La scelta tra l'amore di una donzella virtuosa oppure il rapporto carnale con una vedova è il tema proposto da Guiraut a Guilhem Rainier, personaggio poeticamente noto solo attraverso questa tenso. Rainier è un nome comune in tutto il sud della Francia, anche a Narbona: ANGLADE (Guiraut Riquier, p. 100, n. 1) accenna alla possibilità che si tratti di uno pseudonimo.
Come si deduce dal v. 1, siamo di fronte ad una tenzone a distanza, che ANGLADE (Guiraut Riquier, p. 100) data agli anni 1267-70: Guiraut si trova quasi certamente a Narbona, mentre Guilhem Rainier risponde, forse, da Rodez.
A questo proposito GUIDA accenna ad un atto del 19 luglio 1277, «col quale Pietro di Turlanda emancipa il figlio Guglielmo coram domino Henrico e in presentia et testimonio [...] G. Rainerii», che per lo studioso legittima «l’ipotesi di una sua gravitazione attorno alla corte di Rodez (finora solo presunta sulla base dello scambio di cobbole con Guiraut Riquier)» ('Jocs' poetici, p. 58, n. 163).
Riguardo al giudice Dardasier, citato anche nel contemporaneo scambio di coblas nº 5, CHAMBERS ( Proper Names, p. 106) suggerisce la possibilità che derivi da Dard d'acier, ma senza riferirsi (come invece fa ANGLADE, Guiraut Riquier, p. 101) ai vv. 11-12 della canzone di Guiraut de Calanson, Celeis cui am de cor e de saber («e fer tan dreg che res no·il pot gandir / ab dart d'acier», 'e colpisce con tale precisione che nulla le si può sottrarre con un dardo d'acciaio'), che già in quegli anni Guiraut Riquier doveva conoscere e che più tardi commenterà variando dreg in fort (cfr. CAPUSSO, L'Exposition, p. 122 e commento testuale a p. 224). Secondo Anglade, Dardasier è il senhal di Jordan IV, signore dell'Isle-Jourdain (1240-1288), che con il suo vero nome era già intervenuto nel precedente (c. 1264) torneyamen nº 6, e successivamente (1282) ricomparirà come giudice nel partimen nº 13. Jordan IV sposò intorno al 1270 la viscontessa Vaqueira di Lautrec ( 1), rimasta vedova nel 1267: se è giusta l'identificazione di Dardasier con il signore dell’Isle-Jourdain, la tenzone è effettivamente ascrivibile a questo periodo di fine decennio.
Meno verosimile, in quanto non collegabile con ciò che sappiamo di Guiraut Riquier né con altri suoi testi giuntici, ma non per questo da trascurare, è l'ipotesi di CHABANEAU, Cinq tensons, p. 122 (ripresa senza incertezze in GRMLA II/1, f. 7, p. 471), che intravede in questo nome «Darderio. Dardesio, qui fut le surnom d'un sénéchal de Philippe de Montfort, Stephanus de Dardesio (1279?)».
2. En chantan è un sintagma corrente usato più volte anche da Guiraut in vers XXVI, Be· m degra de chantar tener, v. 12 («que·n chantan retrac ma folor»); pastorella V, D'Astarac venia, v. 51 («hueymais, en chantan»); partimen nº 3, v. 22 (dove si riprende l’intera formula dir en chantan: «m'es qu'ieu diga en chantan»); partimen Guiraut Riquier, segon vostr'essïen, nº 1 dell'ed. GUIDA, v. 52 («E mosenhe n’Enricx jutje·ns chantan»). Contro la posizione di ZENKER ( Die provenzalische Tenzone, p. 30), per il quale i termini chantar ed en chantan designano solo la forma poetica, al pari di trobar, JEANROY ( La tenson provençale, p. 448), pur ammettendo che «on a pu composer des tensons qui n'ont jamais été ni chantées, ni même récitées, surtout à l'époque de la décadence, où les travaux littéraires devinrent de plus en plus des exercices de cabinet», ritiene che «à l'origine les pièces dialoguées, comme toutes les œuvres lyriques, étaient destinées à un accompagnement musical, et elles furent toujours susceptibles de l'avoir». In favore dell'ipotesi di Jeanroy, vi è la constatazione che molte delle tenzoni a noi giunte riprendono la melodia di una canzone: in proposito, ad esempio, cfr. la nota metrica del partimen nº 12.
3. meti: per la diffusa presenza dell'atona finale nella 1ª pers. sing. del presente indicativo, cfr. PFISTER, Sprachliches, p. 107, e GRAFSTRÖM, Étude sur la morphologie, § 55, pp. 110-117, che sottolinea come l'aggiunta di una vocale per non essere «mal compris a dû jouer un grand rôle dans l'introduction de la désinence» (p. 111). Inoltre, dopo aver analizzato a lungo le varie teorie formulate circa l'origine di tale -i, lo studioso ribadisce quanto gia affermato nel suo Étude sur la graphie, § 9,7, a, cioè che «- e devait être plus fréquent que la variante - i, mais que d'autres verbes appuyaient celle-ci, qui était parfois plus claire [...]. Que certaines régions aient pu normaliser - e, d'autres - i, cela n'a donc rien d'extraordinaire» (p. 117). Queste forme allungate sono frequenti nei testi dialogati di Riquier: partimen nº 3, v. 45, parli; tenzone nº 4, v. 43, passi; partimen nº 11, dove sono particolarmente numerosi: v. 17, compari; v. 20, guari; v. 24, ampari; v. 32, dezampari; v. 34, porti.
6. aculhir: infinito sostantivato che nel linguaggio cortese indica una prima forma di contatto tra l'uomo e la dama, una sorta di saluto (come lascia intendere Garin le Brun ai vv. 297-300 del suo ensenhamen, El tremini d'estiu, ed. BRUNO, p. 82: «c'ab un breu saludar / pod om tan gen pagar; / que·s tenran per graziz / e per gen acuilliz») di cui, però, nessun trovatore ha descritto in particolare le modalità. CROPP, Le vocabulaire courtois, a p. 164, ci dice che l' «acolh est un acte plus ou moins chaleureux de politesse qui s'imposait, dans la société courtoise, à la dame et, dans la société féodale en général, au seigneur». Dagli esempi che si possono trovare nella poesia trobadorica emerge un uso polisemico ed in certi casi equivoco del termine: in Bernart de Ventadour, per esempio, arriva ad indicare una concessione carnale (canzone XXVI, Lancan vei per mei la landa, BdT 70.26, ed APPEL, p. 152, vv. 22-23 e 29-30: «Deus, que tot lo mon garanda, / li met'en cor que m'acolha / [...] / Mal o tara, si no·m manda / venir lai on se despolha»). Cfr. anche Gaucelm Faidit, Si tot noncas res es grazitz (BdT 167.54, ed. MOUZAT, p. 202), vv. 30-32: «e la doussa sabor e-l jais / don fui gent baisan acuillitz / per lieis, q'anc non fetz faillenssa». Nella II cobla, l’unica (se si eccettuano le tornadas) in cui il termine non appare, troviamo il bel semblan, «regard symbolique et équivoque» che «transforme la courtoisie en amour» e che più volte (cfr. CROPP, Le vocabulaire courtois, pp. 166-167) è avvicinato all’acolhir. Cfr. la prima pastorella, L'autre jorn m'anava, v. 13: «e fe·m belh semblan»; l'Exposition, v. 472: «e fazen bel semblan»,
6-7. acsetz ... fes: forme sincopate degli imperfetti congiuntivi aguessetz e fezes. Per la grafia -cs-, alternativa a -x- e -cx- in termini di origine non classica, cfr. ZUFFEREY, Recherches, p. 114.
8. endreg d'amor: cfr. canzone XII, Anc non aiguj nulh temps de far chanso, v. 7: «E si trac mal per don'endreg d'amor»; epistola IX, Aitan grans com devers, v. 160, «se deu endreg d'amor»; Exposition, v. 623, «endreg d'aquest amor»; partimen nº 14, vv. 21-22: «faire / endreg d'amor mon plazer»; partimen nº 15, v. 41: «Endreg d'amor razonatz gran erransa». Onrat ricorre quattro volte (vv. 8, 18, 34 e 56) ed è, subito dopo aculhir, il termine con maggiore frequenza nel testo,
11. L'ipometria del verso è risolta da Chabaneau con «lo cor [tot] m'en resplan»; nell'alternativa qui adottata, si ipotizza l'integrazione del soggetto, «can [ieu] remir», nella forma grafica riscontrabile in tutta la produzione riquieriana.
11-12. Per evitare la ripetizione di pus (pus coralmen, v. 13), Chabaneau (ripreso da Nelli) lo sostituisce al v. 12 con pres e in nota (Cinq tensons, p. 120), propone la costruzione «que, can remir sa gran beutat [...], lo cor [tot] m'en resplan», intendendo, con LR, prix (cioè: 'e il suo pregio amoroso'); a questo proposito, però, cfr. SW, VI, p. 522, che definisce errata la definizione di LR. Mantenendo, invece, la lezione del manoscritto, interpreto «so·n pus amoros» come, alla lettera, 'ne sono più innamorato'. In ogni caso è da notare il forte iperbato «can remir [...] sa gran beutat».
15. Guilhem riprende, nella stessa posizione strofica, il grat del v. 7, ma rovesciandolo di segno rispetto all’avversario: Guiraut, infatti, lo utilizza per esprimere il desiderio carnale nei confronti della veuza, Guilhem (entro un'espressione che ripeterà al v. 47) per indicare il piacere platonico del rapporto con la donzela.
17. Il manoscritto omette il nome di Guilhem nell'appellativo, ma sul piano metrico ne è necessario il ripristino.
18. onrat joy: cfr., oltre al v. 34, la canzone XII, Anc non aiguj nulh temps de far chanso, v. 36: «no·m fallira d'onrat ioy la doussors». Per la forma dittongata ayman, che ricorre anche al v. 33, cfr. ZUFFEREY, Recherches, pp. 110-111, dove si offre anche una panoramica delle ipotesi formulate riguardo a tale fenomeno nell'ambito dei termini appartenenti alla famiglia AMARE; è verosimile che si tratti dell'estensione alla vocale tonica dell'alternanza ai/ a ( aima < AMAT), generalmente riservata alla posizione pretonica. Cfr. il torneyamen nº 3, v. 4; la tenzone nº 4, v. 31; il partimen nº 7, v. 14; per il sostantivo aymadors, cfr. il partimen nº 10, v. 20.
20. mi ten cossiros: cfr. canzone XXVI, Kalenda de mes caut nj freg, v. 11: «quar vils faitz me ten cossiros».
22. Gli infiniti sostantivati sono spesso caratterizzati da una certa libertà flessionale, come dimostra il nominativo non- poder asigmatico: cfr. PELLEGRINI, Appunti, p. 164 e pp. 169-170, e GUIDA, ′ Jocs′ poetici, p. 128, nota al v. 50 del torneyamen Senhe n'Enric, a vos don avantatje, dove lo studioso sottolinea che questi infiniti «si comportavano come los motz indiferens, ai quali le Leys accordavano la facoltà di terminare 'en lo nominatio singular amb s o ses s' (ed. ANGLADE, III, pp. 80-82)», Allo stesso modo, secondo JENSEN ( The Old Provençal Noun, p. 49), la presenza dell'articolo non comporta automaticamente il rispetto delle norme bicasuali, come sostenuto, per esempio, da Guida, 'Jocs' poetici, p. 130, nota al v. 68. In proposito, cfr. l'aculhir del v. 29, trasmesso dal manoscritto senza la - s segnacaso del nominativo, e che si preferisce non emendare, dato l'alto numero di sostantivi che, nelle tenzoni riquieriane, presentano una forma scorretta sul piano della declinazione. Per non- poder («Ohnmacht», MÖLK, Las Cansos, p. 38, utilizzato anche nel partimen nº 2, v. 25) collegato a repenre («tadeln», 'biasimare', 'accusare'), cfr. canzone V, Amors, pus a vos falh poders, v. 24: «e·l non-poders, don no m'es reprendens», che MINETTI ( Il 'libre', p. 43) traduce «la mia [...] inettitudine, di cui non siete certo imputabile», rimandando a Giacomo da Lentini, Madonna, dir vo voglio, v. 41: Lo non poter mi turba. CONTINI ( Poeti del duecento, tomo 1, nota a p. 52) definisce non poter «un composto di ascendenza provenzale, nello stile di Marcabruno».
24. cor desesperat: cfr. vers XI, Yverns no·m te de chantar embargat, v. 22: «mas eras n'ai mon cor desesperat», tradotto da LONGOBARDI, I 'vers', p. 82, «ma ormai ho perso ogni speranza». Cor, 'cuore', al caso retto sing. può essere utilizzato, come in questo verso, anche senza la -s sigmatica (ma puramente analogica in origine). Per una estesa analisi del termine, cfr. JENSEN, The Old Provençal Noun, pp. 45-48.
25. mantas sazos: cfr. il torneyamen De so don yeu soy doptos (n° 6 dell'ed. GUIDA), v. 32 e nota relativa a p. 223: «don rizem mantas sazos».
28. Per la forma analogica tenc della 1ª pers. sing. dell'indicativo presente, cfr. CRESCINI, Manuale, p. 110. L'espressione tener mon cors, con valore pronominale, si ritrova nella prima canzone, Tant m'es plazens le mals d'amor, vv. 27-28: «Midons ez amor, de cuy vuelh / tener mon cors».
29. Chabaneau mette a testo ardimen contro dardimen del manoscritto, ma il costrutto tant de... que... è più consueto in antico provenzale, per es. ai vv. 25-26 della canzone Estat aurai de chantar (BdT 194.7, ed. AUDIAU di Gui d'Ussel, p. 38), forse di Peire de Maensac, «eu non ai / tant d'ardit qu'eu l'aus dire».
30. menbra: per l'uso frequente di n al posto di m davanti a labiale, cfr. ZUFFEREY, Recherches, p. 120.
33. Il verbo destrenher «suggère toujours l'oppression de l'amour et la contrainte physique» (CROPP, Le vocabulaire courtois, p. 294), e si trova di frequente unito al soggetto Amors. Cfr. CAPUSSO, L'Exposition, v. 847 e relativa nota (p. 204), nonché GUIDA, 'Jocs' poetici, p. 187 (per cui cfr. torneyamen Senhe n'Enric, a vos don avantatje, nº 2 dell'ed. GUIDA, v. 5: «Destrenh que res no fassa c'a pretz tanha»). Alle occorrenze di tener destrech citate da Capusso, è da aggiungersi la canzone riquieriana XII, Anc non aiguj nulh temps de far chanso, v. 3 («si tot me ten destreg»). Riguardo all'aggettivo ginhos - utilizzato da Guiraut sempre in posizione rimica - THIOLIER-MÉJEAN (Les poésies satiriques, p. 129) ci informa che esso «a parfois le sens d' 'ingénieux', conformêment à son éthymologie, mais la nuance la plus courante est celle de 'trompeur, faux'». Cfr. i torneyamens Guiraut Riquier, segon vostr'essïen (nº 1 dell'ed. GUIDA), v. 59, «En razos es l'us e l'autre ginhos», e De so don yeu soy doptos (n° 6 dell'ed. GUIDA), v. 17, «Vostr'amors vos fay ginhos».
34. metatz en soan: PD, p. 344, «metre en s., tener a s., mépriser, dédaigner».
35. enjan: per il sostantivo, Guiraut Riquier utilizza sempre la forma palatalizzata enian /enjan (per cui cfr. PFISTER, Sprachliches, p. 108) al posto di engan.
36. Circa le possibili sfumature di significato di respieg/respech, cfr. CROPP, Le vocabulaire courtois, pp. 198-199: nel contesto del verso analizzato, esso è utilizzato nell'accezione di «considération, égard». Sirvetz è forma dissimilata per servetz.
40. vilta<t>: già Chabaneau, nella sua edizione, interviene sul rimante viltaz. A proposito di questo verso, Nelli scrive in nota (p. 293, n. 1): «Peu clair. En faisant la cour à la donzelle, le poète l'engage à 'pécher': il n'est pas plus vertueux que la veuve».
41. L'integrazione tenso[s], per rispettare la rima, è già di Chabaneau.
44. don m'aonda razos: Nelli traduce «en accord avec raison», spiegando in nota (p. 293, n. 2): «Ce en quoi la raison m'aide». Per la doppia accezione di 'abbondare' e 'aiutare' del verbo a[b]ondar, cfr. PD, p. 2.
46. «Retener, vocabolo di provata origine feudale», che «si qualifica verbo pregnante del lessico cortese e trobadorico» (CAPUSSO, L'Exposition, p. 185, nota ai vv. 508-509, cui si rimanda anche per ulteriori citazioni), è stato oggetto di analisi da parte di CROPP, L'apr. 'retener′, pp. 179-200: presso i trovatori («mas non pas chez les plus anciens», p. 182), il termine esprime «l'action, de la part du seigneur, de s'attacher des dépendants en leur faisant des générosités et en les accueillant à sa cour». Trasferito in ambito amoroso, retener è quindi impiegato «pour exprimer la contrepartie d'un thème essentiel de la poésie courtoise: l'incertitude et l'insécurité dans lesquelles vit le poète-amoureux fidèle» (p. 199).
47. ab leys parlar mon grat: Guilhem Raynier ribadisce, con la stessa espressione-rima, quanto già affermato al v. 15.
49. Il verso è, nel manoscritto, ipermetro: già Chabaneau suggerisce la soppressione di G[uilhem] o di Raynier per renderlo isosillabico. La prima soluzione si presenta come la più economica, essendo più probabile l'inserzione, da parte del copista, di una sola lettera (già utilizzata al v. 1 ed al v. 37 come abbreviazione del nome) piuttosto che di un'intera parola. La dieresi sottolinea il necessario iato in nessïamen.
52. Riguardo a longuièr (ALIBERT, Dictionnaire, p. 469, «long à se décider»; cfr. anche il sostantivo alonguier, 'ritardo, prolungamento', LR, IV, p. 97), SW, IV, p. 436, riporta solo questo esempio, chiedendosi se non corrisponda a languir, in relazione anche al lang[u]etz del v. 24.
Nota
(1) A lei è dedicata la prima epistola, del 1259, ed è citata (in opposizione alla 'dama di Livernon') nel torneyamen nº 6. (↑)
|