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Boni, Marco. Sordello, Le poesie. Nuova edizione critica con studio introduttivo, traduzioni, note e glossario. Bologna: Palmaverde, 1954.

437,036- Sordel

2. ferms: cfr. II, v. 38. - ab cor veray: cfr. IX, v. 9, ove vertadiers è usato in unione con fis.
 
5. m’enansa: si noti che la parola enansa è ripetuta alla fine del quinto verso di ogni cobla e nel primo della tornada, come parola-rima (cfr. Introduzione, p. CLV).
 
7. prenc: per questa forma cfr. I, v. 16 e nota relativa.
 
13. que·l: l andrà riferito verisimilmente a amor che precede (cfr. C. APPEL, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Literaturblatt f. germ. u. rom. Phil., XIX, 1898, col. 230).
 
18. pren voluntatz: cfr. III, v. 4 e la nota relativa.
 
19 e segg. Il DE LOLLIS, Vita e poesie di Sord., Halle, 1896, p. 286 annota: «Semplifica così la costruzione: ‘De lieys nom don temor mas que de (que)’ (cfr. XXX [cioè I, secondo questa ed.], 34 ‘sap be de que’) nom desvede so que pus mi play, son cors guay»; e aggiunge «‘se donar temor’ va costruito con ‘de’ ciò spiega il ‘de que’». Ma giustamente il MUSSAFIA, Zur Kritik und Interpretation rom. Texte, in Sitzungsberichte der Kais. Akademie der Wissenschaften di Vienna, Phil.-hist. Klasse, CXXXIV, 1895, p. 16 e seg., ha mostrato che questa costruzione è inaccettabile. Il Mussafia propone di intendere: mais no·m don temor [que de so], que non·m desvede so que pus mi plai, e inclina a spiegare l’ellissi come una conseguenza dell’inversione introdotta dal poeta nella seconda parte della frase (mais no·m don temor que de so, que de so que pus mi plai no·m desvede), a causa della quale i due so que venivano a trovarsi vicini, e uno venne istintivamente omesso; e credo che la sua spiegazione sia del tutto plausibile. Il poeta vuol dire (ripetendo in forma diversa il concetto già espresso nei v. 25-30 della canz. III) che teme soltanto che la donna possa, osservando nello specchio la sua bellezza, negargli per superbia il suo amore, pensando che nessuno sia degno di amarla. L’APPEL invece, ibid., propone di intendere il don come un congiuntivo e, ricollegandosi al v. 13, spiega: «Aber in Beziehungen auf sie (meine neue Geliebte) möge er mir nicht Furcht erregen, dass sie mir ihren Körper verbiete in Hinsicht auf das was mir am meisten gefällt». Sulla questione cfr. anche O. SCHULTZ-GORA, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Zeitschr. f. rom. Phil, XXI, 1897, p. 254. Si noti l’attrazione sintattica ai v. 19-21 (de lieys no·m don temor que ... no·m desvede). Di tale forma di attrazione (in cui il soggetto della proposizione dipendente viene anticipato nella proposizione principale, facendolo precedere dalla prepos. de col valore di «riguardo a», «quanto a») si hanno altri esempi in Sordello: cfr. XX, 31-32; XXII, v. 1-2; XXVI, v. 17-18, 25; XLIII, v. 439-40, 1197-98. Su di essa cfr. A. STIMMING, Bertran de Born, Halle, 1879, p. 236, n. al v. 1 del n. 4; G. BERTONI, I trov. d’It., Modena, 1915, p. 486 e seg. (n. al v. 8 del n. 1), p. 530 (n. al v. 17 del n. XXVI); A. CAVALIERE, Le poesie di Peire Raimon de Tolosa, Firenze, 1935, p. 8 e seg. (n. ai v. 1-2 del n. II), p. 11 (n. ai v. 41-43 del n. II), p. 34 (n. al v. 23 del n. V), p. 61 (n. al v. 71 del n. VIII). - Per la costruzione se donar temor de... cfr. S. W., VIII, p. 110, 1 e p. 113, 1, e cfr. II, p. 283, 15.
 
21. desvede: devedar (o desvedar) vale propriamente «vietare», «far divieto di...»: cfr. L. R., V, p. 474; S. W., II, p. 191.
 
25. denh: denhar qui è usato nel senso di «giudicar conveniente», «ritenere opportuno» (S. W., II, p. 89, 1). - penr’esmansa: cfr. L. R., III, p. 219, ove è citato questo verso di Sordello, e S. W., III, p. 237, 6.
 
28. error; nel senso di «pena », «tormento» (S. W., III, p. 130, 5).
 
29-30. Si ripete ciò che è detto nella canz. X, v. 31-32.
 
33-35. Anche qui ritorna un motivo che già abbiamo avuto occasione di incontrare (V, v. 31 e segg.). Non è possibile però stabilire quale dei due passi sia stato composto per primo dal poeta (si ricordi che, come abbiamo avvertito, le canzoni di Sordello sono state disposte in questa edizione, mancando la possibilità di un attendibile ordinamento cronologico, secondo l’ordine alfabetico dei versi iniziali).
 
33. Il DE LOLLIS stampa m’a legor: ma il MUSSAFIA, ibid., p. 17, ha giustamente osservato che si deve leggere m’alegor, pres. del verbo alegorar (che riflessivamente vale «rallegrarsi»: L. R., IV, p. 54; S. W., I, p. 49). L’interpretazione del Mussafia è stata accolta anche dallo SCHULTZ-GORA, ibid., e dal BERTONI, ibid., p. 300. Tenta invece di difendere l’interpretazione del DE LOLLIS il GUARNERIO, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Giorn. stor. d. lett. it., XXVIII, 1896, p. 400.
 
35. estia: perché il verso abbia la giusta misura occorre considerarlo eccezionalmente come bisillabo. Per evitare ciò, il LEVY, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Zeitschr. f. rom. Phil., XXII, 1898, p. 256, si domanda se non si debba piuttosto leggere esti’ col ms. R; mentre il NAETEBUS, rec. al vol. del DE LOLLIS, in Archiv. f. das St. d. n. Spr. u. Lit., XCVIII, 1897, p. 206 propone dubitativamente di emendare l’estia in estei.
 
39. a vida·m trai: vale «mi tiene in vita»; cfr. XLIII, v. 1303-04, ove la costruzione è usata riflessivamente, e S. W., VIII, p. 364, 31, in cui si cita questo passo di Sordello.
 
40. sa: aggettivo possessivo pleonastico, che serve a mettere in maggiore risalto, con l’anticiparla, l’idea di possesso espressa dal genitivo: cfr. XVIII, v. 33-34; XIX, v. 35-37; XLIII, v. 688. Cfr. anche Peire Raimon de Tolosa, canz. Si cum seluy, v, 4 fagz sos comans de ma don’ e d’amor (ed. CAVALIERE, p. 92); Elias de Barjols, canz. Amors, be m’avetz, v. 28-29 quan vei ‘son bel cors avinen / de la bella... (ed. STROŃSKI, Toulouse, 1906, p. 15). Sul costrutto si cfr. inoltre F. DIEZ, Gramm. der romanischen Sprachen, Bonn, 1882, p. 815; STIMMING, Bertran de Born, p. 255, n. al v. 52 del n. 12; A. TOBLER, Vermischte Beiträge, Leipzig, 1886, I, p. 78 e segg.; STROŃSKI, ibid., p. 71.
 
47. Il DE LOLLIS stampa de mi son e traduce (ibid., p. 286) «per opera del mio suono», rimandando al DIEZ, ibid., p. 883 e seg., per il de designante mezzo e strumento. Ma questa espressione sembra un po’ strana, tanto più che — come ha osservato il NAETEBUS (ibid.) — la forma mi del pron. possessivo si trova solo in unione con dons (cfr. V. CRESCINI, Manuale per l’avviamento, Milano, 1926, p. 86 e seg.): è quindi da ritenere che sia nel vero lo SCHULTZ-GORA, ibid., il quale pensa che sia qui ricordata la località di Mison, nel dipartimento delle Basses Alpes («arrondissement» di Sisteron), benché certo l’allusione resti oscura, non essendo possibile identificare la dama a cui qui si accenna, e nemmeno chiarire le ragioni di questo omaggio. L’opinione dello Schultz-Gora è stata accolta anche dall’APPEL, ibid. Questa dona de Mison non sarà però da identificare con la dama amata da Sordello e cantata nella lirica (cfr. ibid.), ma sarà da ritenere una dama a cui il trovatore ha voluto ricordare nella tornada per renderle particolare omaggio (cfr. nota al v. 50). Del resto, anche nella canz. III, v. 41 e segg., come si è visto, sembra presentarsi un caso analogo.
 
48. ses eguansa: letteralm. «senza uguaglianza»: un’esempio dell’espressione in S. W., II, p. 321, 1.
 
50. salvan s’onor: salvan è da intendere, come avverte l’APPEL, «unbeschadet, ohne zu beeinträchtigen, abgesehen von». Per s’ pleonastico vedasi il v. 40 e la nota relativa.

 

 

 

 

 

 

 

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