima analisi, della semplice negazione piena, non, meno usuale però davanti a consonante che davanti a vocale).
320. Il pentasillabismo di declaratïo appare confermato da numerosi raffronti (qui oltre v. 942, poi espozisïo, espozitïos in Test., vv. 4-12, e suplicatïon in Decl., v. 55; v. anche N'At, I 1269 supplicatïos).
323. PFAFF, prima di noi, ripristinava i retti confini della «zona a inchiostro rosso» (non tutto il verso, ma solo lansa dreg riproduce la lettera della canzone).
324. a tot pleg «à chaque coup» (LEVY, PD s.v. pleg; cf. citazione del passo in RAYNOUARD, Lexique, IV 562). Notare il ribadimento parzialmente ripetitivo dell'asserto nel successivo v. 325 (totas vetz), a sua volta convalidato a v. 326 dalla locuzione di segno opposto a lunh for (su cui cf. nota seguente).
326. PFAFF pecca lunh for, ma la tipicità del costrutto con a ci ha indotto ad operare la qui presente segmentazione: cf. ad es. MÖLK, cansos, XXVII 31-32 («Quar a lunh for en ren, qu'a mi convenha, / No puesc peccar [...]»), Suppl., v. 821, e qui avanti a v. 443 per nulh for. Per se peccar in quanto «manquer le but», v. anche l'analogo contesto di PGuillem, p. 246, v. 46 «que no·s peca cant vol ferir» (altri ess. in LEVY, SW VI, p. 170 n. 5).
330. Sull'identificazione delle «sajetas de grat / d'aur» pare non sussistano dubbi, stando all'esplicita chiosa riquieriana (qui di seguito, vv. 330-345); per quanto attiene in genere alla triplice metafora dei dartz, sia nel suo utilizzo calansoniano all'interno di Celeis cui am (che a noi risulta il primo) sia nei riflessi posteriori e sconfinanti dall'oc, cf. il nostro contributo Le tre frecce d'amore nella canzone allegorica di G.d.C. 'Celeis cui am', ecc., in «Actes du premier Congrès international de l'«Association Internationale d'Études Occitanes» (Southampton, agosto 1984), Westfield, 1987, pp. 157-170.
332. a per ver = 'ha, in verità', con la solita zeppa asseverativa, oppure 'ritiene veri', se aver per = tener per (cf. n. 254-6): l'infidità delle estrinsecazioni di benevolenza fa propendere per questa seconda interpretazione, anche se la prima risulta più immediatamente recepibile al livello morfo-sintattico.
335. PFAFF si dons, ma a v. 221 sidons: adottiamo in ambo le ricorrenze la più comune scrizione congiunta, anche se nel ms. i due elementi costitutivi appaiono separati da un netto stacco nell'uno e nell'altro luogo. L'opportunità di procedere a scelte comunque uniformi nella prassi editoriale viene sottolineata, proprio a questo proposito, in CROPP (p. 35 n. 64).
336. Per que consecutivo in assenza di antecedente, cf. le osservazioni di RONCAGLIA, p. 222 n. 3 (altri casi qui avanti, ai vv. 336, 338 e 514).
339. «Frecce di parole» per quanto di segno opposto (non benevole, quindi, ma aspramente reprobanti) si ritrovano in PFAFF LXX, vv. 93 ss. dove bel parlars scaglia contro gli amanti indegni «[...] sagedas afinadas / de paraulas atessaradas, / tant que negus nol pot gandir» (l'ultimo v. citato potrebbe costituire un'eco calansoniana: cf. canz., v. 11; a v. 95 PFAFF segmenta, inauditamente, «Etrassa getas»).
348. Inizia di qui la nostra divergenza di numerazione dei vv. rispetto a PFAFF, il quale lascia il verso su due righi (riproducendo in ciò l'assetto scrittorio di R, dove appunto si va a capo dopo dart).
350-351. L'uso dell'articolo partitivo per introdurre il complemento di materia (del plom) risponde a un uso diffuso in a. prov. come nel romanzo medievale in genere (Deux mss., p. 171 n. 2). Notare alla rima la coppia di Nom. Sg. rispettivamente Masch. (acabamen) e Femm. (plazen, attributo dell'appena citato, al caso Obl., amor).
353-354. Stesso uso impersonale di comparar (verbo tecnico della glossa: cf. Intr., n. 15) ai successivi vv. 607-608. Per fon (anche a v. 691, e cf. explicit nonché vv. 13 e 35 del Test.) l'ipotesi genetica più accreditata risulta quella esposta in GRÄFSTROM, Morphologie, § 66 (per agglutinazione di en<INDE); cf. ib. i rimandi ai sostenitori della origine «analogica» («a false restitution of an unstable n», come si dichiara «traditionally» in JENSEN, Provençal Philology, cit., p. 37).
355. Qui come ai successivi vv. 784 e 858, si tot introduce la proposizione concessiva, seguita dal più ricorrente modo indicativo; le citazioni di LEVY (SW VII, 647-8 n. 17) permettono peraltro di smussare l'affermazione di A.J. HENRICHSEN secondo cui il costrutto al congiuntivo ricorre soltanto «dans des cas extrêmement rares et dont l'interprétation est plus ou moins douteuse» (Du latin à l'ancien occitan: la proposition concessive, in «Mélanges [...] Boutière», cit., I, pp. 295-304, a p. 299).
Circa la s che segue, la proposta più comune è quella di identificarla nel dativus commodi (cf. ad es. N'At, p. 154, n. 1005, e il v. 858 dell'Exp.: si tot m'ay declarat); HENRICHSEN, art. cit., p. 299 n. 8 definisce genericamente sitot si «une forme plus développée» della congiunzione si tot (con rimando al contesto di Perdigon, VIII 12-5 dove in effetti il riflessivo di la p. segue si: «sitot si·m venz folors»).
358-359. Come suggerito dal secondo termine della dittologia (purgar), qui afinar = 'purificare, raffinare', nell'accezione semitecnica contemplata in RAYNOUARD, Lexique III, 333 n. 5 («épurer, affiner, aiguiser»); altrettanto evidente (in particolare per l'afinars del v. 364) la voluta ambiguità semantica tra «raffinare, assottigliare» e «consumare, distruggere, portare a termine» (cf. DAMMANN, p. 55, n. 1, e Deux mss., XXXI 27 e n. a p. 243; si potrà aggiungere SANSONE, Testi, I 89 dove però prevale l'aspetto «distruttivo» dell'«affinamento» operato da Amore).
362. In finale di verso, si situa il verbo vicario (rispetto a valrian del precedente v. 361): ricorrenze di far in analoga posizione, a vv. 595 e 845 (per v. 753 cf. nota). In proposito v. i rimandi di APPEL, Gloss. (p. 253 s.v. faire) e quelli più generali di F. BRAMBILLA AGENO, Il verbo nell'italiano antico, Ricerche di sintassi, Milano-Napoli, 1964, p. 484 n. 3 (altre indicazioni, fra cui RAYNOUARD, Lexique III, p. 262, nella nota di Sordello, XXV 24, p. 256).
367 ss. Soggetto logico sarà Amors (poi ricorrente a v. 371): 'dunque la sua origine è veramente finalizzata al fait' (es per aquel). Subito dopo, viene recisamente affermato l'ineluttabile suo esaurirsi a breve scadenza (notare l'iterazione dei vv. 370-71: non pot-non pot, ulteriormente rafforzata a v. 372 dalla locuzione negativa per ren). Sul fondamento 'anti-cortese' di questo assioma-pilastro dell'Exp., cf. Intr. 3.3.1 (e App., n. 27).
377-378. L'integrazione di -s in doppia sede di rima creerebbe problemi «normalizzatori» anche a interno di verso (a 378: plom / -s? Cf. quanto già osservato in n. 154-156 e Nota ai testi). Menan e tenen si qualificano entrambi come participi presenti a valore aggettivale, ma solo per tenen è possibile un diretto rimando a LEVY, SW VIII, p. 142 n. 2 «Salbungsvoll» (cf. RAYNOUARD, Lexique, V 332: «fluant, visqueux»); che anche menan vada comunque riferito all'azione «depurante» e disincrostante del piombo (secondo quanto preavvisato a vv. 358 ss., e cf. Introd., n. 78) appare già desumibile dall'accezione «purgieren» attribuita al verbo menar in LEVY, SW V, p. 190 n. 6 (cf. anche FEW VI²-³, p. 102).
379-380. Cf. Intr., n. 78 già cit. Per quanto attiene al sostantivo negror, basti rilevare l'evidente traslato semantico (dalla etimologica «nerezza», da cui «macchia» e simili, ai metaforici «cupezza», «malinconia»): indicative anche le traduzioni di RAYNOUARD, Lexique, IV 311 («noirceur») e soprattutto LEVY, SW V, 383 («une noire douleur»). La parte finale del v. 379 è resa da PFAFF ques pren, ma se prendre (ricorrente qui avanti al v. 381) appare escluso dalla concomitante presenza del neutro oggettivale aiso (v. 380). Sull'uso transitivo del verbo esprendre, cf. RAYNOUARD, Lexique IV, 632 n. 34 (con citazione di RBerbezilh, IX 37: cf. ed. VARVARO, «C'aissi com cel que·l focs d'enfern espren», passo peraltro assai diffratto a livello di tradizione come dimostra ib. l'apparato critico) e LEVY, SW III, p. 277 (però avaro di riscontri).
381. Per tocar in quest'accezione, cf. LEVY, SW VIII, p. 252 n. 9 («berühren, sprechen von, erwähnen») e Test., n. 24.
canz. III, 18-19. Circa i problemi interpretativi posti da questo luogo della canzone nella versione di R, cf. Appendice 2 (e note 18-21). La nostra traduzione (in particolare relativamente all'espressione del v. 19) si avvale anche della parafrasi esplicativa dell'Exp. (che pare contemperare il significato generico di 'tempo' con quelli specifici di 'occasione' e forse di 'periodo, stagione': cf. anche la qui seguente n. 432-3).
canz. III, 20. PFAFF fasse, seguendo la lettera del codice; DAMMANN fai se (ma tale a noi risulta solo la ricitazione del v. data in Exp., v. 434).
canz. III, 21. Nel ms. ēpres (più avanti ricitazione a tutte lettere: v. 447 enpres); questi ed altri rari casi di n seguita da labiale sono stati uniformati ai più frequenti con m (Nota ai testi e n. 86).
389-390. Intendiamo 'eppure ci sono cose che non ritengo che sarebbero facilmente intelligibili (senza il mio intervento)': quindi e avversativa (cf. qui addietro a n. 166-7), uso di aver impersonale (n. 93), n < INDE (la particella va letta in positivo e non in negativo, se non si vuole vanificare quanto segue, e cioè la dichiarazione del volonteroso chiosatore, vv. 391-2), se pessar col dativus commodi (cf. più avanti a n. 700).
395. La perspicuità sintattica (data per scontata l'assunzione di Amors come soggetto sottinteso logico di tutto il periodo) è turbata soprattutto dal sintagma potenzialmente bivalente del v. 401 (d'esta meteis'amor), riferibile sia a son del precedente v. 400 (per eser de cf. n. 18; così intende ad es. la traduzione DAMMANN, p. 60, che rileva peraltro come Riquier finisca per parafrasare in modo più circostanziato e più goffo — «im umständlicher, schwerfälliger Weise» — quanto detto da Calanson) sia, come denota l'interpunzione PFAFF (che pone virgola a fine del v. 400), alla successiva triade verbale dei vv. 402-3 (cor-· s mou-s'aventura), in qualità di complemento di moto da luogo (v. citazione dubbiosa del presente contesto in LEVY, SW I, p. 376, nonché a p. 111 s.v. aventurar). La nostra proposta di traduzione cerca di mantenere il necessario equilibrio fra le varie componenti del lungo periodo (recuperando, rispetto a Pfaff, una qualche funzionalità all'altrimenti vago e pericolante v. 400, «estiers autres que son»): circa la potenziale identificazione degli «altri» piaceri d'origine amorosa che, unici al mondo, riuscirebbero a subissare azautz, viene spontaneo il rimando ai dardi aurei da poco citati (vv. 330 ss.).
404. PFAFF risolve il titulus nella più comune -n (con): cf. quanto annotato al v. 117.
405-406. L'accoppiamento delle due affricate — palatale, con -g normale sbocco grafico del nesso -KT- (Gavaudan, pp. 124 h e 128 i) e dentale (oblitz) — può dipendere da una svista scrittoria e insieme, fatto usuale nel nostro testo, morfologica (al v. 405 sarebbe più proprio l'uso del Nom. Sg.: gautz-ditz, ma l'estensione dell'Obl. risale al v. 402 aquel plazer, infinito sostantivato provvisto di determinante asigmatico: cf. Nota ai testi, n. 3 e qui addietro n. 2). Sono comunque interessanti le osservazioni di GRÄFSTROM, Graphie, pp. 198-203 circa l'evoluzione (in parte almeno del dominio d'oc) di -ch- ([tš]<-KT-) a [ts], che unita alla distribuzione solitamente irregolare della -s morfemica conduce a confusioni (assai probabilmente non solo grafiche) dei tipi FAIT(A)-FACH(A).
406. Sulle costruzioni di oblidar (personale e, come qui, impersonale) ampie informazioni dà S. STROŃSKI, nell'ed. di EBarjols, pp. 73-4 con rimandi a numerosi altri luoghi trobadorici; per quanto attiene all'opera di Riquier, cf. PFAFF LXXXIII, 26-27 «E no m'oblida ies, / ni vuelh, c'a luy oblit».
409. PFAFF comensamen.
410. Per la diffusa alternanza tro / tro a (qui a v. 300 tro al cor) cf. N'At, pp. 148-9, n. 145, e GRÄFSTROM, Morphologie, § 74, pp. 152-3.
414-415. Il punto di riferimento è certo costituito dalla sezione di commento relativa alla I cobla calansoniana (cf. qui addietro, ai vv. 223 ss.).
419. PFAFF pot. Nonostante la tendenziale sovrapponibilità delle lettere c e t, a noi pare più sicura, nel presente caso, la lettura c (v. per eventuali riscontri le grafie di pot a 315, 369, ecc.); scelta, del resto, confortata da una per quanto approssimativa statistica sugli usi sintattico-verbali dell'Exp. (che risulta preferire, per gli enunciati apprezzativi su autore ed opera chiosata, i tempi del passato rispetto a quelli del presente: cf. a titolo d'esempio i vv. 214-215: «Al mieu semblan vertat / dis», 234-5: «El meteys declarat / ho a pro», 270-271: «el dis ses mentir / so», ecc., per lo più in stretta adiacenza dei versi calansoniani inseriti).
422. Il dubbio statuto morfologico verbale di elegis può essere risolto o identificando in tale forma (Ind. pr., 3. p.) un esempio della nota tendenza «de ramener à la forme inchoative tous ou presque tous les verbes en -ir» (Deux mss., p. 170; BRUNEL, Chartes, pp. XL-XLVIII e v. anche nella stessa Exp. a v. 708 falhis/falh passim, ecc.), oppure leggendo, previa diversa segmentazione, elegi ssola (ottenendo quindi un normale Pf. in -i, 3. p.; per analoghi raddoppiamenti grafici della consonante iniziale, segnalati in GRÄFSTROM, Graphie, § 78 p. 238, cf. canz. III, 20 in apparato e App. 1, n. 13). Va però notato che al presente contesto il Pf. si addice in misura decisamente minore rispetto al Pres. Ind. e ciò rende scarsamente funzionali ulteriori congetture in questa direzione (esistono anche Pf. in -s, analogici su dis: BRUNEL, Chartes, p. XLV).
423. Ellissi di que, come d'uso dopo verba sentiendi, di opportunità e simili (PELLEGRINI, p. 300, Gavaudan, pp. 150-151); superflua la virgola introdotta da PFAFF dopo par. Rientra nella norma anche l'adozione del modo indicativo per il verbo della subordinata (cf. qui addietro la nostra nota ai vv. 168-9).
424. PFAFF sol', ma non necessaria l'elisione data l'esistenza dell'avverbio sol (LEVY, SW VII, 763-4 n. 7; cf. CRESCINI, Gloss., ecc.).
432-433. PFAFF Qu'entre, que con impropria interpunzione già segnalata in DAMMANN, p. 58, n. 3. Per entre / -o que «jusqu'à ce que» (B.-K., Gloss.), v. anche qui avanti al v. 527 (e nota relativa). Brieu = «Kraft, Macht, Wert» (MÖLK, Index), «poder, dominio» (OROZ, p. 236, n. a 26,15), oltre che «espace de temps» (Flamenca, Gloss.). Contesti particolarmente indicativi, dati ad es., per l'opera riquieriana, da canso, IV, 5 («[...] a qui falh sos brius») e vers, III 35 («de que·l brius l'es tost falhitz»), portano a far supporre una certa interscambiabilità dei sostantivi temps e brius medesimi (cf. qui addietro nota a canz. III, vv. 18-19).
435. per dever «come si conviene, com'è giusto, a ragione» (Sordello, XLIII 98 e Gloss.; cf. FMarseille, p. 220 «à bon droit», ripreso anche in BERTOLUCCI, Declaratio, p. 119 n. 239). L'espressione (che torna al successivo v. 628 dell'Exp.) forse suggerita a Riquier dal medesimo testo calansoniano, v. 17 («per son dever»: cf. la traduzione RAYNOUARD, Lexique III, 36 n. 3 «à cause de sa dignité», e LEVY, SW II, 194).
440-441. Dal punto di vista morfologico, i vari soggetti che compongono la doppiamente antinomica enumerazione, tutti convergenti del resto nella forma verbale auza (Ind. Pres. 3.), possono essere ricondotti ad altrettanti Nom. Sg. Masch.: per l'unico «irregolare» (l'isolato vielh) proposta di integrare -s già in LEVY, SW III, p. 376 n. 4 (da rilevare la discreta ricorrenza di forme a finale palatalizzata e asigmatica nell'Exp., da 161 nulh a 309 metalh, a 517 perilh, ecc., tutti indubbi Nom. Sg.: reazione alla tendenza depalatalizzante di [l~] seguita da -s, su cui v. GRÄFSTROM, Graphie, p. 211 e nota 3?). A v. 441 in rima, PFAFF ten (assente in R ogni segnale di nasalizzazione, come per l'accoppiato re del v. prec; cf. rettifica in LEVY, SW III, l. cit).
443-444. «Um keinen Preis lasse sich Minne bei irgend einem abweisen» (DAMMANN, p. 59), quindi fadiar = «éprouver un refus» (LEVY, PD s.v., cf. SW III, 376 n. 4 fadiar = repulsam pati, con citazione del qui presente contesto nonché di cansos XXVII 35 «Ez a poder tal, qu'en ren no·s fadia», Gloss. s.v. = «versagen»): sempre riferito alle incombenti frustrazioni del rapporto amoroso il ricorrere del verbo in MELLI, Dompna, v. 92 «mas trop mi vueill mais fadiar / que·m des ço que pueis mi tollatz» (cf. traduz. a p. 92). En degus: sulla normalità del complemento circostanziale introdotto da en, cf. i su citati ess. da LEVY e MÖLK; degus (per cui pure LEVY, l. cit., propone espunzione di -s) potrebbe identificarsi sia in 'quanto è dovuto' al dio sia nella nota forma dissimilata da negun(s), nel senso che Amore «non tollera rifiuti da parte di chicchessia».
447-448. Presumibile il riferimento ai precedenti vv. 395 ss.; sul valore semantico di empres cf. le precisazioni già apportate (Postilla alla traduzione d).
456 ss. La sintassi retoricamente sostenuta del periodo non aiuta a diagnosticare come certe possibili anomalie morfo-nominali: per quanto infatti be del v. 456 richieda -s in quanto Nom. Sg. (soggetto di sembla del v. 460), non risulta nemmeno improprio ammettere per esso un incrocio delle funzioni di soggetto ed oggetto (rispetto a l'amaires n'a, v. 454), in parallelo con l'acabamen di v. 452: per analoghi fenomeni anticipatori, alquanto comuni nella lirica trobadorica a scopo evidentemente enfatizzante, cf. PRTolosa, p. 11 n. 41-43. Si noti anche l'alternanza gautz e bes (v. 455) / mal (v. 460), in identica connessione al verbo semblar ( cf. APPEL, Gloss. s.v. semblar).
Sulla topicità del motivo in area trobadorica (si tratta di una delle antitesi più scontate ed insieme di più svariato utilizzo) si soffermano tra gli altri BEC (p. 114: «les concepts de bien et de mal sont souvent ambigus», e cf. passim) e KÖHLER (p. 119: «Solo nell'amore si risolvono le antinomie, anzi il vero significato dell'amore consiste nella sua funzione di comporre be e mal in una superiore unità»); altre indicazioni in Appendice, n. 35.
458-459. PFAFF poneva virgola a fine v. 458, ma deziran regge la cauta perifrasi che segue, naturalmente riferibile ad aquelh fatz causa immediata dell’afinars dell'amore (vv. 364 ss.: cf. i riscontri effettuati alla nota 358-9).
464. PFAFF es defen e combat.
465. La lezione di R, evidentemente erronea (a conferma della facilità di scambio fra i due sostantivi, cf. l'analoga confusione in cui incorrono due mss. di Celeis cui am, I e K, che al v. 21 in corrispondenza dell’azaut calansoniano riportano ausat), si ripeterà al v. 763; da notare il discontinuo atteggiamento ecdotico di PFAFF (qui emenda: l'azautz, più avanti invece riproduce la lettera del codice: lauzatz), nonché la proposta LEVY (circoscritta, viceversa, al contesto dell'attuale v. 763: SW I, p. 107 s.v. auzat, con riferimento alla ivi discussa precedente registrazione del RAYNOUARD, Lexique II, p. 151 n. 4 s.v. ausat «hardiesse»). Per riscontri motivali nella letteratura occitana coeva, rimandiamo al solito Breviari, vv. 28585 ss. (zona dedicata appunto a spiegare la nascita di Amore «per azaut»), a PGuillem, p. 249 vv. 23-25 (in coppia antitetica con desasaut: cf. Sordello, XLIII 1143-1144), a Flamenca, 6063, 7236, 7323 e passim e a GBerguedà, Glossario; in specifico su Riquier, cf. MÖLK, cansos, p. 102 n. 9.
466-467. La lieve incongruenza rimica è con probabilità da circoscrivere all'ambito grafico: sull'equivalenza dentale-affricata caratteristica del Languedoc cf. ADaniel, II, 12,41, pp. 737 ss. (l'isoglossa della riduzione tz>t risulta «un sigillo tangibile che l'origine limosina ha lasciato in eredità alla produzione trobadorica successiva»). Per altri esempi riquieriani cf. qui oltre vv. 696-7 e Decl., 265-266.
A v. 466 la misura del verso impone continuat quadrisillabo. (Addenda)
467. PFAFF Que s'a gaug comparatz, con segmentazione evidentemente insostenibile (cf. DAMMANN, p. 62 n. 2).
470. Defendre — «faire résistance» (LEVY, PD; cf. SW II, pp. 40-41, n. 2) — e combatre hanno naturalmente per soggetto Amor citato, in quanto caso indiretto, al v. 469. Le azioni in cui tali verbi trovano analitica descrizione nell’Exp. (vv. 470-75) sembrano però attagliarsi altrettanto bene ai due protagonisti del rapporto amoroso, vale a dire dama (difesa) e amante (attacco): cf. DAMMANN, pp. 63-5 (anche per un verosimile allargamento dell'interpretazione, posta la canonica guerra contro gilos, lauzenjadors e malparliers del tipo ad es. descritto nel Chastel dAmors).
471. Gerundi concomitanti anche in PFAFF, LXXVIII 205-208 («Pauc e pauc, so sapchatz, / Despenden, alongan, / Serven e refrescan, / Montan totas sazos [...]») e altrove (si tratta di un espediente enumerativo di normale utilizzo in area trobadorica: cf. i rimandi ai luoghi calansoniani forniti in ERNST, p. 365 n. 12, e inoltre PRTolosa, VI 29-30 e n. a p. 43; Sordello, II 28, III 21-22 ecc.).
473. huīlian (PFAFF humelian); necessaria la dieresi se si vuole evitare ipometria (per ess. del genere in R, v. N'At, p. XXI). L'uso assoluto di humiliar con valore riflessivo (anche «être soumis, obéir» e simili: RAYNOUARD, Lexique III, p. 548) è bene attestato in a.prov. (LEVY, SW VIII, p. 536 s.v. u-, n. 7 part. umilian: «sich demütigend, demütig»).
477. Integrazione assicurata dalla precedente ricorrenza del verso calansoniano (canz., III 24) a sua volta confortata dall'unanimità dei testimoni di Celeis cui am. Si tratta, del resto, di coppia stereotipa in ambito didattico-moraleggiante: v. almeno Breviari, vv. 30790 ss. («Mais deu doncs voler fezeutat / no fai paratje ni rictat / domna en son entendedor [...]»), e la variatio parziale attestata ad es. in PRTolosa, XIV 25 («De paratge no suy ni de ricor»).
480-481. La coppia antitetica, all'interno della quale maneira rappresenta un adeguato sostitutivo della calansoniana razo (richiamata essa stessa più volte all'interno dell'Exp.: cf. Introduz., n. 65) tornerà con perfetta identità di termini ai vv. 757-758 (preceduti, vv. 755-756, dal pertinente rimando alla cobla premieira già effettuato qui, vv. 478-479).
483-485. La nostra punteggiatura, opposta a quella di PFAFF (due punti in fondo a v. 483, punto al termine di v. 485) vuole evidenziare quelli che a noi risultano due distinti momenti dell'infratesto glossatorio: mentre i vv. 482-3, cioè, funzionano da chiusa moraleggiante e autodifensiva di quanto appena esposto, i susseguenti vv. 484-7 rientrano nella serie delle vere e proprie transitiones fra canzone e commento (cf. il tentativo di formalizzazione avviato in Intr., 1.2 e note).
canz. IV, 26-27. Cfr. Appendice, 2 (nn. 22-27) per tutto quanto attiene alla peculiare lezione di R (e relativa interpretabilità all'interno del contesto espositivo).
canz. IV, 29. PFAFF lens, unico a mantenere fedeltà al manoscritto di contro a B.-K., nonché DAMMANN (a quanto si può arguire dall'apparato, legge les) e JEANROY (idem). L'isolamento di lens all'interno della tradizione di Celeis cui am (cf. Appendice 1) non esclude che tale risulti, con ogni evidenza, la lezione di R² (netta visibilità del segno di nasalizzazione sopra la e), accolta dallo stesso Riquier come dimostrano le successive ricomparse del termine all'interno dell'Exp., vv. 555 (tutte lettere, rima con es < ĒST e pes< PĒNSO) e 563 (:greumēs).
Si tratterà, insomma, di un travalicamento iperetimologizzante della già elastica regolamentazione di rima tra vocali orali e vocali nasali (per altri esempi relativi al nostro testo, cf. qui addietro nota a vv. 280-281).
canz. IV, 30. E, a inizio di v., rientra fra le lezioni caratteristiche del «gruppo g»; non accolta dagli editori moderni (cf. Appendice 1, n. 6).
canz. IV, 31. Integrazione confortata dalla totale tradizione manoscritta (a parte l'evidente svista di C, quar li fols); cf. poi qui avanti, Exp., v. 581 dove compare appunto fals. Si tratta, naturalmente, dei «félons» (NELLI-LAVAUD) o «déloyaux» in amore (JUNG), che esclusi inesorabilmente dal palais vengono rigettati nel ghetto del barri (Exp., vv. 499 ss. e Introduz., 3.3).
490. Trobi (anche a vv. 788, 806 / truep 557): se l'alternanza -i/Ø per il morfema verbale di I. p. Ind. pr. è normale per l'a. prov. in genere (CRESCINI, p. 108, PELLEGRINI, p. 223; cf. Leys, III, pp. 148 ss.), la localizzazione statisticamente più diffusa (Tolosano-Albigese-Quercy-Rouergue, quale risulta dai sondaggi documentali di GRÄFSTROM, Morphologie, pp. 110-117; cf. anche M. PFISTER, Harmonisierungserscheinungen im Altprovenzalischen, in «Vox Romanica», 29/1, 1970, pp. 57-77, a pp. 73 ss.) è la solita verso cui convergono le caratteristiche scrittorie e linguistiche di R (Gavaudan, p. 323 e MARSHALL, p. LXV n. 37; nel corpus riquieriano, cf. almeno vers IV 46 e XI 12, 14). (Addenda)
492-493. S'adonar en risulta abbastanza insolito rispetto ad altri costrutti (più documentata l'iterazione dell'a prefissale, anche in PFAFF LXIX 8: «C'a far totz honratz faitz s'adona», e RAYNOUARD, Lexique III, 11 oltre ai Glossari di CRESCINI e B.-K.): cf. però Deux mss., XXII (RCornet, Ab tot mo sen), vv. 18-19: «quan s'es adonatz / en als pessar [...]».
495. Vuelh può sussistere sia con valore di verbo ausiliario (come in Suppl., p. 84 n. 79, e cf. GBerguedà, Gloss. s.v. voler) che come elemento della nota perifrasi indicante futuro imminente (RBerbezilh, p. 127 n. 5, con rimando al SW, VIII 823, n. 21; cf. anche la qui precedente n. 60-61 e Postilla alla traduzione a).
496 ss. Enumerazione dei portals (su cui v. Introd., § 3.2.2.; le citazioni susseguenti da Dompna, vos m'aves et Amors sempre secondo l'ed. MELLI). Per quanto riguarda il primo «portale», corrispondente al pavido stato di feigneres tratteggiato dall'anonimo (MELLI, vv. 103-6), da rilevare una differenza significativa: l'Exp. contempla infatti, sia pure con cautela e in via alternativa, il ricorso a «ditz mot doptans» (v. 498), apparentemente esclusi dal domnejaire (v. 105: «non l'auza razonar»); cf. peraltro ib. la compresenza del verbo corteiar (v. 104, tradotto dallo stesso MELLI, p. 94, con «presentare gli ossequi»).
501. Il verbo aizinar (da B.-K., Gloss., tradotto «se contenir») va assunto in figura etimologica col pur distanziato sostantivo aizina (v. 513: cf. in nota n. 83 dell'Intr. il rimando al volume di SMITH che indaga esaustivamente circa l'uso e abuso di tali figure di stile nella letteratura d'oc).
Circa l'innegabile parentela etimologica dei due vocaboli, basti il rimando a FEW I, pp. 31 ss., s.v. ADJACENS (a. prov. aizinar «arranger, accommoder» — aizina «commodité»; v. anche prov. mod. eisina «préparer, ajuster», rifl. «s'arranger», ecc.). Come confermano le attestazioni più o meno coeve (SANSONE, Testi, Gloss. s.v. aizinar «adoperarsi», PCardenal LXXXI 1 «accommoder», ecc.), anche nel presente contesto aizinar risulterà indicativo di comportamento genericamente accorto e tempestivo (in cui è certo implicito quel selar probabilmente sotteso alla traduzione di B.-K., peraltro apertamente messo in causa al successivo v. 502).
502-503. L'importanza del celar all'interno della fin'amors è troppo nota per necessitare di commenti (rimandiamo al solito NELLI, Érotique, pp. 180 ss. nonché alla nota di PASERO in Guglielmo IX, p. 237 n. 39 sulle ascendenze feudali e letterarie). Risulta quasi sorprendente la mancata menzione del motivo nel canone del domnejaire più volte citato (controbilanciata dalla sistematica trattazione del Breviari, vv. 33481-33528: De decelar).
504. Trop = «très» (qui come più avanti, ai vv. 524 e 717): cf. Guglielmo IX, p. 53 n. 9 (con rimando ad APPEL, Chrest. e Gloss.), S.-G., § 183, ecc.; non sempre facile distinguere tra quest'accezione e quella, pure attestata, di 'troppo' (come dimostrano gli stessi rimandi al corpus calansoniano dati nel Gloss. di Ernst, s.v. trop 'sehr' e 'zuviel', 'zusehr').
506. Secondo portale o del prejador (Dompna, vv. 107-110: «e s'ella li fai tan d'onor / qu'ella li cresc'ardit maior, / que·l aus dir sa franca clamor, / pregaires en es devengatz»).
A v. 506 B.-.K. segons, stante la sistematica opera di normalizzazione morfologica attuata in tutto il brano edito (che corrisponde alla IV cobla calansoniana ed alla relativa porzione di Exp. = canz. 25-32 ed Exp., 488-614 secondo nostra numerazione).
507. Sul prec come «domanda amorosa», cf. ADaniel, II, p. 382; il plurale (precx) richiederebbe l'integrazione di -s per umil (effettuata in B.-K. e LEVY, SW VI, p. 231 n. 5 s.v. percebre, perceubut «klug, verständig»; cf. RAYNOUARD, Lexique, II 278 che traduce «distingué par humble prière»). In DAMMANN, p. 68, «umil precx perceubutz» (omissione della d' iniziale per presumibile svista tipografica).
508-509. La cronica mancanza di soggetti espliciti non rende sempre univoca l'interpretabilità dei vari segmenti sintattici: qui pare comunque logico ammettere a soggetto della proposizione (finale o desiderativa: cf. PRTolosa, II 28-29, nota a p. 10) l'amante-visitatore del palais che risulta agente a partire dal v. 496 (sia pure a livello spesso implicito). Retener, vocabolo di provata origine feudale, si qualifica verbo pregnante del lessico cortese e trobadorico (cf. G.M. CROPP, L'a. prov. 'retener': son sens et son emploi dans la poésie des troubadours, in «Mélanges [...] Rostaing» cit., vol. I, Liège, 1974, pp. 179-200 e inoltre RBerbezilh, p. 154, n. a IV 6, Guglielmo IX, p. 235 n. 33, ADaniel II, p. 257, n. a vv. 46-7). Cf. la parafrasi del passo data da AKEHURST, Les étapes de l'amour, cit., p. 135 («[...] acceptation en tant qu'homme retengutz»), nonché Dompna, v. 111 («e s'il reten tant en preian», con dislocazione del retener al medesimo livello della «scala»).
517. B.-K. perilhs (cf. quanto annotato supra, n. 506). Terzo e ultimo richiamo alla generica pericolosità del varco (cf. ai qui precedenti vv. 504-5 e 510-11), cui seguirà il ben più circostanziato monito circa il quarto e penultimo portal (vv. 520-23). Il rischio comunque sotteso ad ogni imponderato avanzamento viene espresso chiaramente in Dompna, vv. 92-3: «mas trop mi vueill mais fadiar / que·m des ço que pueis mi tollatz» (per fadiar «soffrire un rifiuto», come tradotto da MELLI ib., p. 92, cf. la precedente nota n. 443-4), e rientra nel canone «classico» della fin'amors (NELLI, Érotique, pp. 183-191 e passim).
518-519. Quarto stadio, penultimo per Riquier (cf. i vv. 524 ss. relativi al faitz) e ultimo per l'anonimo compilatore (Dompna, vv. 115-118, dove sono un po' sbrigativamente contemplati insieme «bacio» e «fatto»: «e s'am son fin entendedor / e·l plaz que·l don baisan s'amor / ni·l colc ab si sotz cobertor / a drut es pueis aordenatz»). Cf. qui oltre Appendice, n. 27 per il riepilogo della problematica.
523-524. B.-K. leu, coerentemente alla linea «normalizzatrice» attuata (cf. la nostra nota n. 506), ma data la tipicità del dittongo da É aperta in adiacenza di -U (RONJAT, I, pp. 149 ss.: le testimonianze si infittiscono proprio attorno al sec. XIII; per il cod. R, cf. N'At, p. XVII e Gavaudan, pp. 123-7) sarebbe parimenti lecito riconoscere in greu un residuo normalizzato da originario iperoitanismo grafico (cf. le annotazioni di PASERO in Guglielmo IX, p. 336, 13.1. e inoltre AMareuil, Ensenhamen, p. 26, n. a vv. 209-210).
A v. 524 B.-K. .V. [es] trop greu (con punto a fine v., poi a fine v. 527 dopo passatz), il che sintatticamente risulta abbastanza sforzato. L'ipometria d'altronde può essere solo apparente, data la potenziale polivalenza della cifra numerica ( quint, ma anche cinquen, se non, latinamente, quintum: cf. APPEL, p. XIII e BRUNEL, Chartes, Supplém., p. XIX). ( Addenda)
527. Oltre a far virgola dopo entro (cf. n. 432), PFAFF pausava con il punto a fine v. 527 (seguito fin qui da B.-K.: cf. la nostra n. prec), poi considerava un insieme periodale compatto i vv. 528-32 (da B.-K. ulteriormente suddivisi con punto a fine del v. 529; cf. a v. 528 E'n - ? -). Il nostro tentativo di reinterpretazione ha indotto ad alcune modifiche, in quanto è sembrato necessario porre una decisa pausa tra i vv. 524-29 (prima sommaria definizione del portal; al v. 529 o = pronome dimostrativo pleonastico riferito al «.v. trop greu» del v. 524) e 530-33 (ricapitolazione riassuntiva sul palais, seguita a 534 ss. da ulteriori specifiche chiose relative ai portals). L'interpunzione Pfaff rischia tra l'altro di istituire un collegamento tra «quinto portale» e «palazzo» assolutamente inaccettabile, stante la reiterata identificazione del palais nella persona amada (vv. 489-93, 530-33).
530-531. Il trattamento scrittorio riservato a questi due versi (inchiostro rosso: cf. App. 1, n. 3) risulta improprio in quanto essi non corrispondono ad una diretta ricitazione della canzone (per altri casi analoghi cf. qui avanti a cominciare dal vicino v. 534, e Introduzione, n. 14). Da rilevare che tali aporie possono avere riflessi di natura editoriale, come mostra nel presente caso la caratterizzazione tipografica adottata sia da PFAFF (spaziato) che B.-K. (corsivo).
532. PFAFF El sert (come da ms.), ma l'emenda di B.-K. es sert ci trova in questo caso consenzienti per l'ardua sostenibilità del testo tràdito (assai poco credibili congetture tipo sert < SERVIT, oppure s'ert in qualità di futuro 3. di 'esser', poiché l'elemento verbale che connette allegoria e relativa allegoresi è indiscutibilmente, con abbondanza di attestazioni, l'Ind. pres. del medesimo ausiliare: cf. poco avanti ai vv. 534-5, e qui addietro vv. 311-312, 330-31, 344-45, 349-50, 489-91 e passim). A livello paleografico, el può costituire del resto una risposta congetturale alla contestuale degeminazione di s: es sert → e sert → el sert (cf. a v. 247 presumibile attestazione della fase centrale).
534. Lettura non sicurissima in R: Ele opp. Els? PFAFF Els. .V. portals, B.-K. e·l cinc portal (in apparato la lezione del ms., identica a quanto stampa Pfaff).
Circa la sigmaticità del Nom.Pl. portals (che riflette l'originaria enunciazione del vocabolo in canz., IV, 26) potrà esser tenuta in conto la posposizione del soggetto al verbo (l'impersonale a); lo stesso dicasi per canz., 34 taulier (Nom.Sg.) e 37 poinz (nonché, forse, 13 ausberc: cf. nota relativa). Per l'irregolarità tecnico-scrittoria (uso di inchiostro rosso per un verso che non costituisce citazione diretta dalla canzone), v. la precedente n. 530-31.
541-543. Ab que «wenn auch» (cf. la nota di Appendice, n. 26 per l'erronea interpretazione di Dammann), seguita dal verbo al modo congiuntivo (come in vers, VIII 31: «ab que·l nostr'estamens se mut», trad. 'purché la nostra condizione si muti'). A 542 B.-K. pels.
545. Interpretiamo lo in qualità di pron. pers. obliquo retto da convenir (LEVY, SW I, p. 351 e ss.), previa l'attestata confluenza delle forme «indirette» (in questo caso li) nelle «dirette» (GRÄFSTROM, Morphologie, p. 61 n. 2 segnala l'antica ricorrenza del fenomeno nelle carte tolosane e di regioni finitime).
547. Il rimando compete direttamente ai vv. 524 ss., ma si tratta di uno degli elementi cardine dell'«anticortesia» riquieriana: cf. già ai vv. 371 ss. («c'Amors non pot passar / per ren part son dezir / complit»), con i rimandi effettuati ib., n. 367.
549. B.-K. fanno seguire a ver, in finale, i due punti, riferendo quindi la clausola elogiativa al susseguente v. 550 (= canz., 28); a noi pare invece da preferire il punto (già in PFAFF), per i motivi che esponiamo qui avanti alla nota 566-567.
550. B.-K. viu.
553. Per dezanar transitivo «abbandonare, venire meno a» cf. LEVY, SW II, 213 nn. 3-4, con varia esemplificazione (a cominciare da Jaufre Rudel, 6,24 «Totz mos bos sabers mi desva»).
555. PFAFF mot lens, B.-K. mout les. A differenza della prima citazione a interno di cobla ( = canz. IV, 29), qui lens è a tutte lettere; la rima con es (del precedente v. 554) oltre che con pes (seguente) si somma alle altre di vocale orale con nasale ricorrenti nell'Exp. e del resto previste dalla prassi dell'epoca (cf. n. 280-281).
558. L'ambito semantico di benestan (che compare anche ai successivi vv. 672 e 785) è, come spesso in questa sfera di linguaggio poeticamente sublimato, determinabile con scarsa precisione (THIOLIER.MÉJEAN, pp. 83-4 nota la predilezione dei trovatori per i composti di ben, designati a «dépeindre des qualités très générales»); cf., in specifico per Riquier, il benessers di Suppl., v. 136 (nota a p. 86: «vocabolo composto da Guiraut medesimo [...] al modo dei numerosi composti da un prefisso avverbiale e da un infinito»).
562. PFAFF e B.-K. sufrirs. La facile supposizione del lapsus scrittorio non deve far dimenticare che «l'esito «voc. + s» da «voc. + rs» in posizione finale è galloromanzo comune, e di epoca alta» (Guglielmo IX, p. 353, con ampi rimandi all'oc ed all’oïl) se non addirittura tardolatino (come ricorda JENSEN, Provençal Philology, cit., p. 92; altri rimandi in ADaniel II, pp. 752 ss., e per le ricorrenze in R cf. N'At, pp. XXII e XXVIII). (Addenda)
563-565. La preferenzialità dell'accezione «glatt» («lisci», ma in quanto tali «scivolosi» ecc.) per l'aggettivo les < LĒNIS (già motivata in Parte I, Postilla a traduzione g), riceve qui conferma dal nesso chiaramente istituibile fra les ed elenegar: si tratta di una figura morfologica «per composizione», particolarmente ricercata (cf. Intr., n. 83 con rimando al volume di SMITH). La parentela etimologica è garantita in FEW 5, p. 249, s.v. LĒNIS, con rimandi al prov. (a. e mod.) (es)lenegar 'glisser', 'tomber', ecc. (cf. MISTRAL, II, p. 199 s.v. leguena, eslenga) ed al cat. allenegar, mod. llenegar 'gleiten'. Improponibile, quindi, la traduzione RAYNOUARD (Lexique II, p. 85, in riferimento al predetto contesto): «perdre haleine, s'épuiser» (cf. il rilevamento effettuato in LEVY, SW II, pp. 348-9).
564. PFAFF Tan quel, B.-K. tan que·i (app. quel).
566-567. Si è preferita qui l'interpunzione di PFAFF (punto a fine v. 567), contro quella adottata da B.-K. (due punti: cf. la precedente n. 549), in quanto risulta più soddisfacente assumere il segmento infratestuale in qualità di chiusa asseverativa della effettuata glossa (vv. 556-565) piuttosto che come prolettico della susseguente (vv. 569 ss.). A ciò induce tra l'altro la mancanza dei più comuni contrassegni anticipatori, quali il pronome neutro so (cf. viceversa ai vv. 270-71, 327, 579-80), l'avverbio may / mas «ancora» (vv. 536-7, 687-8, ecc.) e l'isomorfia all'opposto constatabile fra il presente passo e le espressioni conclusivo-ricapitolatorie ricorrenti ad es. a vv. 315-317, 346-7, 476 ecc. (dove è da notare invece l'impiego costante di aiso).
A v. 567, l'ovvia integrazione di -s in rima è già attuata da B.-K. (app. fe), ma non da PFAFF (fe): cf. BARTSCH, «Archiv», p. 145 per la segnalazione di queste ed altre incongruenze nel settore «non lirico» dell'opera di Riquier (v. anche qui oltre n. 591).
568 ss. La prima citazione di canz., 30 ha fatto ritenere lecita l'integrazione di -s per vila.
L'immagine stereotipa del «villano» ritorna ad es. in RCornet, Doctrinal, vv. 432-33 («vilas mal apres / als cals desplatz totz bes»), e prima in BCarbonel, Coblas, LVI 3-4 («[...] vilania / mou del vilan mal apres», che pare a sua volta, secondo quanto annota JEANROY ib., p. 185, «imitation littérale» di Marcabru). Quanto alle singole componenti dell'enumerazione aggettivale, esse riesumano in negativo quelli che risultano i tratti topici del cortese amante: dalla nozione di ensenhamen (cf. MONSON, pp. 126-7 per il suo indissolubile collegamento alla cortesia) al noirir (nella specifica accezione lumeggiata ad es. in Guglielmo IX, pp. 28-9, n. a I 16). Empachat (notare la figura compositiva «a distanza» con empag del successivo v. 577) si qualifica invece attributo di diretta pertinenza del vila («embarassé, maladroit, incapable»? queste le definizioni proposte in Jaufré, II, Gloss. p. 233 a proposito del v. 3447 dove e. pare però situarsi in rapporto di variazione sinonimica con enflat e plen de desmesura). Cf. il riepilogo delle principali accezioni desumibili dalle ricorrenze del termine nell'opera di Riquier che da MÖLK, Cansos, p. 31 n. 41.
572. per poder «con la forza» (DAMMANN, p. 76: «gewaltsam», idem LEVY, SW VI, 412 n. 13 dove l'accezione è però registrata in forma dubitativa), o anche «con sforzo, per quanto si sforzino» (= LEVY, PD, «autant qu'on peut, de toutes ses forces»: cf. SW VI, 412 n. 12).
574. B.-K. 'saiar: in effetti la forma a iniziale consonantica risulta in netta minoranza sia nell'a. prov. (LEVY, SW VII, p. 428 s.v. sajar riporta oltre al nostro un solo altro esempio certo) che nel galloromanzo in genere (FEW III, pp. 255-257 s.v. EXAGIUM: nessuna registrazione per a. prov. s- contro a quelle di ass-ens-essayar). Per assaya di canz., 51 v. nota relativa.
575. La correzione auza[n] (LEVY, SW IV, 157 n. 1, s.v. gra; cf. pure B.-K.) non risulta indispensabile posta la normale alternanza fra 3. e 6. persona verbale nella sintassi antica romanza (e in particolare per l'a.prov., cf. qui addietro la nostra n. 177-181).
581. PFAFF e B.-K. alberguat (cf. n. 171; qui oltre a v. 588 albergat).
582. L'implicita ambivalenza sintattica del verso calansoniano (dove sia al relativo que iniziale, a sua volta riferentisi al barri del v. antecedente, sia alla perifrasi iperbolizzante «pus de l'una mitat del mon» possono esser attribuite funzioni di soggetto ed oggetto, data la bipolarità semantica del verbo ten, 'tiene, contiene in sé', oppure 'riempie, occupa') era rilevata anche nel commento ERNST (p. 373 n. 32); essa sarà risolta da Riquier ai susseguenti vv. 585-6 dell'Exp. (con scelta della prima proposta interpretativa).
584. Verso fortemente sospetto di riutilizzo: in confronto al precedente v. 166, uniche differenze risultano la posticipazione dell'infinito dir e la variatio maior / de mais (= «de plus, encore»: LEVY, PD, s.v. mais), oscillante fra termini comunque imparentati etimologicamente.
587. PFAFF e B.-K. e contro l'effettiva lezione di R (en a tutte lettere).
590. B.-K. foras vila (app. fora): correzione non necessaria data la polimorfia dell'uscita avverbiale (CRESCINI, Gloss., s.v. for; v. lo stesso B.-K., Gloss. s.v.).
591. PFAFF guiza secondo R (cf. app.), mentre sia DAMMANN (p. 78) che ERNST (p. 373) nonché al solito B.-K. (cf. anche LEVY, SW IV, p. 214) risolvono l'aporia rimica (segnalata da BARTSCH, «Archiv», p. 145 tra le ricorrenti «nur in den Briefen, nicht in den lyrischen Gedichten»). La correzione offre garanzie di verisimiglianza non solo dal punto di vista metrico (assai rare le rime imperfette all'interno dello stesso settore epistolare, almeno per quanto riguarda Riquier) ma anche stilistico, potendo costituire una «preziosa» alternativa ai vari senes mentir e sintagmi analoghi disseminati in zona infratestuale (v. anche qui avanti a vv. 624-5: «don es senes error / aquel peyros bastit», e cf. in generale Introd., 1.2, n. 24). Sulla diffusione del vocabolo guila in a. prov., cf. la ricerca specifica di J.D. SCHLEYER, Der Wortschatz von List und Betrug im Altfranzösischen und Altprovenzalischen, Bonn, 1961 (partic. pp. 204-6, con citazioni da BBorn e FLunel).
Resta da constatare, peraltro, come invita a fare la traduzione RAYNOUARD (Lexique II, p. 180, s.v. barri: «.Faubourg est vraiment dit ce qui hors ville est bâti sans forme») la felicità evocativa del testo tramandato da R nei riguardi di quella che doveva risultare l'immagine-tipo del barri, confermata dalle ricostruzioni degli storici: la sua disposizione «est celle d'une agglomération villageoise, avec son désordre de rues et de constructions» (PASTOUREAU, p. 61).
592-596. La chiosa di Riquier ha una sua validità storica: a partire dall'epoca di Filippo Augusto, si nota infatti la decisa tendenza ad un progressivo decentramento di questi quartieri «contre les parois intérieures des courtines afin de faciliter les allées et venues»; in seguito «cette manière de village tend à sortir du château pour s'établir alentour, de l'autre côté du fosse. Ses habitants [...] ne se réfugient à l'intérieur des remparts qu'en cas de menaces graves» (PASTOUREAU, pp. 61-62; cf. anche ERNST, p. 373 con rimando a SCHÜTZ, op. cit., I, pp. 11 ss.).
Tra i riscontri letterari in ambito occitano, possiamo ricordare la cobla 10 del Chastel d’Amors: «Desdinsz la clauson qu'i es, / Son las maszos dels borges / O l'estraing fan lur conres [...]» (che socializza il barris come quartiere dei borghesi-mercanti, di contro al suo maggiore invilimento risaltante dall’Exp. riquieriana: cf. le nostre note ai vv. ss.).
595. Ben leu «forse»? (Cf. APPEL, Gloss. e Guglielmo IX, p. 201, n. a VII 9); faria risulta verbo vicario di estia ricorrente al precedente v. 594 (cf. n. 362). In B.-K. (forse per svista tipografica) punto a fine verso, posto tra virgolette come si compete ad inciso.
598. La perifrasi (oltre a confermare quel gusto storicamente accertato di «far riferimento ad una categoria di persone [...] con una frase o addirittura con un'associazione di proposizioni, quasi sempre introdotte da cel que, cil que»: v. la nota di GUIDA, Jocs, p. 124 n. 25 con rimando al contributo di J. Batany ivi cit.) designerà gli strati sociali più bassi, rigidamente separati, anche a livello topografico urbano, dall'aristocrazia («los melhors / homes dels locx ausors», vv. 604-5). Più che tentare ulteriori precisazioni in questo senso, converrà forse rilevare la sfumatura di disdegno ad essa connessa (come invitano a supporre già gli ess. schedati da LEVY, SW II, p. 109 n. 2, s.v. derier: «letzter an Wert, schlechtester», ai quali si potrà aggiungere l'occorrenza di GBornelh, 53,40 «Mas so d'aquels derrers s'emple, / Per malvestat cudan levar / E mais valer per sordeiar», riportata in connessione all'altra di 55, 93 nel Gloss. di KOLSEN). PFAFF e B.-K. fan punto a fine v.
599-600. Palhier = «grenier à paille» (LEVY, SW VI, 28 n. 2; cf. B.-K., Gloss.), mentre escuras si presta a due interpretazioni abbastanza diverse: accanto al significato originario di «grange» (FEW 17, 140 s.v. *skūra) è infatti attestato quello di «grenier à foin» (ib., e cf. MISTRAL, I, 101 s.v. escuro «fénil, en Rouergue; écurie, en Limousin»). Data la concomitante presenza di palhier e boal (< BOVILE, FEW I 476, quindi «étable à boeufs»: LEVY, PD e B.-K. Gloss.), coi quali escuras può rispettivamente allinearsi, ambedue le soluzioni si prospettano plausibili: «écuries et étables à boeufs» (RAYNOUARD, Lexique III, 161) o, procedendo in concreta enumerazione, fuori dal gioco sinonimico, «pagliai, fienili, stalle» (cf. anche la n. seg.).
Sul Nom. Pl. Femm. escuras si modella, probabilmente, la corrispondente forma Masch. boals, con impropria addizione di -s (cf. Nota ai testi, n. 4).
601. cortals = «basse-cours pour contenir bétail» (RAYNOUARD, Lexique V, 330), «courtil, pare (pour des bêtes)» (B.-K.), «bassecour» (PD); da cf. però gli esempi prodotti nel SW, I, 384 (in connessione al tardo latino cortale, registrato dal Du Cange e definito «domus rusticana praediolo vel horto adjuncta», non sarebbe da escludere a priori una continuazione romanza del tipo «Gehoft» del Levy, cioè 'masseria'). La funzionalità specificata al successivo v. 602 (per tenir bestiar: cf. Suppl., 503-4 «per lo bestiar / deforas governar»), induce però a preferire la prima accezione detta: 'cortile' o anche 'recinto' (coperto o scoperto, e di varia dimensione a seconda del tipo di animale destinato ad ospitare), complementare del resto alle «grandi» stalle menzionate prima (vv. 599-600).
603. Per un attacco similare v. PFAFF, LXXVIII 140 («Car greu veiretz amas [...]»): sulla nota formula di parabasi cf. le indicazioni date in Guglielmo IX, p. 54 n. 12 e RBerbezilh, pp. 176-77.
605. Loc «rango», «livello», «grado» (LEVY, SW IV, 418 n. 5 «Stellung, Rang», con rimando a Suppl., vv. 291-299; v. ib. n. 132-4 a p. 85).
606. B.-K. mout gen cazat: cfr. ib. Gloss. s.v. cazar «caser, loger»; il preciso significato giuridico del p.ps. sostantivato è quello di «feudatario», cioè definisce «qui a obtenu une concession, à titre viager, sur les terres de son seigneur» (= LEVY, PD, s.v. cazar; cfr. Jaufré, Gloss. s.v. cavalier c. «chevalier pourvu d'un fief»).
Circa il sanamento dell'ipometria (inevitabile, com'è evidente, a livello del testo tràdito), tra le varie congetture possibili (intendere ans quale mutilato resto di originario anseis, o riconoscere in esso la causa di soppressione di un quasi omografo als 'altrove, altrimenti' che costituirebbe un complemento semanticamente e sintatticamente adeguato a quanto espresso dal verso) ci è parsa preferibile, proprio in nome della sua attraente rarità, la lectio difficilior genses del resto citata in contesti evidentemente affini al nostro (LEVY, SW IV, pp. 109-110; APPEL 6, 33: «cavals au melors d'autres e son genses guarnit»; cf. anche l'inchiesta condotta in ADaniel, I, p. 330, sull'«addizione suffissale»).
608. PFAFF, B.-K. barris.
611. Mas que = 'piuttosto', 'salvo che' (v. LEVY, SW V, 32 n. 16 «aber, sondern» con citazione del presente contesto, inoltre Breviari, Gloss., s.v.: «sauf que, mais»).
canz. V, 33-34. Per la definizione di peiro e taulier, cf. le rispettive Postille alla traduzione (h, i).
canz. V, 35. Lezione tipica di R'R² (cf. Appendice, 1 anche per la sostituzione, in R', di joc con joi).
canz. V, 36-37. Voler è caratteristica del gruppo γ contro plazer di α e ζ (cf. App. 1, n. 6). Quanto già osservato in Nota ai testi, n. 3, rende ugualmente plausibili ponhs e ponh (= Exp., v. 661); la forma sigmatica è stata preferita a livello di edizione critica (poinz).
canz. V, 38. PFAFF ioglar, DAMMANN joglar (ma cf. a p. 10 e a p. 81 citazioni del v. con emenda in jogar). In R² la l risulta leggibile, sia pure con parziale ripensamento del copista (JEANROY, Jongl. et troub., p. 39: «l gratté»); v. poi Exp., v. 662, joglar (ben nitido). L'emenda, se tale si può chiamare (data la non univoca lezione di R²), è confortata dalla totalità della restante tradizione oltre che dalla (pur sempre opinabile, è vero) maggior perspicuità contestuale di jogar: anche in Exp., vv. 663 ss., sono rintracciabili solo perifrasi attinenti al jogar (richiamato del resto già dal joc di canz., 35). Per quanto attiene all'assunzione semantica di mespres, rimandiamo alla corrispondente Postilla alla traduzione (j).
canz. V, 39. Per trasgitat, cf. la corrispondente Postilla alla traduzione k.
canz. V, 40. Revidat tipica di R'R² (App. 1, n. 7) contro envidat del resto della tradizione: cf. l'identica ricitazione di Exp., v. 690 e la parafrasi alternativa del v. 725 (dove viceversa compare envidat). La confusione fra questi due termini non stupisce dal punto di vista semantico, trattandosi di tecnicismi propri ambedue del gioco (cf. in proposito F. SEMRAU, Würfel und würfelspiel im alten Frankreich, Halle, 1910, pp. 83-89). Envidar, più in specifico, si riferisce all'apertura della partita (LEVY, SW III, 109 «ein Spiel herausfordern, durch e. Einsatz eröffnen, anbieten») e su esso si modellano le varie traduzioni moderne (DAMMANN, ERNST, ecc. fino a Jung «et qui en brise un perd le jeu qu'il a commencé», ecc.); possibile che al p.ps. envidat vada assegnato un significato ancora più tecnico e concreto quale la «messa in gioco», la «puntata» del giocatore (come suggeriscono ANGLADE «en pert son jeu et sa mise», JEANROY «pert tout son enjeu»). Per revidar, di uso meno corrente (comunque registrato da RAYNOUARD, Lexique III, 132 «renvier», e LEVY, SW VII, 321 «überbieten»), il prefisso presumibilmente iterativo invita a supporre una sua attinenza alle «riprese» o «turni» successivi (cf. traduz. JONES «loses his turn in the game»; SEMRAU, op. cit., pp. 84, 88). Da segnalare la comparsa ravvicinata di e. e r. (favorita certo dalla similarità fonica e di significato) in Marcabru XXVI 47 (citazione in Guglielmo IX, p. 183 con altri rimandi, ai quali si aggiungerà Flamenca, v. 6506 «soven envidon e revidon», Gloss. ss. vv. e., r.: «mettre au jeu, faire un envit, afr. envier» e «mettre de nouveau au jeu, augmenter sa mise»; nonché APeguilhan, 36,8 ss. dove alternano revit-revidaire-envidaire-envit).
621 ss. Si tratta del motivo dell'«échange des coeurs», molto citato dai seguaci della fin'amors (cf. DAMMANN, p. 79, NELLI, Érotique, pp. 220 ss., JUNG, p. 146 ecc.): «qan dui amie s'acordon d'un voler, / so q'a l'un platz deu a l'autre plazer» (GFaidit, 64, vv. 53-4; cf. anche GBornelh, p. 32 n. 15 e gli altri contesti registrati da RAYNOUARD, Lexique II, p. 483 n. 20 e LEVY, SW I, p. 16 s.v. acordar). Notare la figura «compositiva» cors-acordatz (forse involontaria?).
628. PFAFF omette il verso; per be·l cf. v. 288.
629-635. L'interpunzione da noi adottata, divergente da PFAFF (ove si ha virgola dopo peyra e punto dopo atrassa, a fine v. 632, poi virgola dopo s'enten a fine v. 636), evidenzia quella che ci è parsa la più probabile struttura sintattica del periodo, destinato a definire il peiro in quanto elemento caratteristico dell'architettura feudale (cf. Postilla a traduzione sopra citata); solo dopo il v. 635 (gli ultimi tre vv. 633-635 motivanti le ragioni pratiche ed estetiche del suo allestimento, in curiosa sintonia con quanto rilevato dagli specialisti del settore) si passerà al significato metaforico del p. medesimo, secondo Riquier desumibile dal contesto calansoniano. Rimanendo per ora alla prima fase: l'interesse della chiosa riquieriana (determinato anzitutto dalla quasi contemporaneità di interprete ed interpretato) è turbato dalla non completa perspicuità del passo, in particolare nei due vocaboli rimanti plassa: atrassa (vv. 631-632). Per il sostantivo plassa, basterà ricordare che accanto alla comune accezione romanza 'piazza', 'spiazzo' e simili, intendendo cioè «espace de terrain, dans les villes, entouré de bâtiments» (RAYNOUARD, Lexique, IV 557), per l'a. prov. è contemplata quella di «Aufenthaltsort» (LEVY, SW VI, 365 n. 2), quindi «luogo di dimora» medesimo (in effetti, sia l'una che l'altra possono risultare adeguate al contesto, a seconda che si sottolinei l'aspetto in fieri del peyro — uno sguardo al terreno edificabile — o quello suo conclusivo, di componente cioè del palais, come già sappiamo assai tipizzante).
Le maggiori perplessità sono suscitate dalla voce verbale atrassa (presumibilmente Ind. pres., 3. p.): il lemma corrispondente atrassar non è registrato né da Raynouard né da Levy (il quale rimanda però a K. StTICHEL, Beiträge zur Lexikographie des altprovenzalischen Verbums, Marburg, 1888 , pp. 17-18 s.v.: fra le accezioni contemplate ib., «sich auf den Weg machen, anschicken?», in base a citazione di RCornet, Deux mss. XXII, 8 e Gloss.: «se préparer, s'appliquer?», nonché, peraltro decisamente estranea al nostro contesto, e sempre in base a Deux mss., Gloss.: «persécuter, tourmenter», cioè «aufspüren, heimsuchen»: cf. in proposito FEW XIII/2 s.v. *TRACTIARE, p. 145 a). Converrà piuttosto ritenere l'a. prov. trasar (LEVY, SW VIII, 382), continuato dal mod traça, trassa (MISTRAL II, pp. 1019 e 1028): «extraire des pierre de taille d'une carrière», «débiter un bloc dans la carrière» (FEW cit., p. 146b) di cui però non ci soccorrono attestazioni prefissate per l'a. pr. (ma cf., su a. prov. atras «profit», prov. mod. atrassà «ramasser, procurer», ecc.: FEW, vol. cit., p. 145 a, MISTRAL I, s.v. atrassa). Ancora più interessante, a nostro avviso, il suggerimento offerto dal prov. mod. aterrassa (MISTRAL I, p. 163: «couvrir de terre, terrasser», e cf. FEW cit., fasc. 1, pp. 253-4 s.v. TĔRRA con paralleli rimandi al fr. medio e mod. (a)terrasser «hourder», «fortifier par un terrassement», ecc.) di considerare il nostro atrassar un denominale dal sost. terrassa (LEVY, SW VII, p. 188; FEW cit., p. 246 b: «a. pr. terrassa 'levée de terre en plate-forme, soutenue par de la maçonnerie et qui se trouve devant un édifice, dans un jardin (13.-15. jh.)»).
630. per razo «de règle, d'ordinaire, d'habitude» (FMarseille, p. 221, n. 3b, con citazione del medesimo contesto e di altri riquieriani fra cui Suppl., v. 809).
636. Per l'anticipazione dell'oggetto cf. qui addietro n. 456.
367. PFAFF Ques, nel presumibile significato di «Ruhe», cioè 'quiete' (cf. la parafrasi molto aderente ai vv. riquieriani offerta da DAMMANN, p. 79), ma dato che ques risulta esistere solo in quanto aggettivo (< QUIETUS: LEVY, SW VI, 620), pare senz'altro da condividere la soluzione proposta in FMarseille, p. 221 n. 3: qu'es (= 'che riguarda, si riferisce a'); per eser de cf. qui avanti ai vv. 651-2 «lo taulier es [...] de gracïa plazen» (interpretabilità corroborata dai relativi versi chiosatori, nonché dai successivi 679-81) e inoltre a vv. 18 e 934-5.
La circostanza ci invita, infine, ad esprimere la nostra perplessità (causata, forse, da un mero errore tipografico dell'ed. STROŃSKI) circa la portata del secondo intervento ivi prospettato per i vv. 641-2 dell'Exp. (quanto si legge ib., a tale riguardo, non fa che riprodurre e la lezione del codice R e l'edizione Pfaff cui viene effettuato il rinvio).
642. L'inconducibilità della flessione di cor(s) da *CORIS (< lat. cl. COR, CORDIS) ad uno schema rigido in a. prov. ci esime dal registrare anche questa forma tra le irregolari elencate nella iniziale Nota ai testi (cf. n. 135).
651. Come già segnalato altrove (Introduz., 3.3.2), l'equazione taulier = gracïa plazen non è svolta in termini totalmente perspicui, nonostante l'indubbio significato assegnabile alla gracïa medesima («benevolenza», «favore» e simili, ottenuta tramite accorta combinazione del mosaico dei ponhs: cf. le varie convergenti traduzioni del termine, da DAMMANN «gunst» a JUNG «grâce»). Al di là dei compiacimenti logici (cavillosa dimostrazione della consequenzialità di nomina e res) e retorici (abbondanza di figure annominative su grat e su plazer), è da constatare l'ambivalenza di almeno un segmento testuale: a v. 654, on esta risulta in effetti collegabile sia a a tota gen (il tavoliere, cioè, renderebbe 'gradito a chiunque' il piacevole intrattenimento al quale costui si sia accinto) che, riflessivamente, al taulier medesimo ('[...] il piacevole gioco in cui esso [taulier] consiste').
660. de bel joc ben apres costituisce un bel calcolato antidoto della susseguente ricitazione calansoniana «hom malazaut, de lag jogar mespres» (canz., v. 38 = Exp., v. 662). Ben apres ('correttamente istruito', quindi 'conveniente', 'cortese', ecc.? nei lessici di Raynouard e Levy non si ha registrazione del lemma composto) ricorre anche in vers, III 49 (cf. nota a p. 44, con rimandi all'it. «appreso, avvertito, considerato, conosciuto, inteso, saputo»: p. ps. a valore attivo, insomma); funzione decisamente sostantivale in RVidal, Abril issia, v. 1664 («li benapres», trad. «sophisticated people»).
662. PFAFF joglar (cf. nota a canz. V, 38): estendiamo l'emenda ivi attuata alla qui presente ricitazione del verso.
665. Sul significato «tecnico» di peccar riferito alla propria espressione poetica, passibile di emende chiosatorie (almeno protestate), cf. RCornet, Doctrinal, vv. 414-15: «Pero si·m soy peccatz / En re, ben e[s] razos / Que pels trobadors bos / Yeu sia corregitz».
668 ss. Enumeratio assai ricorrente nell'opera di Riquier: cf. gli esaurienti rimandi offerti da LONGOBARDI, vers, p. 38, n. a II 21-22. A v. 668, so funge da correlativo del già espresso soggetto pl. (= los ponhs, v. 663), distanziato dal verbo (son) per l'intromissione della lunga parentetica dei vv. 665-667: un costrutto analogo in AMareuil, Ensenhamen, v. 44 e nota (il neutro è o). L'Obl.Pl. (anziché Nom.Pl.) los ponhs (v. 663) può essere giustificato dalla doppia valenza morfosintattica del sostantivo, che risulta contemporaneamente oggetto di entendet a dir (sull'omissione del que, cf. n. 423).
673-674. Bon aib (morfologicamente Nom. Pl., in parallelo con gli altri soggetti della serie enumerativa) riunisce in sé l'idea di «qualità» e di «abitudine, costume»: «l'onesta condotta di vita» (cf. Traduzione, e l'altra occorrenza qui avanti al v. 706). Su Amore fonte di bon aib, cf. Breviari, v. 27876 (con rimando al frammento attribuito a N'At de Mons, su cui cf. l'ed. BERNHARDT, Intr. pp. XIII-XIV, e FRANK II, p. 195). A v. 674, falhir in accezione evidentemente «profana»: per l'accertamento del traslato dall'originario alveo «sacro» del termine, cf. R. GAY-CROSIER, Religious elements in the secular lyrics of the troubadours, Chapel Hill, 1971, pp. 57-59.
675. Qui devezir «déterminer, ordonner» (PD), quindi 'disporre, allestire', ecc. (cf. Suppl., p. 94, n. 644 e Decl., p. 121, n. 321 con rimandi a LEVY, SW). Circa l'altra accezione del verbo desumibile da canz., v. 34 = Exp., v. 648 ('divisare, descrivere') cf. ERNST ed APPEL, Gloss.
D' introduce il complemento strumentale (vers, XVI 36 e n.); l'asigmaticità dell'Obl. Pl. aquest ponh può dipendere dalla già notata tendenza a semplificare i nessi consonantici finali (per sts > st cf. JENSEN, p. 126, e v. qui addietro n. 440-441).
677. PFAFF per sentier, come da ms. (v. app.), con proposta dubitativa in calce: «per entier?» che qui riteniamo logico accogliere a testo.
683-686. La chiosa di Riquier al numero «mille» è ricordata in OROZ, p. 214, n. a 22, 59-63 (=MÖLK, cansos, X) insieme ad altre espressioni correlate a far mil tans «hacer infinitamente más». Cf. anche qui addietro, n. 294.
691-706. Assumendo la sequenza come unità periodale compatta (in PFAFF, invece, punto a fine v. 695 e v. 699), risulta più agevole attribuire a pus (v. 696) il valore subordinante dichiarativo-causale che risulta ad esso comune all'interno dell'Exp. (cf. ai vv. 152, 160, 242 ecc.). Per la rima di 696:697 (trasgitat: sapchatz), cf. quanto annotato nella precedente n. 466: in LEVY, SW VIII, p. 387 s.v. trasgitat, citazione del passo con proposta regolarizzatrice (addizione di -z). L'opposta espunzione di -s attuata ib. per sels di v. 698 potrebbe rivelarsi morfologicamente non necessaria (se nella forma è riconoscibile un Nom. Sg. analogico sui frequenti maschili provvisti di -s: cf. BERTOLUCCI, Decl., p. 121, n. 386 con rimandi ad APPEL e CRESCINI, e JENSEN, p. 134).
700 ss. Interpretiamo pessatz come 5. p. di imperativo, seguita dal cosiddetto dativus commodi: l'apparente pleonasmo è di uso corrente soprattutto con verbi che indicano stati d'animo (S.-G., § 178, N'At, p. 148 n. 64, Sordello, p. 6, n. 24, ecc.); per Riquier cf. ad es. LONGOBARDI, vers, p. 30 n. a I 10-12, e qui ai vv. 123, 389, e passim.
A v. 703 (dopo l'inciso ipotetico dei vv. 700-702) ripresa del tratto allocutivo con variatio morfologica, dato l'uso del cong. pr. (in funzione esortativa) crezatz al posto dell'imperativo: la relativa eccezionalità dello scambio (di regola circoscritto a pochi individui verbali: aver-esser-saber-voler, v. CRESCINI, pp. 123-124, e PELLEGRINI, p. 299) si è senza dubbio allentata in epoca tarda (ad es., cf. crezatz per crezetz anche in Deux mss., p. 175). V. poi qui avanti n. al v. 775.
702. Valer a res (con res al solito indeclinato: cf. n. 13) = «servire a niente»? (LEVY, SW VIII, 576 n. 10 valer a «taugen zu»; cf. FMarseille, Gloss., s.v. valer «aider»).
704. Il complemento introdotto da de circostanziale ( = «quant à»: cf. EBarjols, pp. 47-9) continua pariteticamente a v. 706 (de bos aibs): sull'intromissione della relativa cf. la nostra n. 107-108.
707. Menar riferito al gioco degli scacchi ricorre in RCornet, Cirventes d'escax (Deux mss., pp. 92-3, n° XLVII: vv. 28-30 «Que may languihs on plus lo voi menar. / De joc comu fay granda vilania / Quil vol menar lonc temps per felonia»; cf. altre indicazioni nella nota di NOULET-CHABANEAU a p. 156).
Circa la morfologia di falhis (v. 708), Ind. pres. 3., cf. quanto già osservato nella nostra n. 422.
709. La locuzione a prezen que (in PFAFF virgola prima del que) ha certo valore temporale puntualizzante: «non appena che», identicamente alla ridotta a prezen (cf. LEVY, PD s.v. prezen: «aussitôt», e SW VI, p. 535 n. 7); per a p. «pubblicamente, notoriamente» v. invece qui addietro al v. 186 (e nota).
710. PFAFF Blasmat (con punto a fine verso). A parte il taglio sintattico troppo accentuato (poiché il discorso risulta invece continuare, con progressive puntualizzazioni, fino alla lacuna corrispondente al nostro v. 719), colpisce la mancanza di un ausiliare verbale per il p.ps (?) blasmat, rintracciabile soltanto, ma a costo di una poco credibile contrazione sintattica, nell'es di v. 709 già indubbiamente correlato a lag susseguente. L'unica altra soluzione (che è quella da noi accolta, sia pure con qualche perplessità) consiste nella diversa segmentazione blasm'at, con recupero quindi dell'ausiliare aver (ma l'inusitata conservazione di -t, almeno rispetto all'occitano standard dell'epoca come dimostrano gli stessi esempi periferici di APPEL, p. XXXIV, invoglia alla comoda ipotesi di un'addizione scrittoria, forse su suggestione di desgrat).
716. PFAFF non er, ma forse preferibile la segmentazione da noi proposta (no n'er) per la tendenza ad esplicitare fino alla ridondanza ogni elemento della catena discorsiva (al subito seguente v. 717, ancora n'er). Sul verbo razonar in quanto «défendre» (LEVY PD s.v.; cf. MÖLK, cansos, p. 75, n. a XIV 20 su razonars) si sofferma anche GUIDA, Jocs, p. 153, n. a III 56 («non lento né strano» il passaggio semantico da «argomentare» a «difendere», per processo di dilatazione semantica); l'antitesi di vv. 716-717 (i p. ps. in rima razonatz: blasmatz) ritorna ai successivi vv. 939-40, in eguale sede (razonar: blasmar, cf. nota relativa). Cf. infine, per l'analogia di impianto sintattico, oltre che per una certa rispondenza concettuale, i vv. di APeguilhan citati da JFoixà, Regles, 19 ss. (= MARSHALL, p. 56: «Si eu en soy desmentitz / C'aysso no sia veritatz, / No n'er hom per mi blasmatz / Si per ver m'o contreditz»), dove, come si nota, l'opposizione razonar / blasmar è sostituita dal parallelismo contredire - blasmar.
717. Come già al precedente v. 266 (cf. nota), la rima richiede qui di invertire la successione dei due ultimi vocaboli (così già in PFAFF).
719. L'omissione di almeno un verso, per quanto non incida sulla interpretabilità del contesto, è resa evidente dalla rima isolata (idem a v. 898): in ambo i casi manca segnalazione in PFAFF.
720-725. Allusione, con ripresa anaforica, ai su citati vv. calansoniani (canz., V, 39-40 = Exp., vv. 689-690) di cui Riquier compirà parziale parafrasi al successivo v. 726 («que·l joc pert envidat»); a v. 720, o risulta quindi contemporaneamente riassuntivo del già espresso e prolettico della ripresa conclusiva (dove il soggetto di pert sarà da riconoscere nell'indefinito qui del calansoniano v. 40).
canz. VI, 42. Grazir è lectio singularis di R: sulla situazione complessiva a livello di tradizione manoscritta, cf. Appendice 2, n. 28.
canz. VI, 45. Et, contro Pois, rientra fra le lezioni caratteristiche del «gruppo γ» (cf. Appendice, 1, n. 6).
canz. VI, 47-48. Le possibilità interpretative sottese a questo passo della canzone secondo la versione di R sono accennate in Appendice, 2 (cf. anche Postille alla traduzione m, n).
738. Dire razo sottintende a razo un valore (abbastanza insolito) paraavverbiale: cf. JCastellnou, Glossari, § 324, p. 231 esser razos (e il parallelismo antinomico istituibile con la più ricorrente espressione dir folia, significante al contrario «que l'interlocuteur a tort, que son opinion est sans valeur» (GUIDA, Jocs, p. 125, n. a II 28).
740. PFAFF fa terminare il verso col punto interrogativo: manifesta incongruenza.
745. Costrutto ambivalente, dato che la verificata (nota n. 2) frequenza degli infiniti sostantivati asigmatici rende ugualmente plausibile come soggetto poder (con e·l < et + le) ma anche plazer (con el < en + le ed a = 'c'è', secondo l'uso impersonale pure attestato nella stessa Exp.). Per analoghi bifrontismi interpretativi cf. a n. 651 (v. 654).
746. PFAFF grat, ma la finale -z per quanto sbiadita è leggibile in R: non si ripete quindi il fenomeno già segnalato all'interno dell'Exp. (cf. qui addietro n. 466). L'improbabile consecutio (potere come causa di compiaciuto gradimento da parte dei soggetti) è imposta a Riquier, sarà bene ricordarlo, dalla peculiarità del testo di Celeis cui am a sua disposizione: cf. Appendice 2.
749-750. Congiuntivo esortativo con la normale omissione di que (così al successivo v. 759); cf. anche la nostra n. 5. Per le rime di 748:749 (entendre: repenre), cf. i riscontri addotti in Suppl., p. 85, n. a vv. 105-106 (anche qui entendre: repenre, e identica soluzione conservativa «trattandosi soltanto di fenomeno grafico»).
Per ·l = le (v. 750), pronome neutro senza referente esplicito, cf. la nota di Deux mss., p. 173 (altro esempio qui avanti, v. 864).
753. PFAFF Si s'o fa; per esempi di si·s fa «so (das) macht sie» cf. MÖLK, p. 26, n. a II 8.
754. Sulla dittongazione della particella ipotetica si, fenomeno «palesemente [...] analogico sui tipi eu/ieu ecc. [...], dovuto all'unità fonetica del nesso» cf. SANSONE, Testi, p. 171 n. 393 (da cui si cita) e RVidal, Abril issia, p. 92 n. 181. Altri ess. ancora tratti da R: Gavaudan, VIII 71 e IX 15, N'At, I 44, 847, 1076 e passim; il nesso sie·us soven compare, tra l'altro, nella riquieriana Supplicatio, v. 659 («sie·us soven, autra vetz») e a LXXIV 120 («autra vetz, sieus sove»).
755-756. Rimando alla prima sezione di Exp., vv. 234 ss., in parallelo a quello già effettuato ai vv. 478-83 (la reciproca similarità formale dei passi è stata già rilevata in Intr., 3.2.2. e n. 65).
761. La ricitazione di canz. VI, v. 45 si rivela ipometra di una sillaba a causa dell'omissione di Et, congiunzione iniziale di verso.
763 ss. Periodo non perfettamente univoco dal punto di vista sintattico; la nostra interpretazione, come pare di constatare in base alla diversa distribuzione dei segni di punteggiatura, si discosta in parte da quella di PFAFF. Letteralmente intendiamo nel modo seguente (cf. naturalmente la più libera Traduzione): «Quando Piacimento è giunto, da cui Amore viene alla luce, e nasce da un essere verso un altro, e a costui racconta (oppure: esso, Piacimento, racconta) che sua sarà la gioia, e il bene, e il volere (dell'amante), dove in effetti risiede quest'amore, insieme al desiderio, a lui procurano, promettendo, speranza di (ottenere) quella gioia, ecco che invece (/eppure) la bilancia si è velocemente allontanata da Pregio, e ha passato inosservata la promessa: e credete pure che è la verità».
763-764. Su Azautz generatore di Amore si è discorso in sede introduttiva; PFAFF lauzatz (e proposta in calce «l'azautz?»): cf. qui addietro, n. 465.
766. e·l ( < ET + ĬLLUM), oppure el (<ĬLLE), pronome personale soggetto? La seconda scelta (con el cioè riferito ad Amore, in effetti appena nominato) salvaguarderebbe meglio l'equilibrio sintattico (in caso contrario, occorre attribuire a mas più raro valore paraipotattico: v. in proposito gli esempi raccolti in FMarselha, Gloss. s.v. mas, particolarmente XVIII 45 «pos. syntact, vague mais sens advers.»). Altro interrogativo morfologico meno pressante: sermonar, verbo di discreta preziosità, regge a regola il dativo e non l'accusativo (LEVY, SW VII, 608), ma l'eccezione è già contemplata ib. nel cit. es. di Flamenca, v. 1788 (cf. anche APPEL, 107, 84 e i rimandi di THIOLIER-MÉJEAN, pp. 182-3). Non chiara l'opzione di PfFAFF a quanto si può arguire dalla segmentazione interpuntiva (virgola a fine v. 766, poi a v. 768 dopo volers, poi a fine v. 769).
768-771. Per la ricorrente identificazione amor = voluntas, cf. Intr., 3.1.1 e note.
DAMMANN (p. 66) nella sua citazione del passo coordina sos volers ai precedenti gaug e bes (a ciò indotto, forse, dall'interpunzione PFAFF: virgola dopo volers), ma in tal caso rimane del tutto implicito il soggetto della seguente voce verbale, fan l'aver, a v. 770 (ove l' = li, dativo riferito alla persona amante). A v. 771 prometen gerundio assoluto.
772. Del gaug con articolo in probabile funzione dimostrativa (Deux mss., p. 169, PELLEGRINI, p. 296, ecc.).
Sull'immagine della balansa (vv. 772 ss.), abbastanza diffusa nel linguaggio trobadorico soprattutto in contesti psicologico-moraleggianti, v. ad es. Sordello, XLIII, 53 ss. («Qui voi saviamen regnar / obs l'es totz tems deia portar / una balanza en son corage / per melz conosser l'avantage / de las fazendas [...]»), BCarbonel, Poésies lyriques, II 26-27 («la balansa / De liautat»), e soprattutto, per la maggior vicinanza formale al nostro passo, GBornelh, 77, 16-17 («E·lh franc e·lh cortes e·lh valen, / Que fan tirar vas bo pretz la balansa [...]»: per la possibile suggestione della medievale ruota della fortuna, cf. anche BBorn, 4,29 e n. a p. 238).
774. PFAFF el promessa passada: a parte la facile reintegrazione dell'ausiliare verbale, anche l'enclisi dell'articolo femm.sg., al cas-régime, appare «de façon déconcertante» negli antichi testi (GRÄFSTROM, Morphologie, p. 20 e n. 2; cf. PELLEGRINI, pp. 157-9 che registra il fenomeno come regolare). Per l'analogia di ritmo si potrà confrontare, ad es., CGirona, 115,292 (que·l terr'es presada). Per passar = «transgredire» v. la documentazione addotta in LEVY, SW VI, 119 n. 15; il significato pieno è «ne pas tenir (une promesse), manquer à (une convention, un serment, la foi jurée)» (PD, s.v.).
775. Interpretiamo crezas quale 5.p. di cong. pr., con -s al posto della canonica -tz: cf. qui avanti a v. 884 deves e a vv. 929-930 la coppia in rima auzires: entendretz (per l'endemicità del tratto in R v. MARSHALL, p. LXIII n. 22). (Addenda)
776-777. L'inserimento di un decasillabo (= canz., v. 46) più il primo emistichio (quadrisillabo) del susseguente (que porta senh) rappresenta un'immistione atipica rispetto al sillabismo normalmente riscontrabile per queste farciture (che, quando eccedono l'unità metrica del singolo verso, si attestano per lo più su porzioni esasillabiche di questo, certo sul modello della Exp. medesima: cf. le osservazioni preliminari effettuate a 1.2., n. 14).
778-779. Cf. MÖLK, cansos, V 19, n. a p. 38 per il rilevamento di penher «im übertragenen Sinn» all'interno di analoghi contesti (riquieriani e non). Daurar in senso figurato anche in Flamenca (cf. Gloss., s.v.: «faire briller, embellir»); cf. anche BBorn, 14,52.
786. Nel presente contesto, appare indifferente l'assunzione di pero in qualità di congiunzione dichiarativa ('perciò') oppure avversativa ('ma, eppure'), quest'ultima forse stilisticamente più funzionale alla combattuta introduzione della chiosa sulla nudità di Amore.
787-788. PFAFF coven: ren; per re 'affatto' (cf. a v. 79 per res).
789. La plana via è espressione ricorrente nelle artes poeticae per denotare l'ornatus facilis in opposizione al difficilis (FARAL, p. 51: cf. SMITH, p. 40, e BAGNI, p. 111), ma connota pure l'area poetica devoto-moraleggiante (RVidal, Abril issia, vv. 637-638: «E Dieus, car yeu aic cor tan bo / c'aisi y tengues ma via plana [...]»). Plana = «einfach» (LEVY, SW VI, p. 349 n. 4; cf. APPEL, Gloss.); per deguda appropriato il rimando di CRESCINI, Gloss. s.v. loc, a 61,24 (en locs degutz «in occasioni acconce»).
790-791. Da vai ad orfres, in PFAFF, spaziato (che denota le inserzioni calansoniane nell'Exp., in rispondenza all'inchiostro rosso del ms. R), ma qui si tratta piuttosto di ripresa parafrasata (cf. quanto annotato in Intr., e qui indietro alla n. 530-1).
793. L'infinito declarar in funzione passiva (cf. la precedente n. 64); per l'interscambiabilità -tz/-g (quest'ultima scrizione più comune dell'esito di -DI-: Gavaudan, p. 124 ecc.), cf. GRÄFSTROM, Graphie, p. 200 n. 9 e ADaniel, II, p. 745 (tipologia rappresentativa tratta dalla tradizione manoscritta di GFaidit: enuetz risulta anche qui tipica di R).
794. Ingiustificata la lettura di PFAFF cal (e superflua, quindi, la proposta in nota «car f. cal?»).
795. Per «metre en cort» ('rendere pubblico, palesare'), cf. AMareuil, Ensenhamen, w. 224-225 («En nenguna manieira / en cort non o diria», cf. traduz. «in una corte»), col contrappunto in positivo di RVidal, Abril issia, v. 47 («d' autres vers e d'autres lays / que ben deuri'en cort caber»), Breviari, 29070 e 29076 (?), infine F.F. MINETTI, Prove d'ecdotica romanza unitestimoniale, Torino, 1977, p. 100 dove si rileva (da BBorn, R<a>ssa, tan derts e mont'e pueia, pp. 75 ss., a v. 56) la forse equiparabile «sorta di zeppa [...] con comunalmente automatica [...] implicazione amplificante» en plassa (dir, mostrar)».
800-801. La stessa giustapposizione di «follia» e «povertà» in GBornelh, 46 (Be m'era beus chantars), v. 34: «E paubrera folors», in contatto presumibilmente antinomico (cf. ib. traduz. a p. 285 e THIOLIER-MÉJEAN, p. 69).
803. Il valore di ab può oscillare da quello di «con» (sugli usi modali cf. la nota di GUIDA, Jocs, p. 88, a I 11) a quello, che parrebbe richiesto dal valore antinomico di paupra e di poder, ma alquanto raro per l'a. prov., di «malgrado»: Poésies du troubadour Guilhem Adémar, par K. ALMQVIST, Uppsala, 1951, Gloss. s.v., e APPEL, Chrest., 25, 20 (= ADaniel, L'aur'amara; ma cf. ora l'ed. Perugi, t. II, IX 48 e n. a pp. 300-301).
813. La nostra traduzione si basa sul noto significato di lezer «modo, opportunità, agio» (CRESCINI, Gloss. s.v. leger), bene attestato per l'opera del nostro (BERTOLUCCI, Suppl., p. 89 n. 330, con rimando a LEVY, SW IV, p. 391; MÖLK, cansos, s.v. lezer), anche se non è da escludere a priori una diversa assunzione semantica del passo: non solo 'è lecita, possibile un'altra [interpretazione]', ma anche 'si tratta di un diverso diletto, piacere', posto lezer = 'piacere' e simili (LEVY, l. cit., p. 391 n. 4 'Freude', e cf. ad es. vers XIX, 28). Si tratterebbe cioè di una ripresa insieme specificatoria e oppositiva del motivo del plazer qui direttamente chiamato in causa (v. 810), ma per contrapporre alla rutilante corona d'aur (= canz., v. 17) il pallido e ingannevole luccichio dell'aurfres.
818. Costrutto di scarsa ricorrenza in a. prov. (manca registrazione in LEVY, SW VII, 407): cf. però B.-K., 94,22 («no m'es deleits ni sabors»), Gloss. di FMarseille, s.v. sabors e in nota GUIDA, Jocs, p. 247, n. 26 (con rimando a Le troubadour Raimon Jordan, éd. crit. par H. KJELLMAN, Uppsala-Paris, 1922, p. 129).
819. PFAFF s 'al ren. Il neutro indefinito alre(n) registra qui la sua unica comparsa all'interno dell'Exp. in quanto oggetto della principale trasposto a soggetto della secondaria ipotetica (attrazione in senso opposto a quello segnalato ad es. in Sordello, p. 49 n. 16). L'uso dell'Impf. Ind. come tempo della protasi è consolidato a denotare la sfera dell'irrealtà (PELLEGRINI, pp. 300-301; cf. qui avanti al v. 943).
820 ss. Passo di non completa intelligibilità, né sintattica (non agevolata dall'interpunzione Pfaff, qui come altrove ampiamente rivista) né propriamente semantica (anche se i vv. immediatamente precedenti e seguenti, date le insistenze chiosatorie di Riquier, possono già orientare al riguardo). Punto nevralgico è qui la coppia sencha-senh (vv. 821-822), invitante a supporre una delle frequenti figure morfologiche di cui Riquier ama impreziosire retoricamente il proprio discorso narrativo e didattico (cf. Intr., e qui addietro la n. 280-6), ma che nel presente caso costituisce una scelta (volutamente?) ambigua, se non perturbatrice.
Sencha (che non compare nel testo calansoniano, ma da esso risulta ricavabile, come attestano le parafrasi dell'Exp., vv. 791 e 805) rappresenta indubbiamente la continuazione a. prov. del lat. CINCTA, che può assumersi tal quale (= p. ps. femm.) oppure come sostantivo («bande», «enceinte de filets», «ceinture»: cf. LEVY, PD, s.v. cencha nonché Deux mss., Gloss.).
Quanto a senh, due sono a nostro avviso le possibilità di etimo offerte dal presente contesto: 1) da CĬNCTUM, in stretta interrelazione annominativa con la su citata sencha (traducendo, quindi, «cinto»); 2) da SĬGNUM «enseigne, marque, sceau» (RAYNOUARD, Lexique, V 226 s.v., LEVY, SW VII, 568, APPEL, Gloss., ecc.), traducibile con «insegna» (araldica? Cf. in proposito le Postille alla traduzione relative a parentat ed assemblat e la qui seguente Appendice, 2). Ammettendo senz'altro come più probabile la prima ipotesi, la resa letterale del passo potrebbe essere: 'cinto che va o si porta sopra ciò da cui nasce il fuoco', ecc. (ovvia pudibonda perifrasi), con ellissi dell'oggetto di sobre, ma anche, supponendo un più profondo gioco metonimico fra «cinto» e «cinta», contenente e contenuto, 'il cinto (quanto sta sotto all'aurfres), sopra il quale (la sencha, cintura appena citata) va e si porta, cinto da cui nasce il fuoco'. A ribadire tale duplicità interpretativa concorrono altre ambiguità di contorno: posto fa (v. 821) = «significa» (LEVY, SW III, p. 382 n. 11 'ausmachen, bedeuten'), el del susseguente v. 822 potrebbe risultare dalla normale contrazione di et + le (art. masch. sg.), ma anche dalla più rara fusione di es (voce del verbo esser) più il medesimo art. le (CRESCINI, Gloss., s.v. con rimando ad «Archiv» 140, pp. 111-112); senza escludere la possibilità che si assista qui ad un fatto scrittorio già altrove verificato (cf. n. 532: el senh = es senh?).
824. L'immagine del fais è di ampio uso nella poesia trobadorica: per le possibili ascendenze, cf. la nota di PASERO in Guglielmo IX, pp. 292-3 (a XI 31) e GUIDA, Jocs, p. 150 (a III 34, con ulteriori riscontri), concordi nell'additare l'ambivalenza «sacra» (e cioè religioso-morale) e «profana» (amorosa) della metafora.
832. PFAFF per quel; circa l'anticipazione dell'oggetto cfr. quanto annotato in n. 162, coi rimandi relativi.
836. In PFAFF punto interrogativo a fine verso.
842-844. Per la concordanza di alcus [...] ibrïatz (apparentemente Nom. Sg.) con cargaran, verbo di 6. p., cf. la situazione già trattata in nota a vv. 177-181 (soggetto indefinito che provoca concordanza ad sensum?). Folor (v. 844), semema proprio del registro intellettuale e morale, «secondo il codice etico cortese [...] s'identifica con la desmezura [...], è la negazione di quel modus secundum rationem vivendi che si vorrebbe instaurare e diffondere» (GUIDA, Jocs, p. 243, n. a VII 11, con rimando agli spogli trobadorici esaustivi di una memoria dottorale allora inedita).
846. PFAFF En espera.
847. Notare la coordinazione: ci si attenderebbe piuttosto una relativa, dato che il soggetto di tenc, Pf. 3. p., è l'appena citato (ma in funzione di Obl.) Amor. Per tener destrech, cf. MÖLK, cansos, IV, 8 («E·l ten destreg tant [...]») e XXVI 18,19 («Fort dey tener mon cor destreg»); l'ascendenza giuridico-feudale del verbo è richiamata da GUIDA, Jocs, p. 187, n. a V 5.
850. Per simili comparazioni numeriche cf. ad es. CGirona, 115, 357 ss.: «c'a tres femnes leyals / n'a cent de desleyals; / e a tres de gentils / n'a mays de cent de vils; / e a tres d'avinens / n'a cent desconexens; / e a tres de grasides / ne son cent d'escarnides»; altre espressioni che quantificano l'iperbole nell'Exp. sono già state prese in considerazione (cf. qui addietro la nostra n. 294).
851. PFAFF D'autres m'en entendran, senza alcuna motivazione circa il forte intervento su quella che risulta l'effettiva lezione di R, ben difendibile. Può risultare peraltro sintomatico della relativa rarità di mantener «soutenir, protéger» (RAYNOUARD, Lexique, V 338 n. 40; cf. APPEL, Gloss. per le accezioni «unterstützen, verteidigen») il fatto che il verbo risulti anche altrove lectio difficilior variamente trivializzata (un esempio indicativo dà RICHTER, p. 342, n° 174: PRTolosa, Tostems aug dir, vv. 5-6, dove manten, voce di mantener in quanto «sich bemühen um», si diffrange nei codici in aten, m'enten). Da notare le ricorrenze di mantener in questa precisa accezione nei «giudizi» di Enrico II e Peire d'Estanh (cf. Intr. al Testimoni, nn. 11 e 16 e GUIDA, Jocs, I 61 e II 64 nonché Glossario). Il valore di autres (Obl. autor) «garant, témoin» (LEVY, PD s.v.) è ricavabile dal contesto di Flamenca, 7396 (secondo l'ed. GSCHWIND: «Ja no·m sia g[u]irens ni autre»), già cit. in LEVY, SW I, p. 105 s.v. autor: cf. M. PFISTER, Beiträge zur altprovenzalischer Lexikologie I, in «Vox Romanica», XVIII (1959), fasc. 2, pp. 220-296, a pp. 285-86 n° 124 (con rimando a FEW I, p. 172).
854. Il dever, cioè la «spettanza», la «competenza» («das was zukommt»: LEVY, SW II, 194 n. 2, e cf. n. 174) in identica composizione sintagmatica ritorna ad es. nel torneyamen fra Enrico II, Riquier e Peire Pelet (ed. GUIDA, V, v. 79: «[...] E·l coms puesca·n dir son dever», cf. nota a p. 205).
855. Guiraut Riquier risulterebbe il primo trovatore ad adoperare il vocabolo tornada in senso tecnico: cf. MÖLK, Deux remarques, cit., p. 6 (prima occorrenza in assoluto, a canso XIX, v. 70: composta nel 1276).
canz. VII, 49. Per considerazioni sul semantismo della coppia Franquez'e Merces, cf. Postilla alla traduzione o.
canz. VII, 50. Bontat è lezione esclusiva di R² (App., 1).
canz, VII, 51. Sia assaya (R²C) che essaya (R'E), varianti prefissali del medesimo verbo (n. 574), risultano meno centrate semanticamente dell'accreditata eissaussa (ricorrente nei mss. di α e ζ e posta a testo): si tratta infatti, più che di «essayer, éprouver» (RAYNOUARD, Lexique III, p. 193 e cf. LEVY, SW III, p. 131), di 'innalzare', 'elevare' (ERNST, Gloss.: s.v. «erhöhen, erheben»). Cf., nella prima direzione, Exp., v. 438 (assayar) e v. 947 (assaie, Cong. pres. 3).
858. PFAFF declarar, senza ragione paleografica né metrica (ogni riattacco della glossa riquieriana si adegua nella rima all'ultimo v. di canzone citato, secondo quanto osservato in Intr.), né, infine, propriamente linguistica (un futuro, del tipo disgiunto ay declarar, si rivela qui inopportuno). Per si tot m', cf. qui addietro la n. 355.
862-863. I due versi (da PFAFF stampati in spaziato) riprodurrebbero esattamente il v. 49 della canzone se non fosse per la sostituzione di cove a tanh, palesemente imposta dalla rima: siamo forse al punto in cui la linea di demarcazione fra citato e citante diventa quasi impercettibile (cf. per questo ambito l'Intr., n. 14).
L'ipometria (-1) del v. 863 è superabile solo stabilendo una dialefe (Franqueza e) non richiesta peraltro nell'originario decasillabo di Calanson (canz., v. 49).
864-865. Meter per «ansetzen, schätzen» (LEVY, SW V, 269 n. 9); a v. 864, ·l = le, pronome neutro riferito a quanto appena esposto (cf. n. 750).
865 ss. Ritorno (esplicitato: vv. 874-5) del motivo introdotto a vv. 136 ss., con le solite riprese letterali (cf. soprattutto i vv. 870-73 consistenti in «pezzi di riutilizzo» tratti da 137-9 e 141-2); si noti peraltro il suo arricchimento rispetto alla primitiva formulazione, poiché qui vengono enunciati i limiti di liceità della natural amor (vv. 876-883).
Circa l'ipometria del v. 873, non sanabile restando fermi alla lettera del codice, si può arrivare a supporre un'indebita contrazione dell'aggettivo proprïatz di analogo significato (LEVY, SW VI, p. 593 e APPEL, Gloss., nonché FEW IX, p. 457).
879-881. PFAFF quant (punto a fine v. 879; virgole a fine dei due vv. successivi). A 880 qui = si quis (cf. n. 235); se creire 'confidare in se stesso', quindi 'presumere' (LEVY, SW I, p. 405 n. 6: «anvertrauen», anche rifl.).
882. PFAFF Aissis.
884. Per la grafia della sibilante finale (deves), cf. n. 775.
889-890. Coppie sinonimiche parallele, secondo l'artificio retorico ben sperimentato nel «libro» (cf. vers, passim e qui avanti ai vv. 899 ss.). Per dignes «maître, qui est en possession» (LEVY, PD s.v.), et SW II, p. 240, n. 2 (citazione del passo con proposta regolarizzatrice: degnes, suggerita a buona ragione dalla rima imperfetta; cf. anche BARTSCH, «Archiv», p. 145).
892. PFAFF no y, trascurando cioè il ben visibile titulus di nasale che sovrasta la negazione. Lo stesso valore di inciso attribuito al verso ib. (situato tra parentesi) va, a nostro avviso, riconosciuto ai successivi vv. 894-5 (in PFAFF solo virgole finali).
894. Cf. Sordello, XLIII 1037 «mas no·n es res» (trad. «ma non ne è nulla», e cf. a p. 268 il rimando a LEVY, SW III, p. 214 n. 16); SANSONE, Testi, II 182 («c'a dire no·n fo res» con nota a p. 155), CGirona, 115,103, ecc.
896 ss. Formule di orazione ricorrentissime in area devoto-moraleggiante: oltre ai luoghi riquieriani (già ricordati in Intr., n. 93) cf. ad es. FMarseille, XXIX 63 ss.: «Glorios Dieus, dona·m calor / e sen e forsa e vigor / e conoissensa e saber / qu'ieu te serva a ton plazer», ecc.
897. Nonostante l'incombenza di una lacuna (v. ed.), pare indubbio il segno «positivo» qui attribuibile alla voluntat, più ricorrente peraltro, all'interno dell'Exp., nel senso moralmente deleterio più volte enucleato (voluntas propria, cioè egoistica, e non communis o salvifica: cf. Intr., 3.1.1. n. 48).
901. Si constata qui un altro riutilizzo interessante l'intera unità metrica (cf. PFAFF, LXXIV 153-4: «per que sïatz curos / del sieu servizi far»).
902. Denhar seguito da infinito (qui come oltre al v. 940, e cf. canz., v. 3) = «vouloir bien» (FMarseille, Gloss.), «juger digne, croire convenable» (LEVY, PD s.v.) o semplicemente «wöllen» (SW II, p. 89 n. 3: sulla frequente giustapposizione sinonimica di voler cf. G. BERTONI, I Trovatori d'Italia, Modena, 1915, II, p. 537 n. 23).
907. Per uzar en = «frequentare», «praticare», cf. n. 116-118.
914. Cf. Breviari, 29313 («que·ilh sojorn son plus que lh'afan»), con seguente citazione da APeguilhan, Cel qui s'irais ni guerreia ab Amor, vv. 9-16 («Que·ilh plazer son plus que·ilh enueg d'amor, / e·ilh be que·il mal e·il sojorn que·lh afan, / e·ilh gaug que·il dol, e·il leu fais que·il pezan, / e·il pro que·il dan son plus, e·il ris que·il plor»): la trivializzazione di tali coppie oppositive in ambito trobadorico viene documentata ampiamente da BEC passim. Sojorn varrà quindi «repos d'esprit», meglio ancora «satisfaction» (Flamenca, Gloss.).
918. Grazir «gratias agere» (LEVY, SW IV, 180 n. 2); cf. la ricorrenza calansoniana «Qui·l sap amar e lauzar e grazir» (ERNST 3, 33: Gloss. «lobpreisen»).
919. PFAFF ben dig; per bendir cf. LEVY, PD e RAYNOUARD, Lexique III, p. 54 n° 9 («dire du bien», «bénir»).
920. PFAFF Aissi.
921. Formula conclusiva di preghiera di cui è ovvio constatare la frequenza nel settore devoto: alle indicazioni di THIOLIER-MÉJEAN, pp. 194-5 e note si aggiungano OROZ, 15, 26 (Folquet de Romans, Vers Dieus: «Amen, Dieus, aissi sia» con eguale traduzione romanza del vocabolo nella seconda metà del verso), e gli explicit riquieriani di PFAFF, LXXVII, LXXVIII, LXXXI, LXXXIII, nonché Decl.: «e plassa·l c'aisi sia. / Amen».
923-924. Ad evitare il solito accumulo di subordinate causali, si può porre a v. 923 l'equivalenza car = que (cf. n. 168-169). Per l'espressione giustificativa (PFAFF non), cf. ad es. MÖLK, cansos, VI 23: «E no·n puesc may: d'amor n'ay mandamen» (in nota a p. 43 altri rimandi; cf. anche LEVY, SW VI, p. 409 n. 6).
927. Per entremetre «s'occuper, s'efforcer» v. LEVY, PD s.v. (e SW III, pp. 85-6): cf. anche il susseguente Test., v. 17.
canz. VIII, 52-54. Sull'identità del dedicatario (il marchese Guglielmo VIII di Montpellier) cf. 1.1.1.; circa la questione interpretativa posta dai due ultimi vv., cf. pure Postilla alla traduzione p.
934-935. Per eser de «riguardare, concernere», cf. le precedenti note n. 18 e n. 637.
940-941. Dato razonar «difendere, sostenere» (n. 716), «soutenir une opinion» (GFaidit, Gloss.), «appuyer de son raisonnement» (FMarseille, Gloss.), l'ayso del v. 941, introdotto al solito dalla circostanziale de, potrà far riferimento sia all'Exp. medesima in via di conclusione (designata, come più avanti il Test., v. 21, con il pronome dimostrativo neutro spesso adibito a questa funzione, in testi letterari e documenti; v. poi il più esplicito aquesta che conclude il finale v. 949) sia al blasme degli appena evocati detrattori, impotente perché senes razo. In ogni caso, siamo in presenza di un luogo retoricamente assai elaborato: antitesi in sede rimica (vv. 939:40 blasmar: razonar, su cui cf. la qui precedente nota n. 716), col secondo elemento impreziosito ulteriormente dal susseguente richiamo annominativo (v. 941 razo, sempre in rima; più lontano, nel corpo del v. 945, un'ultima eco delle «argomentazioni» producibili, «ab razos pus claras»); si noti anche il forte iperbato creato dall'immissione, fra blasmar e il collegato senes razo, dell'intero v. 940 (sull'uso servile di denhar, attestato anche in canz., v. 3, cf. n. 902).
943. Sull'imperfetto indicativo come tempo della protasi irreale, cf. qui addietro, n. 819; il verbo dell'apodosi, repenre, è tecnico della disputa poetica (Intr., 2.1., n. 35, con rimando al Breviari).
946. Accogliamo l'integrazione proposta da PFAFF in calce alla sua ed. (al solito in forma dubitativa).
949. Per tocar nel presente contesto, l'accezione più plausibile è quella registrata da LEVY, SW VIII, p. 253 n. 17: «betreffen, angehen»; cf. qui addietro n. 381 e Test., n. 24 per altre occorrenze del verbo.
Testimoni
Rubr. RAYNOUARD testimoin - RAYNOUARD espozisio, PFAFF expositon (v. nota ad Exp., Rubr.) - RAYNOUARD qu'el senher.
1. La ricorrenza del pronome maiestatico in sede di intitulatio è propria del formulario cancelleresco (GIRY, pp. 533-4, PRATESI, p. 70). Per esser greu «mißfallen» cf. ERNST, Gloss. (diverso valore risulta attribuibile all'espressione nel contesto di vers, VI, 29: «E pot esser greu nulhs faitz cabalos», con greu in presumibile funzione avverbiale: cf. nota a p. 59). Per la rima dei vv. 1-2 (greu: Dieu), cf. nota ad Exp., 523-524 (lieu: greu).
3. Il secondo emistichio del verso ripete (evidente suggestione della linea sovrastante) per gracia de Dieu, con conseguente ipermetria e incongruenza di rima (altrove sempre rispettata nel testo): risulta quindi contestabile l'eccessiva acquiescenza degli editori Raynouard e Pfaff di fronte alla lezione di R, da essi stampata senza alcuna proposta di emenda. L'interpunzione che noi crediamo di poter proporre scavalca intanto la piatta equivalenza metro-sintassi (che indurrebbe ad assegnare alla formula su citata funzione consacratoria sia rispetto al nome di battesimo che alla qualifica nobiliare di Enrico, quest'ultima soltanto richiedendola secondo la prassi documentale) e si rivela tutto sommato la più adeguata agli usi stilistici del Test., oltre che dell'Exp. (qui inappellabile essendo aperta la discussione sull'identità dell'autore del Test. medesimo). L'attacco risulta pertanto studiatamente mosso nelle sue componenti che, data la forte formularità del contesto, si possono tentare di reintegrare, una volta eliminata la suddetta aporia. Fra le ipotesi possibili: più di facili zeppe del tipo segon razo (richiamate esse stesse dalla frequenza di tocchi asseverativi: cf. Introd., n. 19), la frequenza di comparsa del sintagma portar testimoni, in area sia letteraria che soprattutto documentale (v. i pochi ess. di RAYNOUARD, Lexique, V p. 357, nonché LEVY, SW VIII, 209 s.v. testimoni, ed ib. VI p. 479 s.v. portar), confortata dallo stesso suggerimento rubricale (dove appunto compare il verbo porta) invita a proporre una sua ricollocazione nella «zona vuota» creata dalla soppressione dell'indebito per gracia de Dieu, tenuto conto per di più che un infinito verbale risulta richiesto dal devem del v. 1. Ciò fatto restano da occupare due posizioni sillabiche, di cui l'ultima determinata in finale dalla rima in -ó (espozisïo del v. 4): il microrestauro potrebbe completarsi con d'aiso, specificativo molto comune negli analoghi contesti riportati dalle carte (BRUNEL, Chartes, Gloss., s.v. testimoni: quasi tutti i rimandi ivi offerti risultano significativi al riguardo), e che qui fungerebbe da prolettico nei confronti del susseguente v. 5.
4. Per lo iato fra esta ed espozisïo, ed il necessario pentasillabismo del sostantivo, cf. Exp., note n. 52-56 e 320.
5. RAYNOUARD testimoin qu'el ver. A que può essere assegnato valore sia pronominale (riferimento al nos del v. 1) che di congiunzione causale-dichiarativa (forse più adeguato stilisticamente: sull'inserzione della notificatio fra protocollo e testo, cf. i rimandi dati in Intr., n. 5).
6. PFAFF Nos él temps, qu'el dig, adonem (così RAYNOUARD, con spostamento solo della prima virgola dopo nos; il passo è citato anche nel Lexique, III, p. 11 s.v. adonar, con traduzione 'confiâmes'). Tenuto conto però che dig a regola sussiste morfologicamente solo come p.ps. (da dic con consueto travestimento sonoro della velare finale, tipico di R: cf. ad es. Exp., vv. 215, 388, 448, 554, ecc.), si può comprendere la successiva proposta emendatoria di LEVY, SW III, 47 (s.v. entendemen, citazione dei nostri vv. 6-13 con più di una proposta di rettifica), che qui corregge qu'el in qu'es. Anche tenendo conto dell'esistenza di pur sporadiche forme di pf. del tipo dig (e dih: cf. APPEL, p. XXXI e CRESCINI, 66,29 e Gloss.), a noi è sembrato più economico procedere ad una diversa segmentazione nella porzione adonem, scissa a donem: il recupero dell'ausiliare in posposizione (come altrove nel Test., v. 27) e la regolare sussistenza di donar, verbo di significato affine al suo composto (RAYNOUARD, Lexique III, p. 9 e Levy, SW II, p. 281) non pongono problemi di alcuna sorta. El è pronome personale naturalmente riferito al non ancora nominato Guiraut Riquier di cui si è citata l'opera (rubrica e v. 4, cf. poi v. 10). Il «temps qu'el dig a» costituirà quindi un rimando alle indicazioni fornite nella parte proemiale dell'Exp. (vv. 20 ss.).
8. RAYNOUARD qu'em, PFAFF quem (con proposta dubitativa in calce («quens?»). Più semplice, sulle orme di Levy (SW III 47), leggere que·n, con n (<INDE) in riferimento alla su nominata chanso, anche se il segnale abbreviativo risulta tipico di m (forse erroneo anticipo della finale di volguem). Per analoghi interrogativi connessi allo scioglimento dei segni di nasalizzazione, v. Exp., n. all'ed. 116-118.
9. Casc(us) rientra nelle irregolarità morfonominali schedate come irriducibili (v. Nota ai testi, Obl. Sg. sigmatico): solo debolmente proponibile, a nostro avviso, una sua giustificazione in quanto Obl. Pl. ad sensum.
10. La parola iniziale del verso può consistere in E (congiunzione spesso ricorrente in questa positura sintattica: cf. ai vv. 1, 24, 27), ma anche in En, se ammettiamo la sovrapposizione alla vocale di un (quasi illeggibile) titulus di nasale: da rilevare che la particella onorifica precede indubitabilmente il nome di Guiraut nella sua unica altra ricorrenza all'interno del Test. (v. 20, pure ad attacco di verso).
11. La segmentazione fo ne (attuata pure da PFAFF) appare preferibile rispetto all'altra fon e soprattutto dal punto di vista sintattico (per quanto la copula potrebbe aprire una rinforzativa parentetica analoga ad es. a PFAFF, LXXV 189-190: «Las doas profichans / Son e de pretz enans»; per fon<FUIT cf. Exp., n. 353, e qui avanti ai vv. 13 e 35). Cf. infine JENSEN, Provençal Philology, cit., p. 108 (dove si rileva che «the mysterious reordening of en to ne may have come about through the proclitic (weak) status of the word»).
12. PFAFF ezpozitios.
14. Il numerale mil (M) è indeclinato in a. prov. (JENSEN, p. 37, CRESCINI, p. 76); per l'espressione iperbolica cf. le annotazioni già fatte a proposito di Exp., v. 294.
18. RAYNOUARD terz. Per le ipotesi identificatone relative ai tre gareggianti con Riquier, cf. Introduz., nota n. 6.
19. Appare più probabile il costrutto impersonale di aver (nota a Exp., 93): cf. le analoghe espressioni temporali registrate in RAYNOUARD, Lexique, III p. 166 s.v. espaci e ad es. JCastellnou, Glossari, § 426 p. 238 («loncs temps a passat»).
L'asigmatismo del soggetto (lonc espaci) non deve peraltro stupire poiché rientra in una categoria morfologica di «neutri» o «indifferenti» al marchio desinenziale (come testimoni, barri, emperi, ecc., tutti vocaboli pure ricorrenti nell'Exp.: cf. JENSEN, p. 51 e Nota ai testi).
20. RAYNOUARD a requeregut, ma il ms. non riporta segni espuntivi. Requeregut è p. ps. formato analogicamente sul Pf. 3. requereg (per esempi analoghi, v. BRUNEL, Chartes, p. LII, GRÄFSTROM, Morphologie, p. 133 § 65b).
21. RAYNOUARD aisso. Circa l'uso autodesignativo dell'atto, al suo interno, per il tramite del pronome neutro, cf. GIRY, pp. 575-576 (ed. Exp., n. a vv. 940-941).
22. Sulla pregnanza dell'espressione (ripetuta al qui seguente v. 26) cf. Intr. e n. 4: p. a. costituirà un sintagma equipollente ad autreiar 'octroyer, accorder' (RAYNOUARD, Lexique II, p. 153). Nella presente ricorrenza l'auctoritas è ancora oggetto di petitio, mentre nella seconda costituirà l'enunciato cardine della dispositio, fase in cui «si enuncia la volontà dell'autore del documento» (BERTOLUCCI, Decl., p. 119 n. 197). L'uscita di Cong. Impf. 4. -assem, anziché -essem (sul Pf. prestèi) è segnalata come alternativa possibile in CRESCINI, p. 121 (con rimando al Donatz proensals). (Addenda)
23-25. Nel presente contesto, il lessema tecnico entendedors (cf. Intr. a Exp., n. 27) forma una triplice figura morfologica coi susseguenti entendem ed entendemen (quest'ultimo vale a sua volta «il significato» profondo della canzone: cf. ib., n. 16). L'ampio respiro della costruzione retorica (molto diffusa anche all'interno dell'Exp., come abbiamo constatato: cf. in particolare n. 83) riceve poi ulteriore risalto dall'incorniciatura dei vv. 22-26, dove compare pariteticamente prestar auctoritat (n. prec).
24-25. Da cf. l'analoga mossa dispositiva del Jutjamen di Enrico II sulla tenzone Guiraut Riquier-Guilhem de Mur (GUIDA, Jocs, n° I), a vv. 65-66: «E nos avem volgut cosselh aver / A dir lo dreg, e dizem que [...]». RAYNOUARD qu'el, PFAFF quel.
Non perfettamente chiaro il senso della locuzione «·l cors [...] tocar», che presumibilmente equivarrà a 'cogliere il senso profondo, centrare il significato recondito' (cf. BERTOLUCCI, Decl., nota a v. 356, p. 121, su un altrettanto dubbio cors qui riportato a CURSUS «modo», «via»; ancora più istruttivo l'ivi cit. N'At, II, vv. 82 ss.: «Ans vuelh l'entendemen / E la manieir'e·l cors / Dels pus ondratz doctors, / Tan can ne puesc, aver»). Cf. anche LEVY, SW VIII, p. 253 n. 12 (che in forma dubitativa, e con esclusivo riferimento al nostro passo, propone «richtig treffen, richtig erkennen»). Solo se l'abbreviazione relativa a quanto segue qu in R permettesse di essere sciolta al anziché el (il che non risulta escluso data l'organizzazione relativamente elastica di questi usi) si giungerebbe alla più diffusa costruzione tocar a, registrata da LEVY ib. (n. 13 e passim) nonché ad es. in APPEL, Gloss. (tocar al cor «berühren, treffen»); sia CŎRE(S) che CŎRPUS appaiono comunque esclusi per ragioni di coerenza rimica (:entendedórs a v. 23). Per la variante tocar ad cf. infine Exp., v. 949.
28-30. Portar guerentia, espressione di evidente origine feudo-giudiziaria, è documentata ampiamente in area trobadorica (LEVY, SW IV, p. 63 n. 8 «Zeugnis ablegen, bezeugen, versichern»; cf. GBornelh, Gloss. s.v. portar «Schutz gewähren» e nota a 5, 21 in II, pp. 22-23). Sull'importanza del sagel quale mezzo di validazione dell'atto, cf. quanto annotato in Intr., n. 7; la forma è stata catalogata fra le irregolari dal punto di vista morfologico (Nom. Sg. asigmatico) in Nota ai testi.
31. RAYNOUARD omz; verso ipometro a meno di porre la liaison copulativa fra M (mil) e CC (docent), v. in proposito gli ess. di BRUNEL, Chartes, Supplém., p. XIX.
31-36. Sia la posizione escatocollare che la formulazione circostanziata della data, comprendente cioè le indicazioni di luogo e di tempo, queste ultime a mese infrante secondo la diffusa consuetudo Bononiensis (CAPPELLI, p. 26 n. 1, PRATESI p. 121: «una sorta di compromesso fra il sistema classico e quello moderno») sono tipiche delle carte feudali in particolare di area gallica (GIRY, pp. 813-821 e 582 n. 3; PRATESI, p. 79). La trasparenza del calco invita quasi a retroversione latina di specifiche espressioni ben riconoscibili, da fag (l'actum, che preferenzialmente precedeva appunto la data topica) a ab gran alegrier (formula apprecativa: feliciter e affini?).
Explicit «La. postilla, che pretende di autenticare la «testimonianza» precedente, chiude il canzoniere di Guiraut Riquier (a metà circa della quarta col.; in bianco il resto del fol.)» (BERTOLUCCI, Il «Libro», p. 238).
Addenda
Per quanto attiene all'assetto editoriale, un valido punto di riscontro è ora offerto da J. LINSKILL, Les épîtres de Guiraut Riquier, troubadour du XIIIe siècle. Édition critique avec traduction et notes, Liège, 1985: limitatamente ad Exp. e Test. (pp. 273-330) essa si raccomanda anzitutto per alcune interessanti congetture relative ad Exp., v. 78 (en da correggere es? ciò rischiarerebbe «vers difficiles du point de vue du sens et de la syntaxe», come annota Linskill a p. 304) e v. 117 (certo più perspicuo en mon, se ammettiamo in nō «une erreur de copiste» del resto serializzabile; cf. nota Linskill a p. 305), Test., vv. 3 (altra proposta di completamento del verso erroneamente tràdito da R; cf. a p. 316 inn.rel.) e 14 (.M. ans può sussistere in quanto espressione iperbolizzante, su cui v. nostra nota al testo, ma appare pure convincente l'alternativa «documentaria» suggerita da Linskill, che interpreta la cifra romana «évidemment une erreur pour V», cf. ib.). Circa la pur motivata ipotesi (p. 307, n. 231-5) di una possibile lacuna dopo il v. 230, occorre riconoscere che l'imperfezione della giuntura metrica fra «citante» e «citato» non risulta isolata all'interno dell'Exp., (come si provvedeva a rilevare qui addietro nel capitolo introduttivo a tale opera, § 1.2. n. 14).
Fra gli interventi «minori», cf. a v. 518 (= L. 519) motz cortes > mot cortes, credibile omaggio alla più diffusa veste grafica dell'avverbio di quantità (anche se in RAYNOUARD, Lexique IV, p. 250 è pure contemplata l'uscita in -z); meno probabile (e infatti non ancora preso in considerazione) lo statuto sostantivale del termine, in quanto 'parola' (LEVY, SW V, p. 333 s.v. mot) che renderebbe parimenti superflua la correzione.
Ancora, si resta in dubbio se stampare, in corrispondenza di nostro v. 929 (= L. 930), auras come da ms. o, su proposta di Linskill, aras (per aura/aora/ara facile il rimando a LEVY I, p. 102, nonché agli ivi citt. Deux mss., XXX 7, p. 163, ma è certo ammissibile una suggestione contestuale data la seguente forma verbale auzires), mentre appare opinabile, proprio in base a quanto osservato in nostra nota al testo n. 177-181 (normale alternanza 3./6. p. verbale in a.prov., e nell'opera di Riquier) l'operazione integrativa attuata a v. 575 (= L. 576: auza[n], sulle già citate orme di LEVY, SW).
Fra le proposte traduttorie meritevoli di attenzione (per quanto l'inevitabile non letteralità delle medesime non sia sempre adeguatamente compensata dalle opportune specificazioni in sede di nota) si segnalano inoltre quelle relative a vv. 37-38 (p. 317, dove ad «alcus/trobadors clar e clus» corrisponde assai perspicuamente «quelques troubadours, dont les uns étaient adeptes du style clair et les autres du style obscur»: essa poggia peraltro su una restituzione di -s a testo — clar[s] — forse evitabile assumendo la coppia antinomica in funzione avverbiale, come da nostra n. 38-39); vv. 214 ss. (p. 319, nn. relative a p. 307: il v. 223 non costituisce però, secondo Linskill, una diretta citazione di canz., I 4); w. 380-381 (p. 321, nn. a p. 309: la convincente traduzione di Linskill lascia in ombra la funzionalità di certi connettivi come ad es. il neutro aiso); v. 632 (alla forma verbale atrassa, su cui cf. nostra n. al testo 629-635, viene assegnato il significato «se joindre»: trad. p. 325, n. a p. 313); vv. 651-656 (p. 325, inparziale combaciamento con quanto proposto in nostra n. al testo n. 651); v. 696: pus = 'comme' (secondo Linskill, p. 326) agevola la scioltezza sintattica della frase (svolta del resto in sintonia con quanto proposto in nostra n. 691-706); vv. 820-824 (p. 328, incostruttivo disaccordo con quanto da noi già dubitativamente proposto in traduz. e a n. 820), infine, 936 ss. (p. 329, ancora in sostanziale sintonia con nostra n. 940-941).
Note: si forniscono qui di seguito i principali riscontri effettuabili (in direzione quasi sempre positiva) coi su citati contributi di F. Zufferey e M. Pfister (= ZUFF. e PF.):
— n. 48: per i perfetti in velare v. ZUFF., p. 127 e PF., p. 107 n. 10 (↑);
— n. 52-56: anche ZUFF., pp. 108-9 § 1, definisce il passaggio IVU > ieu «l'un des traits linguistiques dominants du chansonnier R» (e cf. PF., p. 105 n. 1 con ulteriore rimando a Linskill) (↑);
— n. 60-61: la caduta di -t (ses brui) è considerata caratteristica peculiare della lingua di Riquier da PF. (p. 108 n. 2), ma come già indica parte degli ess. trobadorici adotti supra (n. 60-61) tale uscita in -i (/-it, -ch) non risulta esclusiva del nostro autore (↑);
— n. 116-118 (nonché 319 e 404): l'indagine sugli usi scrittori di R (ZUFF., p. 108 § 0) inviterebbe a procedere ad uno scioglimento meno casuale delle abbreviazioni relative alla nasale (da far convergere in n anziché m? per il primo luogo cf. la congettura di Linskill segnalata supra) (↑);
— n. 130: sull'alternanza c/s + e, i v. anche ZUFF., p. 115 § 15a (↑);
— n. 171: per g-/gu- cf. ZUFF., p. 114 § 10 e n. 37 (↑);
— n. 195-196: per cavayer cf. ZUFF., pp. 121-2 § 28 (tale forma «représente le premier degré d'un processus de réduction»?) e PF., p. 105 n. 4 (allargamento dei riscontri in area soprattutto «meridionale») (↑);
— n. 303-304 (cf. punto precedente): in R, secondo ZUFF. (§ 27), il passaggio -ll-> [l] si limiterebbe alla posizione finale, ma ciò risulta contraddetto proprio dal presente luogo riquieriano (aurelhas : selas) (↑);
— n. 466-467: per -tz > -t cf. ZUFF., p. 115 § 14c (tale riduzione riguarderebbe R «beaucoup plus rarement» delle altre possibili, in -s o -z, per cui v. anche p. 213 e n. 27), nonché PF., p. 105 n. 6 (↑);
— n. 490: per il morfema verbale di I. p. -i v. PF., p. 107 n. 9 (si rimanda, ib. n. 18, all'Intr. BERNHARDT di N'At de Mons) (↑);
— n. 523-524: per e/ie da E (aperta tonica) seguita da -U cf. ZUFF., p. 108 § 1 (↑);
— n. 562: la riduzione rs > s è segnalata anche da ZUFF., p. 123 § 31, nonché PF., p. 105 n. 5 (↑);
— n. 775: per -tz > -s v. quanto segnalato supra, n. 466-467 (↑);
— Test., v. 22: cf. ZUFF., p. 129 (↑).
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