Dall’analisi di Locher 1980 si ricava che S’al cor plagues è una delle due canzoni (l’altra è FqMars 155,8 [XI]) in cui si manifesta «the technique of self-reference, in which the canso and its structure become its own subject matter» (p. 202); il tema della canzone, metaletterario e autoreferenziale, è quello della verità e della finzione nella canzone stessa: «The theme is thus developed with precision: both reason and pretense are useless in love and singing. As it is by means of reason that the poet argues his way from despair to hope – and this hopeful state is feigned – the thesis is being proved while it is being stated» (p. 202).
2. per Joia mantener: così anche Stroński, che nel Glossaire, p. 253 (s.v. joi) avanza l’ipotesi di uno scioglimento joi a conforme alle altre occorrenze maschili del sostantivo (vv. 10, 12, 14; nel suo testo anche 13); quest’ultima soluzione è fatta propria da Frank 1952. Si dànno tuttavia casi di coesistenza nel medesimo componimento delle due forme, a partire da un testo paradigmatico per l’esaltazione del joi d’amor, JfrRud 262,6 Quan lo rossinhols el folhos (VI), red. b, 9-10: «quar no sai joia plus valen / c’or e dezir, que bona·m fos», forme maschili: 7, 17; cfr. a titolo esemplificativo: Cercam 112,2a (VII), 43, f. maschili: 5, 36; PAuv 323,2 (I), 1, f. maschili: 12, 21, 27, 51; BnVent 70,8 (VIII), 22, f. maschile: 26 e 70,44 (XLIV), 1, f. maschile: 10; GrBorn 242,31 (XLII), 54, f. maschili: 12, 28, 31, 67. Si noti inoltre la scelta di Appel di stampare la forma femminile in BnVent 70,10 (X), 44: «per qu’eu joya pogues aver» in presenza di varianti nella tradizione (joy CGMPR¹R²Sia, gaug V) e della forma maschile al v. 6. Nel nostro testo inoltre l’occorrenza femminile rimanda al concetto astratto e merita perciò la maiuscola: operano la stessa scelta Perugi ed Eusebi in ArnDan 29,16 (III), 17-18: «Bona es vida / pus Joia la mante» (si noti mante; cfr. joia al v. 38’). Su joia, oltre a LR, p. 445 (s.v. gauch, n° 17) e SW, I, p. 415 (s.v. cridar, n° 6), si vedano le considerazioni di Cropp 1975, p. 338: «Issu du pluriel latin gaudia, l’apr. joia est un terme d’origine érudite qui a peut-être appartenu d’abord à la langue religieuse, car l’expression latine gaudia deliciae a désigné les joies célestes» (cfr. anche le pp. 341-43).
3. aventura: per il senso di ‘sorte, destino’ vd. SW, I, p. 110 (s.v. aventura, n° 1).
4. regart: alterna nella tradizione con esgart, a testo nell’ed. Stroński, come in ArnDan 29,4 (XIII), 18: Perugi 1978 che difende il regart danielino (è il suo v. 34) cita «lo scambio prefissale» nel nostro testo e aggiunge: «l’originale avrà letto eu·m [esgart]» (II, p. 467).
4-6. Cfr. RmJord 404,1 (I), 13-16: «mais am de vos lo solatz e·l vezer / e·l ben e·l mal que m’en pot eschazer / qu’ades jauzir del plus ric <joc> qu’ieu sai, / don’, estiers vos; er gardatz que·m n’eschai!».
5. rics: cfr. la nota a FqMars 155,20 (XXI), 24.
7. hom: la lezione a testo, ricavata da DDcJNQRV + K che l’aggiunge in margine (vd. sopra la Nota al testo), è l’unica a non rendere ipermetro il verso: sia l’integrazione di CKpMOPSUcls nuls hom (luns C; per le altre minime varianti rimando all’apparato), sia la sostituzione di AB negus, si spiegano bene come tentativi di esplicitare la negazione; d’altro canto negus ricorre, sempre bisillabo, in FqMars 155,3 (VI), 26, dove negus hom di AAbBCOPSf alterna con mais nuls hom degli altri mss., e senza alternative di rilievo in FqMars 155,22 (II), 4 e 155,13 (XX), 27; cfr. 155,20 (XXI), 57. Frank 1952 accoglie invece la lezione di AB, stampando qe benanansa non pot negus aver: deve però accettare una rara cesura epica senza elisione o sinalefe fra la sillaba soprannumeraria del primo emistichio e l’iniziale del secondo (cfr. P. G. Beltrami, Cesura epica, lirica, italiana: riflessioni sull’endecasillabo di Dante, Metr, IV [1986], pp. 67-107, alle pp. 76-79; la cesura epica è evitata in FqMars 155,22 [II], 35; 155,1 [V], 7; 155,21 [VII], 35 della vers. α; 155,11 [XIII], 25; 155,6 [XVII], 33; 155,13 [XX], 28): la cesura italiana del verso da me proposto è, per quanto eccezionale, meglio documentata (si veda la schedatura di Beltrami 1990, pp. 501-504). Segnalo infine la soluzione di Perugi 1978, II, p. 212: «que benanansa negom pot aver». Su benananssa si veda il Commento a FqMars 155,11 (XIII), 22.
12. ni l’en esper: in favore della lezione di beta; (no l’esper) si esprime Jeanroy 1913, p. 260, secondo il quale «la négation est nécessaire», ma forse la lezione a testo può, proprio per la forma affermativa, essere considerata difficilior.
17-20. Analoga impasse in GcFaid 167,39 (XLVI), 28-30: «c’aissi m’estau que res no m’i meillura, / cum cel qe·is ve el mieich del mar perir / e non i pot remaner ni issir».
23. fis cors: per la legittimità della forma nominativale sigmatica, continuatrice del lat. volg. *CORIS-CORE, si veda F. Jensen, Provençal cor and cors: A Flexional Dilemma, RPh, XXVIII (1974), pp. 27-31 (art. rifuso in Jensen 1976, pp. 45-48). Si notino comunque la forma ‘regolare’ fis cor (a testo nell’ed. Stroński) da COR-CORDIS in DcGPQSc e fin cor ‘cuore fino’ nella versione β (in JKpORls). Mantengo la forma sigmatica anche in FqMars 155,27 (X), 58: «e si·l cors»; 155,8 (XI), 16: «mos cors»; 155,10 (XII), 9: «leus cors»; 155,11 (XIII), 2: «mos cors», 20: «mos cors», 37: «leus cors»; si noterà che quasi sempre cors è preceduto da un pronome o un aggettivo sigmatico. Emendo invece il ms. base I in FqMars 155,8 (XI), 32 per evitare ambiguità con il cors ‘corpo’ al v. precedente: «E ja·l cors non si deu clamar / de re que·l cor li puosca far». Su fis cors si vedano inoltre le considerazioni e i rimandi bibliografici di Asperti 1990, pp. 152-53 a proposito di RmJord 404,1 (I), 6: «qu’alhors nom pot mos fis cors remaner», tradotto: «perché altrove il mio cuore puro... [oppure: io, vostro fedele...]» (p. 147).
35. Stroński richiama a p. 82* il salut di ArnMar, Cel cui vos esz al cor plus pres (Bec 1961, p. 114), 57-58: «Raszons part maingtas res de se, / e merces cossent e rete» e AimPeg 10,27: «Valha·m Merces et oblit vos ricors / e no·i gardetz Razo, mas Chauzimen; / que so que l’us pueja, l’autre dissen; / so que Merces creis, Razos vai merman».
38-40. Stroński, che mettendo due punti dopo 39 amor propone un’interpunzione decisamente antieconomica, traduce (il secondo emistichio del v. 38 è quello della versione β): «... et qui me pousse à tenter la conquête de votre amour: tandis que la Raison me le défend, elle me fait croire, cependant, que cela pourrait convenir», costringendosi così a una lunga nota (pp. 222-23) per giustificare l’anacoluto so que·m veda Razos. Basta tuttavia, come nota Lewent 1912, col. 332, inserire una virgola dopo amor e un punto e virgola dopo Razos per far venire meno l’anacoluto e intendere: «und veranlasst mich bezüglich euerer Liebe, das zu versuchen, was die Vernuft mir Verbietet; denn sie (die Gnade) veranlasst mich zu glauben, dass es schicklich sei». Frank 1952, che stampa il mio stesso testo, racchiude invece fra virgole de vostr’ amor e traduce: «Je risque donc, pour votre amour, ce que Raison me défend mais que Pitié me fait apparaître comme convenable». Ancora diversa la mia interpunzione e quindi la traduzione: de votre amour è infatti l’oggetto di se metre en essai, come mostra Stroński nel Glossaire, p. 239 s.v. assai, con esempi.
Quanto al contenuto dei versi, la più celebre ‘prova d’amore’ alla quale Ragione si oppone è quella della Charrete: si veda appunto il dibattito fra Amore e Ragione ai vv. 365-77 (cito da Chrétien de Troyes, Œuvres complètes, éd. publ. sous la directions de D. Poirion, Paris, Gallimard 1994). Un richiamo esplicito al romanzo è di BtBorn 80,33 (X; Beltrami 1989, p. 28), 13 «d’en Charretier qui grepis la chareta», su cui si veda Beltrami 1989b, pp. 239-40.
42. L’eccezionale cesura maschile a maiore (cfr. Beltrami 1990, pp. 498-501, che scheda solo sei esempi, fra cui questo verso e FqMars 155,3 (VI), 13, in un campione abbastanza ampio di trovatori) ha fatto scrivere a Frank 1952: «vers suspect. La variante Quant [s’intenda Car] al comenz tan leu... (“puisqu’au commencement [je désespère] si facilement”) donnée par le seul ms. O, paraît être, en face de l’accord de tous les autres mss., une tentative isolée de rétablir la césure normale» (p. 154).
44-45. La difesa al v. 45 di chant da parte di Frank 1952, p. 155, troppo fedele al suo ms.-base A (cfr. la conservazione di 33 precs in ABls) non è sufficiente a far rigettare la lezione lais, tràdita da CDGIKKpNOQUcfls + V (lay o lax): in primo luogo, come nota Locher 1980, p. 203, mon lais «is also at least reminiscent of punning in its homophonic recalling of no·m lais (stanzas 2 and 3), with the metathesis mon - no·m strengthening the connection»; ma soprattutto il paragone fra la canzone e il lai lirico, genere oitanico simile al descort e caratterizzato da una consonanza metrico-melodica fra inizio e fine, lungi dall’essere improprio rispecchia l’intenzione di chi dice io di mantenere alla fine della poesia la disperazione dell’inizio; Stroński, cui si deve l’acuto rilievo (cfr. pp. 223-24), rintraccia una metafora simile in BtBorn 80,32 (XXIII), 10-13: «Sos bas paratges sobrissitz / sai que fenira coma lais / e tornara lai don se trais»: come nota Canettieri 1995, pp. 258-59, al cui volume rimando per ulteriori specificazioni, si tratta di due testimonianze importanti perché di qualche anno anteriori alle prime attestazioni di descortz occitanici; cfr. anche Baum 1969, pp. 14-16 e 33. Registro anche delle opinioni discordanti: D. Billy nel suo Lai et descort: la théorie des genres comme volonté et comme représentation, Atti London 1987, pp. 95-117, nel negare la qualità di genere al lai lirico, ha ipotizzato un riferimento dei due trovatori al lai strumentale (cfr. p. 115, n. 47: la tesi è discussa da Canettieri 1995, p. 259, n. 31); Meneghetti 1992 sostiene invece che: «è evidente che il paragone rischierebbe di cadere nel tautologico se il lai del giullare non fosse un lai narrativo, ossia un componimento radicalmente diverso dal canto lirico dell’amante-poeta» (p. 28 in nota). Per un’allusione di Folchetto al lai bretone, rimando al Commento a 155,12 (XXIII), 8.
46. saber: si noti la rima equivoca col sostantivo 33 saber: l’equivocatio è evitata in β che legge vezer (CJMRV, con OQc; cfr. ualer U) e in G che ha chaber, lezione probabilmente ricavata da saber, poiché la c- è su rasura e l’-h- è aggiunta.
48. tot lo meins: cfr. LR, IV, p. 194 (s.v. mens), che cita e traduce i vv. 48-49, e le integrazioni in SW, V, p. 198 (s.v. mens, n° 3).
52. qu’an[z]: l’assunzione dell’avverbio, che deriva da un leggero emendamento del qan di JMRV, ha una ricaduta sul senso dell’intera I tornada: Frank 1952, che mette a testo q’ans, traduce: «car à l’istant» e annota: «en chantant ma première strophe» (p. 155); in questo caso a 51 mentir cuidiei bisogna dare un senso ‘volitivo’, «volli mentire». Stroński stampa qu’er(s) e annota: «nous lisons, avec G, qu’er “car hier”; les mss. ont pris cet er pour l’av. er ou ar “à présent” et alors ceux d’entre eux qui se sont aperçus de la contradiction que cet er présentait avec l’impf. estava l’ont corrigé en qan» (p. 197); la soluzione è interessante ma occorre tener conto che anche car di CKpfls, col significato di ‘perché’, offre un senso pienamente accettabile.
53. no fos: è un evidente refuso per non il nos che si legge nell’ed. Stroński (cfr. trad.: «ce qui n’était pas vrai»), inutilmente corretto in no·s da Salverda de Grave 1911, p. 502 e Lewent 1912, col. 332.
55-57. Secondo Frank 1952, Folchetto allude nella II tornada a un celebre componimento di Aziman sulle false accuse che nuocciono in amore, BtBorn 80,15 Eu m’escondisc, dompna, que mal non mier (VI).
56. pauca ochaizos: non «apparence insignifiante», come traduce Stroński accostando il termine nel Glossaire, p. 257 all’altrettanto errato ochaisos «fausse apparence» di FqMars 155,11 (XIII), 17 (cfr. la relativa nota del Commento); ma piuttosto ‘accusa’, come suggerisce il lemma OCCASIONARE in Du Cange, VI, p. 25: «in jus vocare, litem injustam movere, vexare». Si avvicina al significato Raynouard nel LR, II, p. 360 (s.v. occasio), sebbene traduca «querelle», invece che «accusation» come in luoghi analoghi; non soddisfa neanche Levy che a proposito del passo folchettiano scrive: «Gibt das aber einen befriedigenden Sinn? Mir ist der Sinn nicht klar» (SW, V, p. 461, s.v. ocaizon, n° 5). |